di Gianni Valente
Gerusalemme (Agenzia Fides) – Le atrocità sono tornate a spargere morte e dolore nella terra di Gesù hanno radici profonde. E il disastro è alimentato anche dalla miscela tossica di una “politica basata sul nazionalismo estremista spiegato come ardore religioso, sia in Israele che in Palestina”. Lo sottolinea nell’intervista rilasciata all’Agenzia Fides padre David Neuhaus, gesuita israeliano e professore di Sacra Scrittura.
Nato in Sudafrica da genitori ebrei tedeschi fuggiti dalla Germania negli anni Trenta del secolo scorso, padre David è stato in passato anche Vicario patriarcale del Patriarcato latino di Gerusalemme per i cattolici di espressione ebraica e per i migranti.
Padre David, La strada imboccata dalla nuova tragedia di Terra Santa sta spargendo morte e dolore. In tutto questo, la soluzione militare scelta, l’idea di “estirpare” militarmente Hamas, ha davvero una logica? O ci sono altri fattori che guidano le scelte?
DAVID NEUHAUS: Papa Francesco ha detto fin dall’Angelus dell’8 ottobre, all'inizio di questo ciclo di violenza: "La guerra è una sconfitta! Ogni guerra è una sconfitta! Preghiamo perché ci sia pace in Israele e in Palestina". È forse un errore pensare che l’opzione militare sia dettata da logica. Sembra una reazione emotiva allo shock del 7 ottobre: 1400 uomini, donne e bambini uccisi e 250 rapiti. La perdita di così tante vite alimenta il desiderio di vendetta. L'attacco ha fatto esplodere alcuni miti fondamentali. In primo luogo, la presunzione che l'esercito israeliano sia invincibile: come hanno fatto centinaia di miliziani a sfondare il confine? In secondo luogo, la supposizione che gli ebrei abbiano trovato una patria sicura; come mai un simile massacro è potuto accadere qui? L'intenso dolore per la perdita dei propri cari, l'ansia e la frustrazione per i rapiti si mescolano alla rabbia per il fatto che l'attacco sia potuto davvero avvenire.
L'opzione militare ha alimentato la mentalità che accompagna la guerra. In primo luogo, si combatte fino alla vittoria! Cosa significa vittoria in questo caso? Sradicare Hamas? Ma questo si è tradotto operativamente nella distruzione di Gaza, uccidere migliaia di persone, ferirne decine di migliaia, uomini, donne e bambini, distruggere la città e i suoi dintorni. L'altra parte è vista come l'incarnazione del male. Il giornalista israeliano Alon Goldstein ha scritto: "Per quanto sia terribile, è anche così semplice: in ogni generazione c'è chi mira ad annientarci perché siamo ebrei. Ora ci troviamo di fronte a creature spregevoli, nazisti reincarnati, Amalek... Israele non deve fermarsi, né battere ciglio, né dubitare e non deve ascoltare nessuno, se non gli occhi dei nostri figli, nipoti e pronipoti... Dobbiamo colpire il nemico arabo con una forza che lo metterà in ginocchio, ferendo ogni famiglia....".
Naturalmente, ci sono anche altri fattori. Più dell'80% degli israeliani incolpa Netanyahu per le evidenti mancanze che hanno permesso l'attacco del 7 ottobre. Sapendo che la sua carriera è finita, lui ha poco interesse a porre fine alla guerra. La guerra fornisce anche una copertura per le mosse in Cisgiordania volte a promuovere la presenza ebraica e a spingere i palestinesi fuori dalla loro terra.
I diplomatici e i politici adesso tornano a proporre la formula dei “due Stati” e provano a ridare credito e peso politico a Fatah e Abu Mazen. Ma questa prospettiva è ancora aperta e possibile?
NEUHAUS: Andrebbe ricordato che nel 1947 le Nazioni Unite hanno deciso la suddivisione della Palestina in due Stati, uno ebraico e uno palestinese. La legittimità dello Stato di Israele si basa sull'istituzione di uno Stato palestinese. Tuttavia, lo Stato palestinese non è mai stato istituito. Oggi 2 milioni di palestinesi sono cittadini di seconda classe in Israele e più di 5 milioni vivono nei territori occupati da Israele dopo la guerra del 1967. Più della metà del popolo palestinese vive in esilio, fuori dalla Palestina storica. Ci sono due popoli, ma un solo Stato.
Negli anni '90, israeliani e palestinesi sembravano aver raggiunto un compromesso. La leadership palestinese in esilio, per lo più Fatah, si trasferì di nuovo in una Palestina che stava prendendo forma in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza. Tuttavia, Israele continuò a costruire insediamenti, controllando la maggior parte del territorio. L'Autorità Palestinese era confinata in aree fortemente popolate. Nel 2005, Israele si è ritirato unilateralmente dalla Striscia di Gaza, un'area densamente sovrappopolata, di cui quasi il 70% è costituito da rifugiati cacciati dallo Stato di Israele nel 1948. La miseria di Gaza è stata un terreno fertile per l'estremismo e Hamas ha preso il controllo della Striscia nel 2007. Nel 2007 Israele ha imposto l'assedio su Gaza, trasformata in quella che è stata definita "una prigione a cielo aperto". Guerre sporadiche sono scoppiate nel 2008, 2012, 2014 e 2021.
Hamas ha espresso una forte opposizione alla soluzione dei due Stati, così come i gruppi estremisti ebraici. Tuttavia, è stato Netanyahu a far fuori concretamente la soluzione dei due Stati, fin dagli anni Novanta. Nel suo attuale governo ci sono coloro che chiedono il trasferimento dei palestinesi oltre i confini, rifiutandosi di riconoscere che sono un popolo. Durante l'ultima tornata di ostilità, un ministero israeliano ha lavorato a un piano per trasferire centinaia di migliaia di palestinesi da Gaza alla penisola del Sinai, governata dall'Egitto.
Parallelamente a questa posizione di durezza, l'Autorità Palestinese, totalmente dipendente dalla benevolenza di Israele, è sprofondata nella corruzione e nella cattiva amministrazione. La sua resurrezione, dopo tanti anni di smantellamento della soluzione dei due Stati e la decadenza dell'Autorità palestinese stessa, potrebbe essere ormai un pio desiderio.
Nella nuova tragedia, come valutare le parole e le opere delle Chiese locali esoprattutto le parole di Papa Francesco?
NEUHAUS: Libera dai vincoli degli interessi politici, la Chiesa può essere profetica, ricordando a tutti che ogni essere umano, sia esso militante di Hamas o colono sionista, è creato a immagine di Dio. La Chiesa può permettersi di essere "ingenua" e promuovere la convinzione che il domani può essere diverso dall'oggi, che gli errori di ieri non devono condizionare il domani. In una lettera indirizzata ai fedeli il 24 ottobre 2023, il cardinale Pierbattista Pizzaballa, Patriarca latino di Gerusalemme, ha scritto: "Avere il coraggio dell'amore e della pace qui, oggi, significa non permettere che l'odio, la vendetta, la rabbia e il dolore occupino tutto lo spazio del nostro cuore, della nostra parola, del nostro pensiero (...) le nostre parole devono essere creative, vivificanti, devono dare prospettiva e aprire orizzonti".
Con le sue parole, la Chiesa può aprire nuovi orizzonti. In Terra Santa, in Israele e in Palestina, nelle sue istituzioni, nelle sue scuole, negli ospedali, negli orfanotrofi e nelle case, la Chiesa serve tutti, israeliani e palestinesi.
Inoltre, la Chiesa ha portato avanti un discorso sensato su Israele e Palestina fin dagli anni Venti, quando ha messo in discussione la promozione dell'etnocentrismo ebraico in Palestina. La Chiesa deve mantenere questo ruolo importante. Ciò include sia la denuncia del terrorismo di Hamas che la causa di fondo dell'instabilità della regione, come ha fatto il cardinale Pizzaballa nella sua lettera ai fedeli: "Solo ponendo fine a decenni di occupazione e alle sue tragiche conseguenze, nonché dando una prospettiva nazionale chiara e sicura al popolo palestinese, si potrà avviare un serio processo di pace. Se non si risolve questo problema alla radice, non ci sarà mai la stabilità che tutti speriamo. (...) Lo dobbiamo alle tante vittime di questi giorni e a quelle degli anni passati. Non abbiamo il diritto di lasciare questo compito ad altri".
L’editoriale di Haaretz del 6 Novembre (fire Israel Far Right) parla di “Estrema destra messianica e Kahanista” che gode di grande potere adesso in Israele e nel governo israeliano, e guarda a questa guerra come a una chance, una opportunità. Quanto è forte questo fattore nello scenario di guerra e nelle singole scelte del governo israeliano?
NEUHAUS: le pulsioni messianiche hanno afflitto il sionismo fin dalla sua fondazione. L'opposizione ultraortodossa al sionismo lo ha sottolineato fin dall'inizio. La miscela particolarmente tossica di nazionalismo etnocentrico, religione e fondamentalismo biblico è venuta alla ribalta dopo la guerra del 1967. Ignorando il diritto internazionale e i diritti della popolazione palestinese autoctona, i coloni si trasferirono nelle città bibliche appena conquistate, come Hebron e Nablus. Per loro, queste aree erano più preziose di Tel Aviv o Haifa. Percepivano un mandato divino per colonizzarle. Il loro discorso divenne più razzista, le loro azioni più violente. La resistenza palestinese è stata stroncata da un esercito che raramente ha reagito alla violenza dei coloni, anche quando questa metteva in pericolo l'esercito stesso.
L'occupazione israeliana di Gerusalemme Est ha fornito a questi gruppi messianici una particolare visibilità, con il tentativo di imporre una presenza ebraica all'interno dell'Haram al-Sharif, il terzo luogo più sacro dell'Islam. Riferendosi ad esso come al Monte del Tempio, i gruppi ebraici hanno chiesto non solo di pregare lì, ma di ripulirlo dalla presenza non ebraica. I gruppi hanno iniziato a pianificare la costruzione di un Terzo Tempio, per studiare come sacrificare come nell'Antico Testamento. Sempre più israeliani sono entrati nell'Haram per pregare sotto la pesante protezione della polizia e di fronte alle stridenti proteste palestinesi.
Secondo questi gruppi, i palestinesi potrebbero rimanere nella terra d'Israele solo se riconoscessero l'egemonia ebraica. Nell'attuale governo israeliano, i leader di questi gruppi ricoprono ora il ruolo di ministri israeliani, controllando risorse chiave. La politica basata sul nazionalismo estremista spiegato come ardore religioso, sia in Israele che in Palestina, costituisce la più forte opposizione a qualsiasi tipo di risoluzione del conflitto. ((Agenzia Fides 9/11/2023)