Genova (Agenzia Fides) – “L’anno 2023 è stato per me ricco di testimonianze in varie città d’Italia. Dopo la condivisione della mia esperienza di missionario sequestrato nel Sahel, c’era sempre lo spazio aperto alle domande del pubblico e non mancava chi chiedeva: dopo quel che hai subìto, vuoi ancora fare il missionario? Tornerai ancora in Africa? Perché non fare il missionario qui, non è missione anche qui? Nella mia risposta non mancavo di precisare che ‘io sono missionario’ e non ‘faccio il missionario’.”
La voce è quella di padre Pier Luigi Maccalli, sacerdote della Società per le Missioni Africane. Originario della diocesi di Crema, padre Gigi così come è conosciuto, per diversi anni era stato in missione in Costa d’Avorio, prima di arrivare nella parrocchia di Bomoanga, diocesi di Niamey, dove ha trascorso un altro decennio prima di essere rapito da un gruppo di presunti jihadisti il 17 settembre del 2018 e liberato l’8 ottobre 2020.
Il missionario, che per il momento non è ancora rientrato in Africa ma che continua a seguire a distanza la sua comunità di Bomoanga, si è soffermato a riflettere sul suo essere missionario in continua evoluzione.
“Nell’immaginario collettivo persiste ancora oggi l’idea che la missione è un fare cose, come ospedali, scuole, pozzi e quant’altro. Missione poi è ancora legata ai territori di missione, tra cui l’Africa in primis. Eppure c’è stato di mezzo un Concilio Vaticano II che ha affermato con forza: ‘La Chiesa è per sua natura missionaria’ (Ad Gentes n. 2). Detto con altre parole, la chiesa non ha missioni, ma è missione.”
“È pur vero che dopo il Concilio Vaticano II (1965) la chiesa ha attraversato un tempo di crisi e di ripensamento che continua ancora oggi – prosegue Maccalli. Gli istituti missionari si sono loro stessi interrogati sul senso della loro identità specifica: se siamo tutti missionari ha senso ancora dirsi e darsi alle missioni? In quel dibattito intervenne l’Evangeli Nuntiandi di papa Paolo VI (1975) che fece uscire il concetto di missione dalle ristrettezze del proselitismo per precisarsi come testimonianza. Il vangelo si coniugò con la promozione umana e questo fu fortemente ispiratore per i missionari. Ci fu poi la Redemptoris Missio di papa Giovanni Paolo II (1990) che introduceva l’importanza del dialogo come parte strutturale della missione. L’universo umano, religioso e culturale è plurale e la chiesa missionaria dialoga con tutti. Con l’Evangelii Gaudium di papa Francesco (2013) infine si supera la dicitura di prima evangelizzazione e nuova evangelizzazione e la chiesa è chiamata ad essere oasi di misericordia e ospedale da campo. La missione non s’impone da fuori e non è un’attività, ma è forza d’amore che attira. La missione allora, non è finita, semmai è finito lo stile imperiale di fare missione. Anzi è appena iniziata l’aurora di un cambio d’epoca anche nella chiesa. Praticamente con gli imperatori Costantino (313 d.C.) e Teodosio (384 d.C.) fino ad oggi la religione cristiana ha goduto del privilegio di religione di stato e si è fortemente legata al potere temporale. Con il Vaticano II (solo 60 anni fa) è albeggiato l’inizio di un tempo nuovo che si ispira alle origini della missione come via crucis: “quando sarò elevato da terra attirerò tutti a me” (Gv 12,32).
“Gli apostoli e le comunità della prima ora, testimoniarono nella persecuzione una fede attraente nella fragilità e nella povertà dei mezzi con stile ospitale – aggiunge in conclusione padre Gigi. Questo è l’essenziale della missione di ieri e di oggi: ospitare fraternità universale. La missione è incompiuta per definizione, l’ottobre missionario rilancia, ad ogni inizio d’anno pastorale, la sua urgenza. Siamo missione e questa chiamata urge forte in me.”
(GM/AP) (Agenzia Fides 21/9/2023)