AMERICA/COLOMBIA - A Bogotà un nuovo inizio tra la "gente rotta" del Barrio San Bernardo

giovedì, 2 ottobre 2025 sacerdoti   droga   missione  

di Monica Poletto

Bogotà (Agenzia Fides) - Nella parte meridionale di Bogotà, in una zona un tempo residenziale e medio borghese, si trova il barrio San Bernardo, dove ha sede la parrocchia Nuestra Señora de los Dolores.
Qui è parroco il giovane Padre Juan Felipe Quevedo.
Qui, qualche mese fa, si è trasferito anche padre Carlos Olivero, per tutti padre Charly.
Padre Charly è arrivato a Bogotà per occuparsi, presso la sede centrale del Celam (Conswjo Episcopal Latinoamericano y Caribeño), dello sviluppo nella regione latinoamericana di esperienze di aiuto alle persone in situazioni di marginalità e dipendenza; esperienze fondate sul metodo comunitario, caro alla rete Familia Grande Hogar de Cristo sviluppatasi in Argentina a partire dalla esperienza dei “Curas Villeros”, sacerdoti che operavano nelle Villas Miseria di Buenos Aires.
Questo barrio di Bogotà, nel tempo, si è convertito nel principale luogo di spaccio della città, con strade piene di persone tossicodipendenti, senza casa né cure, masse apparentemente prive di identità che chiedono e offrono droga, giorno e notte. Il barrio ha cambiato così radicalmente il proprio volto quando le persone che vivevano in un povero quartiere vicino sono state sfrattate per fare spazio ad un importante progetto urbano. Una enorme massa di persone senza casa si è dunque trasferita a San Bernardo.
“Durante la seconda metà del XX secolo, la città di Bogotá ha subìto profondi cambiamenti demografici che ne hanno ampliato i confini e trasformato la sua struttura urbana” racconta Padre Juan Felipe. “Questi processi hanno generato una divisione geografica tra aree produttive e residenziali, generando quartieri con problemi sociali complessi, come il nostro barrio San Bernardo”.
Nella piazza sulla quale si affaccia la parrocchia si sentono - un sottofondo incessante- grida che annunciano la disponibilità di sempre nuove droghe o che – attraverso parole in gergo – annunciano l’arrivo della polizia.
Ovunque si vedono persone senza fissa dimora, con la pelle piagata dalla vita in strada e dalle droghe, che si trascinano per poi accasciarsi nella terra e nel fango che coprono le strade.
“L'aumento accelerato del numero di senzatetto che circolano nella nostra zona” continua padre Felipe “ha intensificato i conflitti sociali e ha trasformato la vita quotidiana del quartiere, esasperando problemi come l'abbandono scolastico, le rapine comuni e il consolidamento dei gruppi criminali”.
“Le relazioni tra gli abitanti tradizionali e i senza tetto sono diventate conflittuali e il senso della comunità è offuscato. L'altro non è più riconosciuto come una persona, una parte della comunità, ma come una minaccia. Il degrado fisico, le montagne di spazzatura abbandonate nelle strade contribuiscono alla perdita di speranza degli abitanti”. Ormai il nome “Sanber” è per tutti associato alla violenza e all’emarginazione.
Padre Charly è abituato a luoghi di sofferenza e marginalità, avendo vissuto tutta la sua vita sacerdotale precedente l’arrivo a Bogotà nelle villas miseria argentine “tra gente super rotta che vive in strada, ha fame, ha tagliato tutti i suoi legami, consuma moltissimo”. Però, ci dice che quello che ha incontrato qui va oltre. “Qui è impressionante la quantità di gente che vive per strada. Una ricerca parla di 5000 persone in un solo quartiere. Un numero così grande da rendere difficile pensare ad un qualsiasi approccio”. “Qui si vede che non c’è di risposta da parte dello Stato, né della società civile. Si percepisce una impotenza tanto grande e la speranza è difficile”.
Quando padre Charly, padre Felipe e alcune persone della parrocchia escono a distribuire il cibo, la gente corre perché ha fame. “È una cosa straziante”, continua padre Charly “una cosa tanto urgente che da lì si deve iniziare. A dare il pane”.
Ma insieme a questa urgenza, c’è da coinvolgere tutta la comunità che si sente schiacciata dall’enorme quantità di persone “rotte” che commerciano droga e rendendo il quartiere non più vivibile. Per padre Charly “bisogna generare una sensibilizzazione perché le persone che storicamente vivevano qua possano intuire che i senza tetto sono fratelli, sorelle; che potrebbe succedere a noi o a nostro figlio e che corrisponde dare una risposta umana a questo dramma; che il nostro compito non sono le risposte sociali dello Stato, ma il nostro compito è costruire ponti”.
Padre Felipe incalza: “la speranza cristiana, insegna la tradizione biblica, non è una fuga dal presente, ma una forza trasformatrice. Noi viviamo nella certezza che l'amore di Dio sostiene e accompagna anche in mezzo alle tenebre. La speranza cristiana è essenzialmente comunitaria, non individualista o isolata. Una delle sfide del nostro tempo è la riduzione della speranza a una salvezza privata, scollegata dalla sofferenza della gente. Ma è il volto sofferente di Cristo quello che incontriamo tra gli scartati del nostro barrio. Lui non aspetta che siano guariti per avvicinarli e non si vergogna di avvicinarsi a loro”.
Per questo “la nostra comunità sempre più vuole essere uno spazio di accoglienza radicale, dove la tenerezza e la pazienza accompagnano le persone nei loro processi. La speranza non consiste nel negare il dramma delle dipendenze, ma nell'affermare che nessun abisso è più profondo della misericordia”.
Questo spazio vorrebbe essere anche fisico. “non solo un servizio” dice padre Charly, “ma uno spazio per l’incontro. Questo è molto importante perché a partire dall’incontro si trasforma la persona. Noi ci convertiamo quando iniziamo a scoprire come vede, come sente, che le succede, cosa sta soffrendo l’altra persona. Questo spazio fisico che abbiamo iniziato a costruire ci andrà rivelando il cammino ed è fondamentale che sia un luogo dove possono arrivare sia le persone “più rotte” che popolano le strade del barrio che le altre persone della comunità e si realizzi questo incontro. Dove i più rotti possano lavarsi, essere medicati, mangiare; dove chi vuole possa iniziare a mettere a tema l’uscita dalla droga. Si possono offrire servizi, ma nel quadro dell’inserimento nella comunità. Queste persone, che sono “gli altri”, diventino parte di noi. Perché la comunità se si apre, se abbraccia, se accoglie quelli che più soffrono, cresce, si arricchisce, scopre Gesù e si contagia con la Sua benedizione”.
Nel Barrio San Bernardo sta iniziando qualcosa di nuovo. (Agenzia Fides 2/10/2025)


Condividi: