ASIA/TERRA SANTA - Gruppo di riflessione ecumenica: aspetti positivi e punti deboli della Risoluzione ONU sul future di Gaza

martedì, 25 novembre 2025 aree di crisi   onu   guerre   pace   ecumenismo  

photo World Health Organization (WHO)

Gerusalemme (Agenzia Fides) - La risoluzione 2803 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che ha portato al precario e costantemente violato “cessate il fuoco” nella Striscia di Gaza contiene “aspetti positivi” intrecciati con fragilità e punti critici. La nuova fase aperta dalla Risoluzione ha comportato una diminuzione ma non una la fine delle violenze. E per certi aspetti essa “sa di colonialismo”, manifesta una “mancanza di visione globale”, non tiene conto degli sviluppi in atto in Cisgiordania e non prova nemmeno a mettere in discussione l’etnocentrismo e I fattori di discriminazione che sabotano strutturalmente il cammino verso una convivenza pacifica tra diversi in Terra Santa.
E un giudizio in chiaroscuro, disseminato di punte critiche, quello espresso nei giorni scorsi in un documento diffuso dalla rete di riflessione ecumenica “Una voce di Gerusalemme per la giustizia” (“A Jerusalem Voice of Justice”) sull’ultima Risoluzione ONU sulla Palestina, elaborata sulla base di una bozza fornita dall’Amministrazione USA. Risoluzione accettata da tredici Stati membri del Consiglio di Sicurezza, con l’asatenzione di Russia e Repubblica Popolare Cinese.

La risoluzione punta a istituire un “Consiglio di pace”, guidato dal presidente Trump, che dovrebbe supervisionare l’operato di una forza internazionale di stabilizzazione.

“Meno genocidio, meno distruzione di case, meno sfollamenti e meno smantellamento delle poche istituzioni palestinesi ancora esistenti”. Sono questi gli effetti positivi derivati dalla Risoluzione secondo gli esponenti cristiani del gruppo di riflessione. Nel contempo, da quando il “cessate il fuoco” è entrato in vigore, centinaia di abitanti di Gaza sono stati uccisi e feriti.

La Risoluzione ONU – aggiungono i firmatari del documanto - subordina l'autodeterminazione alle “riforme” richieste ai palestinesi. Ma occorre verificare se tali riforme hanno davvero lo scopo di porre fine alla corruzione e alla cattiva Amministrazione, o non cercano piuttosto di far pesare sull’autodeterminazione palestinesevincoli imposti da Israele e dagli Stati Uniti

Tra gli “aspetti negative” della Risoluzione, il document diffuso dal “A Jerusalem Voice for Justice and Peace” richiama i suoi tratti di ascendenza colonialista: “l'amministrazione di Gaza da parte di stranieri, guidati dal presidente degli Stati Uniti”. Inoltre, “l'aspetto più negativo della risoluzione è la sua mancanza di una visione globale”. La risoluzione “ignora le realtà della Cisgiordania (compresa Gerusalemme Est)” e anche “lo smantellamento violento dei campi profughi e dei villaggi palestinesi, l'estrema violenza dell'esercito e della polizia israeliani, e in particolare delle milizie dei coloni ebrei”.
Secondo gli autori del documento, “Non c'è via d'uscita se non siamo disposti a ripensare la situazione globale in Palestina/Israele. Fin dalla Dichiarazione Balfour britannica (1917)” sil legge nel testo “tutto il discorso si è basato su una divisione tra ebrei e non ebrei, stabilendo la disuguaglianza che è emersa da allora”. Anche “Il piano di spartizione dell'ONU del 1947 era in diretta continuità con il dominio coloniale britannico”.

Gli ebrei – continua il documento in un passaggio chiave – “sono legati a questa terra e non sono semplicemente coloni occupanti. Tuttavia, il loro legame con questa terra non è esclusivo e non dà loro il diritto di espropriare e sfrattare, reprimere e occupare, distruggere e commettere genocidi”. E per puntare a superare il “sistema di etnocentrismo, discriminazione e occupazione” occorre cercare di integrare gli ebrei israeliani “in una nuova realtà che si apre all'orizzonte: una società multiculturale e pluralista che garantisca uguaglianza, giustizia e pace a tutti coloro che vivono oggi in Palestina/Israele”.

Il Gruppo di riflessione ecumenica “A Jerusalem Voice for Justice”, aggregatosi in maniera spontanea, si è costituito di recente davanti allo nuovo scatenarsi di violenza e terrore in Terra Santa, per condividere e offrire spunti di analisi e discernimento sui fatti e sui processi che toccano e tormentano la vita dei popoli nella terra di Gesù. Della rete fanno parte, tra gli altri, il Patriarca emerito di Gerusalemme dei Latini Michel Sabbah, il Vescovo luterano Munib Younan, il Vescovo greco ortodosso Attallah Hanna, la coordinatrice del Centro ecumenico Sabeel, Sawsan Bitar, il teologo palestinese John Munayer, il padre gesuita David Neuhaus, padre Frans Bouwen dei Missionari d’Africa e padre Alessandro Barchi, monaco della Piccola Famiglia dell'Annunziata, fondata da don Giuseppe Dossetti. (GV) (Agenzia Fides 25/11//2025)


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