CONVEGNO MISSIONARIO - Padre Giulio Albanese: le sfide della missione oggi

domenica, 5 ottobre 2025 missione   evangelizzazione   dicastero per l'evangelizzazione  

di padre Giulio Albanese MCCJ*

Pubblichiamo l’intervento pronunciato da padre Giulio Albanese, missionario comboniano, attuale Direttore dell’ufficio per le comunicazioni sociali e dell’Ufficio per la cooperazione missionaria del Vicariato di Roma, in occasione del Convegno Internazionale Missionario “La Missio ad Gentes oggi: verso nuovi orizzonti”.
Promosso dal Dicastero per l’Evangelizzazione (Sezione per la prima evangelizzazione e le nuove Chiese particolari) e dalle Pontificie Opere Missionarie, il Convegno si è svolto nel pomeriggio di sabato 4 ottobre presso l’Aula Magna Pontificia Università Urbaniana, nella cornice del Giubileo del Mondo missionario e dei Migranti

Roma (Agenzia Fides) - Fare discernimento alla luce della Tradizione della Chiesa non significa solo cogliere la linea di demarcazione tra ciò che è buono e ciò che è cattivo. Vuol dire soprattutto riconoscere da quale parte vogliamo stare.

Noi viviamo in una società planetaria segnata da un evidente disordine a tutte le latitudini. La crisi russo-ucraina, quanto sta avvenendo in Palestina, in Terra Santa, per non parlare di ciò che avviene più a meridione, e penso alla crisi sudanese, di cui la stampa internazionale parla pochissimo. E si tratta della prima emergenza umanitaria a livello mondiale. Pensate che su una popolazione di 50 milioni di abitanti, 25 sono profughi. Una quota rilevante è sfollata, il resto sono rifugiati che hanno trovato riparo nei Paesi limitrofi.

E cosa dire della situazione incandescente nella fascia saheliana? Burkina Faso, Mali, Niger… Vi sono tante periferie del mondo, per usare il gergo di Papa Francesco, dove tanta umanità dolente viene immolata sull'altare dell'egoismo umano. E io credo che la vera prima sfida sia quella di non essere delle semplici comparse sul palcoscenico della storia.

Questo è un rischio che non corrono solo i fedeli laici. Anche noi missionari forse a volte possiamo accontentarci di vivere la nostra esperienza missionaria guardando al nostro territorio e dimenticando che invece la nostra è una fede cattolica, universale e la cattolicità qui va intesa davvero come globalizzazione intelligente, perspicace di Dio.

I segni dei tempi sono sotto i nostri occhi, eppure dobbiamo credere che la nostra storia è storia di salvezza. E non è facile in questi tempi.

Anche noi facciamo nostra la richiesta che leggiamo nel Vangelo di domani. Anche noi, come i discepoli, chiediamo a Gesù Cristo, al Buon Dio: accresci la nostra fede. Perché è evidente che quando vivi in una condizione di persecuzione, di ingiustizia e sopraffazioni che gridano vendetta al cospetto di Dio, a volte lo scoraggiamento prende il sopravvento.

Allora, la mia è una richiesta che formulo consapevole di avere di fronte donne e uomini che hanno fatto la scelta di stare dalla parte degli ultimi.

Passare la Porta Santa, vivere l'esperienza giubilare, significa impegnarsi ad affermare il cambiamento. Chi più dei nostri missionari e delle nostre missionarie può coltivare questo che non è solo un sentimento, ma una virtù, la speranza, l'ottimismo di Dio.

Vuol dire credere che tutto coopera al bene di coloro che amano Dio, che Dio scrive dritto sulle righe storie. È evidente che tutto questo ragionamento rientra nel cosiddetto perimetro del Regno di Dio. E non è facile credere nella presenza del Regno di Dio quando ti trovi in una situazione come quella dei nostri fratelli e delle nostre sorelle oggi a Gaza e dintorni.

Non è facile. Leggendo la bellissima enciclica missionaria di Giovanni Paolo II del 1990, la Redemptoris Missio, quando egli parlava del Regno, lo descriveva con queste testuali parole. È la presenza di Gesù Cristo nella storia degli uomini.

E credo che questa fede la dobbiamo testimoniare anche in situazioni estreme. Attraverso la preghiera, la contemplazione. Perché come diceva un grande Vescovo del Novecento, Don Tonino bello, dobbiamo essere “contempl-attivi".

Dalla contemplazione dobbiamo passare all'azione. Parafrasando l'apostolo Pietro, a dare ragione della speranza che è nei nostri cuori. E quando parliamo del Regno di Dio andiamo al di là della prospettiva ecclesio-centrica.

Giovanni Paolo II questo lo spiegava molto bene. La Chiesa è il germe, segno e strumento del Regno di Dio. Ma lo Spirito del Signore soffia anche fuori le mura della Chiesa.
E voi come missionari nelle periferie del mondo, penso anche a quella che è l'esperienza dei fratelli e delle sorelle che vivono in Mongolia, ma anche in altre realtà dove la Chiesa è il piccolo gregge. È evidente che dobbiamo credere che lo Spirito del Signore agisce misteriosamente anche attraverso altre culture. A noi è chiesto di annunciare e testimoniare la buona notizia.
 
Non è chiesto di convertire. Perché la conversione è opera dello Spirito Santo, la scintilla della grazia, e dall'altra c'è la libertà dell'interlocutore che abbiamo di fronte. A noi è chiesto di annunciare e testimoniare la buona notizia.
 
Come diceva sapientemente Paolo VI, in quella bellissima esortazione apostolica del 75, Evangelii Nuntiandi, la gente preferisce ascoltare i testimoni più che i maestri, i dottori, i predicatori. E se ascolta i maestri, i dottori, i predicatori, li ascolta perché sono testimoni, perché i loro gesti precedono le parole. Detto questo, è evidente che questo regno si regge sulla pace, sulla giustizia, sulla solidarietà, sul bene comune, sul rispetto del Creato, sulla casa comune.

Tutto trova la sua ricapitolazione in Gesù Cristo. Guardate che questa è una sfida per noi missionari oggi, perché il rischio è quello della schizofrenia, della divaricazione tra Spirito e vita. Nostro Signore Gesù Cristo non ci ha chiesto di rimanere nelle sacrestie.
Ci ha chiesto di uscire fuori la mura, di scendere nell’Agorà, nella piazza. D'altronde la spiritualità missionaria è vita secondo lo Spirito. Quindi da una parte c'è lo Spirito, la Parola forte di Dio, e dall'altra c'è la piazza, c'è il mondo.

E questo lo dico perché oggi è evidente che soprattutto nelle Chiese di antica tradizione l'intimismo, lo spiritualismo hanno un'azione virale - lasciatemelo dire - perniciosa. Perché questi atteggiamenti sono disincarnati rispetto a quello che è il fluire della storia.

Ma c'è un'altra considerazione molto importante. Sono trascorsi duemila anni, e la messe continua ad essere davvero abbondante e gli operai sono pochi.

La crisi vocazionale nelle Chiese di antica tradizione è sotto gli occhi di tutti.
Io partecipai nel 1990 al primo Convegno missionario organizzato a Verona dall’allora Ufficio della cooperazione missionaria tra le Chiese. Si svolse dal 12 al 14 settembre. Allora i missionari italiani erano quasi 24.000, di cui 800 laici, 750 Fidei donum, il resto erano “ad vita ad gentes”, che significa membri di congregazioni, istituti missionari, società di vita apostolica. Oggi i missionari italiani sono 4.000, di cui 2.000 laici, equesto è un dato importante perché significa che c'è stata una crescita del laicato. Ma gli “ad vitam ad gentes” sono su per giù 1.400.

Ora, è evidente che non è una solo una questione di aritmetica, anzi direi che dobbiamo affermare il primato della qualità vita di fede sui numeri. Ma anche i numeri contano.
Ed è evidente che se le Chiese, e in riferimento soprattutto alle chiese europee, diventano, scusatemi l'espressione, un utero secco, tradiscono la loro vocazione, vanno contro natura. Paradossalmente non sono più Chiese. Capite bene che la posta in gioco è alta, e nessuno di noi può dire “io non c’entro".
 
Tutti dobbiamo avere l'onestà intellettuale di metterci in discussione. Gli istituti missionari, le congregazioni religiose. Abbiamo una grande responsabilità, soprattutto nei confronti delle giovani generazioni.

Credo sia importante fare altre due sottolineature.

Prima sottolineatura: nel nostro tempo c'è una costante divaricazione tra benessere e malessere, progresso e regresso, ricchezza e povertà.
E qui viene fuori la questione economica, o meglio il tema delle diseguaglianze.
Si è svolto a Roma lo scorso anno un convegno fortemente voluto da Papa Francesco. Che è stato il mio Vescovo, dal momento che nel Vicariato di Roma.

Ricordo che Papa Bergoglio disse queste testuali parole: dobbiamo ricucire lo strappo tra gli estremi. La missione oggi si svolge sulla linea di faglia tra queste tensioni, tra questi poli.

Ricucire lo strappo significa affermare la fraternità universale, significa capire che siamo tutti fratelli, e quindi soprattutto le diseguaglianze economiche vanno contrastate, e devono entrare nell'agenda dei nostri istituti, nell'agenda missionaria.

L'economia oggi è terra di missione, dal momento in cui i derivati OTC, over the counter, quelli che hanno inquinato i mercati a partire dal 2008-2009, sono ancora in circolazione. Nel momento in cui le agenzie di rating, Standard & Poor's, Moody's e Fitch, operano il declassamento iniquo delle economie africane, questo solo a scopo speculativo.
Se il debito africano - e potrei citarne altri - cresce, è perché l'economia ha bisogno di redenzione.

Amici miei, è finita l'epoca delle vacche grasse.

Tanti confratelli, consorelle di questa o quella congregazione chiedono aiuto e sostegno. Ed è giusto essere solidari, ci mancherebbe. Però è evidente che la recessione è in corso. Inoltre certi fatti di cronaca, purtroppo, hanno coinvolto negativamente alcune delle nostre comunità, e hanno a volte daanneggiato la nostra stessa reputazione.

Forse dovremmo tornare a quello che hanno già auspicato da alcune Conferenze episcopali.

Negli anni Ottanta, io ero studente a Kampala. In un seminario dove la totalità degli studenti erano ugandesi.
Un'esperienza eccezionale, indimenticabile..
Ebbene, negli anni Ottanta i vescovi ugandesi avevano insistito moltissimo sulla self-reliance, sulla sostenibilità. Questa rimane una sfida per le giovani Chiese. Non è facile, ma oggi esistono delle formule che vengono promosse a più livelli.
 
Penso ad esempio al “social business”. Sono argomenti che dovremmo far entrare nella formazione dei nostri candidati al sacerdozio e alla vita religiosa.

Termino ricordando quello che San Giovanni Paolo II scrisse nella Redemtoris Missio: lui in quella bellissima Enciclica missionaria scrisse anche che la fede si rafforza donandola. Ecco, io credo che dobbiamo davvero tutti quanti far tesoro di quel suo Magistero. (Agenzia Fides 5/10/2025)

*Direttore dell'Ufficio per le comunicazioni sociali e dell'Ufficio per la cooperazione missionaria del Vicariato di Roma


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