ASIA/MYANMAR - Il conflitto civile si inasprisce, restrizioni per l’assistenza umanitaria e per l’accoglienza nei monasteri buddisti

venerdì, 16 dicembre 2022 guerre   crimini di guerra   buddismo   aiuti umanitari  

Yangon (Agenzia Fides) - Dal 1 febbraio 2021 al 14 dicembre 2022, in 2.130 i giorni di conflitto civile in Myanmar, gli scontri, che includono anche 232 raid aerei condotti dall'esercito birmano, hanno prodotto nel complesso 1 milione e 132mila sfollati interni tra la popolazione birmana, nei diversi stati e tra le diverse etnie. Sono 58 gli incontri tenuti, in diverse località e con diversi interlocutori, per negoziare un cessate-il-fuoco o l'avvio di negoziati, con scarsi risultati. Sono le cifre rese note dal "Myanmar Peace Monitor", gestito da quindici testate giornalistiche birmane indipendenti, riunite nel network "Burma News International".
Secondo le notizie riportate, il conflitto civile in Myanmar si inasprisce di giorno in giorno, mentre proseguono le violenze e le rappresaglie dell'esercito birmano contro i civili. Nei giorni scorsi a Mandalay, nel Myanmar centrale, i cadaveri di sei civili tra i 20 e i 43 anni, che lavoravano in un'officina locale di riparazione di motocicli, sono stati rinvenuti con segni di torture e le mani legate dietro la schiena, le gole tagliate. I residenti del villaggio di Ywar Thit, nella regione di Mandalay, che hanno trovato i corpi hanno indicano i soldati come responsabili del massacro.
"Le vittime erano civili innocenti che lavoravano per un'officina. Semplici abitanti del villaggio, che non erano coinvolti in alcuna attività politica. Le truppe di Tatmadaw li hanno uccisi crudelmente forse per estorcere loro delle informazioni sulle Forze di Difesa Popolare", rileva un fonte locale di Fides che chiede l'anonimato per motivi di sicurezza..
Tra le misure adottate per reprimere ogni possibile aiuto alle forze popolari, la giunta del Myanmar ha proibito ai monasteri buddisti nella regione di Yangon di accogliere ospiti notturni, se non previo permesso delle autorità militari. Il motivo del provvedimento, come reso noto, sarebbe quello di ridurre la criminalità, ma i monaci hanno definito la mossa "un deliberato insulto alla loro religione". Il Consiglio "Sangha Maha Nayaka" della regione di Yangon, che sovrintende al clero buddista di Yangon, ha dovuto suo malgrado prenderne atto e annunciare che i monasteri non potranno più accogliere persone bisognose che chiedono riparo notturno.
Prosegue, intanto il divieto di spostamento imposto alle ONG nazionali e internazionali, nonostante il cessate-il-fuoco raggiunto nello stato di Rakhine il 26 novembre scorso. Qui i militari impediscono l'assistenza umanitaria agli sfollati da oltre sei mesi. Nei giorni scorsi l'Ong internazionale “Medici Senza Frontiere” (MSF) ha reso noto che il suo team nello stato di Rakhine non riesce a fornire assistenza sanitaria a causa delle restrizioni imposte dalla giunta del Myanmar.
La nuova legge sulle ONG, promulgata dal regime il 28 ottobre, impone una speciale registrazione delle organizzazioni, per motivi politici e di sicurezza, pena la mancata autorizzazione a svolgere l'opera di assistenza. Diversi gruppi locali intendono boicottare la nuova legge ma ciò potrebbe impedire la capacità di rispondere alla crisi umanitaria. La gestione di un'organizzazione non registrata, secondo il nuovo provvedimento, può comportare una pena detentiva fino a tre anni, mentre i membri di una ONG non registrata possono essere multati fino a 500.000 kyat (circa 300 euro) e, se si rifiutano di pagare, incarcerati fino a due anni. Alle organizzazioni sono stati concessi 60 giorni per registrarsi presso il Ministero degli Interni, cioè entro la fine di dicembre. Tra le organizzazioni birmane, il "Mandalay CSO Network" ha annunciato che non rispetterà la nuova legge, il che significherà probabilmente la sospensione delle operazioni di aiuto.
Nel rapporto "Denied and Deprived", pubblicato nel giugno 2022, il "Karen Human Rights Group" denunciava già sei mesi fa il grave degrado dell'assistenza umnitaria e la terribile crisi che si ripercuote sulla comunità civili. Molti di loro fuggono verso il confine thailandese in cerca di rifugio, ma la maggior parte, costretta a rimanere all'interno dei confini nazionali, è vittima degli scontri armati, di attacchi aerei e di altre forme di violenza, come la privazione premeditata degli aiuti umanitari.
Secondo l'Associazione di assistenza ai prigionieri politici, le truppe della giunta hanno ucciso almeno 2.604 civili e ne hanno arrestati più di 16.500 nei 22 mesi successivi al colpo di stato militare del 1° febbraio 2021, principalmente durante manifestazioni pacifiche.
(PA) (Agenzia Fides 16/12/2022)


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