Piero Gheddo - CESARE PESCE, UNA VITA IN BENGALA (1919-2002) - Ed. EMI

mercoledì, 22 dicembre 2004

Roma (Agenzia Fides) - Quando la Santa Sede mandò i missionari del PIME in Bengala (1855), quel territorio dell'India veniva definito dai colonizzatori inglesi "la tomba dell'uomo bianco". Oggi
non è più così, ma vivere in Bengala (Bangladesh) non è facile. Eppure padre Cesare Pesce, originario di Novi Ligure, vi arriva nel 1948 e vi rimane fino al 2002, anno delle sua morte: 54 anni
spesi per il popolo bengalese con la gioia nel cuore, nonostante le difficoltà e le sofferenze patite. Durante una vacanza in Italia, alla domanda se si stia meglio qui o in Bangladesh, risponde: "La mia
vita è laggiù, dove ho piantato la mia vocazione e dove il sacerdozio assume dimensioni così sconfinate che non saprei concepirlo ne più bello, ne più entusiasmante". Sempre vivace, appassionato e innamorato di Gesù Cristo, ha speso la vita in un popolo fra i più poveri della terra, ma anche fra i più cordiali, geniali, simpatici. Ha dimenticato se stesso e si è dato tutto agli altri; e nel Vangelo chi fa così "riceverà cento volte di più e in eredità la vita eterna" (Mt 19,29). La sua biografia non ha nulla di strabiliante, ma proprio per questo dimostra la grandezza e la bellezza della vocazione missionaria. Cesare, sempre sereno, realizzato, ha avuto una bella vita. Come gli eroi della fede, con le loro avventure più affascinanti di un romanzo di fantasia. (S.L.) (Agenzia Fides 22/12/2004 - Righe 14; Parole 232).


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