EUROPA/ITALIA - L’AFFERMAZIONE DI “COMUNIONE E LIBERAZIONE” NELLA TRAVAGLIATA SOCIETA’ DEGLI ANNI ’70: IERI COME OGGI L’UOMO SI CHIEDE SE LA GUERRA SIA L’UNICA RISPOSTA ALL’INGIUSTIZIA E ALLA DISCRIMINAZIONE

lunedì, 7 aprile 2003

Roma (Agenzia Fides) – E’ appena stato pubblicato il secondo volume della storia di “Comunione e Liberazione” dal titolo “La ripresa” (Edizioni San Paolo) che riguarda gli anni 1969-1976. L’Autore, mons. Massimo Camisasca, delinea il cammino di rinascita del Movimento - sotto la guida di don Giussani - e il suo affermarsi definitivo nella Chiesa e nella società italiana, attraversata da cortei urlanti slogan rivoluzionari, scossa da bombe e attentati. “Oggi, come trent’anni fa, gli uomini, di fronte all’ingiustizia, alla povertà, alla discriminazione, si chiedono: non ci rimangono che la guerra e la violenza? Nel marzo 1969 don Giussani dice: “Siamo urtati, feriti inevitabilmente dal male, nella sua versione più clamorosa, quella sociale, cioè l’ingiustizia. Anche se non dobbiamo dimenticare un altro tipo di male, quello che è strutturale alla nostra vita, come ad esempio la morte, la malattia, il tradimento”. L’Agenzia Fides ha rivolto alcune domande su questo tema a mons. Massimo Camisasca.

Monsignor Camisasca, se dovesse utilizzare un’immagine per descrivere questa seconda tappa della storia del Movimento di Comunione e Liberazione, quale sceglierebbe?
Se dovessi esprimere con una sola immagine il percorso raccontato in questo volume, sceglierei la traversata del deserto. Pensiamo al popolo di Israele: gli anni passati fra l’Egitto e la Terra promessa sotto la guida di Mosé hanno permesso la sua formazione e hanno rappresentato anche la scoperta definitiva della sua vocazione nel mondo. Anni segnati da molte avversità, ma anche da molti doni. E da non poche ribellioni verso chi li guidava. Talvolta gli Ebrei avevano l’impressione che tutto dovesse finire, poi il cammino ricominciava, come per miracolo. Gli anni 1969-1976, sette anni soltanto, rappresentano, sotto la guida di don Giussani, il cammino della rinascita del movimento, dopo il periodo della crisi che aveva visto la sua riduzione numerica ai minimi termini, e il suo affermarsi definitivo nella Chiesa e nella società italiana.
Quali sono le maggiori differenze tra questo secondo volume e quello che lo ha preceduto?
Il clima, i colori di questo secondo volume sono profondamente diversi rispetto al primo. Questi era occupato dall’infanzia felice di un grande; dagli anni laboriosi e fecondi, di incontri e di prospettive, vissuti da lui in seminario; dal decennio glorioso di Gs (Gioventù studentesca). Qui invece c’è la fatica della rinascita, della ripresa, in una Milano e in un’Italia attraversate dai cortei, scosse dagli slogan rivoluzionari, dalle bombe, dalle morti. Don Giussani in questi anni si riavvicina progressivamente alla guida ufficiale del movimento, da cui era stato diviso nel giugno 1965, mandato a studiare negli Stati Uniti d’America da dove era rientrato pochi mesi dopo. I mesi americani rappresentano realmente per lui una cesura: se in realtà egli non smette mai di generare il movimento, è anche vero che egli riprenderà in mano solo progressivamente la guida effettiva di Cl.
Quali sono state le sfide più interessanti e impegnative che ponevano quegli anni terribili? E come si inquadrava la posizione di Cl all’interno della Chiesa e del mondo?
Innanzitutto una domanda squassava la Chiesa in quegli anni: da chi può venire la salvezza? Molta parte del cattolicesimo italiano, pur senza necessariamente negare in via teorica che Cristo era il Salvatore, confidava concretamente nell’analisi marxista come strada di liberazione, quando non nella prassi rivoluzionaria. Sta qui il centro dell’insegnamento di don Giussani; la risposta alla domanda: chi è il Salvatore, chi può liberarci dal male? Si confrontavano in quegli anni da una parte una sapienza umana e una moralità umana, vivacemente e talvolta violentemente proposte da coloro che predicavano la salvezza attraverso la rivoluzione, e dall’altra la comunione cristiana, vissuta come un modo assolutamente originale di concepire l’esistenza, che viene dall’alto, nasce dalla fede e da essa trae lo sguardo sull’uomo e sul mondo, costituendo l’unica regola di vita.
Per Giussani rimane sommamente vero che “Dio è tutto ed è dentro l’umano” perché l’eterno è diventato modalità di vita per l’umano. “La grande parola cristiana è l’Incarnazione, ma ciò che porta a galla questo Dio che è dentro tutte le cose, non è una sapienza umana, è la comunione vissuta”. In questi anni egli lotta per una “città nuova che deve nascere”. Ma essa è un dono assoluto che nasce dalla conversione. Sono questi i termini sintetici della questione tremenda, questione di vita o di morte per il cristianesimo, che si pone in quegli anni. Non si tratta assolutamente per don Giussani di una scelta ideologica o di parte. Sempre in quegli anni dice: “La scelta che dobbiamo fare è quella di essere dentro l’unica tensione cristiana che conosciamo, quella tra croce e resurrezione”. Immanenza nel mondo dunque, ma immanenza della comunione cristiana, presenza di un uomo consapevole della novità che porta.
In quel periodo quale risposta don Giussani suggerisce alla domanda sul male, sulla violenza e l’ingiustizia nel mondo?
Il problema del male e del suo affronto era il problema centrale di quegli anni. Lo è anche dei nostri. Sta in ciò, tra l’altro, la ragione più profonda dell’attualità di questo volume. Oggi, come trent’anni fa, gli uomini, di fronte all’ingiustizia, alla povertà, alla discriminazione, si chiedono: non ci rimangono che la guerra e la violenza? Nel marzo 1969 don Giussani dice: “Siamo urtati, feriti inevitabilmente dal male, nella sua versione più clamorosa, quella sociale, cioè l’ingiustizia. Anche se non dobbiamo dimenticare un altro tipo di male, quello che è strutturale alla nostra vita, come ad esempio la morte, la malattia, il tradimento. Come si affronta di solito il problema del male? Attraverso l’analisi e l’azione storica. Ci si sente portati a fare l’analisi della situazione e delle strutture per poi agire, ci si mette assieme perché da soli si fa ben poco, e quello che non si riesce a fare assieme lo farà la storia e i nostri posteri”. Ma, soggiunge Giussani: “io vedo che tutte le posizioni che l’uomo assume con la volontà di eliminare il male nel mondo partendo dal presupposto che il male sia nelle strutture, sono unilaterali, sono costrette per affermarsi a dimenticare o rinnegare qualcosa, e a una violenza subentra un’altra violenza”.
Il male è nell’uomo ed egli non può liberarsene da solo: questo il grido di don Giussani in quei tempi e il centro del suo metodo educativo. Il male ha la radice nell’umana libertà. “Il concetto di peccato originale fonda tutto questo e lo chiarisce. Il male può essere vinto dunque in me solo da un altro, da un altro che sia come me e più grande di me, dal Dio fatto uomo morto e risorto”. Da qui nasce l’insistenza di Giussani affinché si riconosca l’avvenimento di Cristo, dell’uomo nuovo. “Il problema è unico – dice in un’altra occasione – che prendiamo sul serio quell’avvenimento”. Solo quando Gesù ritornerà, il male sarà tolto interamente. Ma la vita della Chiesa, nello stesso tempo è come un anticipo di tale liberazione dal male. In essa, continuità del Risorto, è concesso all’uomo di vivere nel tempo l’esperienza della vita finalmente liberata, definitiva. (Agenzia Fides 7/4/2003; Righe 82 – Parole 1148)


Condividi: