Rinaldo Fabris - “LE PRIME COMUNITÀ CRISTIANE E LO STRANIERO” - Ed. EMI

martedì, 15 giugno 2004

Roma (Agenzia Fides) - Partendo dall'esperienza di fede in Gesù Cristo morto e risorto, le prime
comunità cristiane superano l'etnocentrismo della tradizione ebraica e si aprono all'accoglienza dello straniero. Gesù dilata il comando biblico dell'amore del prossimo fino ad abbracciare l'estraneo e il nemico. La sua scelta dei poveri, dei malati, dei peccatori, delle donne e dei bambini,
degli esclusi dalla società diventa il criterio per interpretare la sua morte di croce come radicale condivisione della condizione umana. In Gesù Cristo solidale e fedele fino alla morte di croce i primi cristiani riconoscono il Figlio che Dio ha esaltato costituendolo Signore universale. Su questa fede nel Cristo Signore si innesta la missione cristiana aperta a tutti i popoli, senza distinzione tra vicini e lontani, ebrei e pagani, appartenenti alla propria etnia o stranieri. Paolo di Tarso ha la vocazione specifica per l'allargamento degli orizzonti della fede cristiana. Ma sulle sue orme tutti i discepoli di Gesù Cristo, con la forza dello Spirito, percorrono il mondo "senza confini", portando l'annuncio di un Dio che è Padre di tutti e tutti accoglie e perdona. Lo stile dell'agire di Dio, rivelato in Gesù Cristo, fa superare tutte le barriere etniche, religiose e culturali per formare dei "diversi e divisi" una sola nuova umanità; e ogni volta che queste barriere si ricostituiscono i cristiani devono trovare nella propria fede la forza per incrinarle e abbatterle. Questa "rivoluzione copernicana" viene indagata dall'Autore, noto biblista, in tutta la Scrittura e specialmente nei Vangeli, negli Atti degli Apostoli, nelle Lettere di Paolo, nella Lettera agli Ebrei, nella 1ª Lettera di Pietro e in quella di Giacomo. (S.L.) (Agenzia Fides 15/6/2004 - Righe 18; Parole 268).


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