ASIA/COREA DEL SUD - Che sia vera pace, e non fragile “armistizio”. A 73 anni dall’inizio della guerra, i cattolici coreani pregano per la riconciliazione e l’unità nazionale

sabato, 24 giugno 2023 guerre   pace   riconciliazione  

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di Paolo Affatato

Seul (Agenzia Fides) - A metà degli anni '90 la svizzera Kathi Zellweger, allora direttrice dei programmi di cooperazione internazionale nella Caritas Hong Kong, inizia a interessarsi alla Corea del nord, dove era scoppiata una grave carestia, con drammatiche conseguenze di malnutrizione. Si apre così un canale che permette di organizzare aiuti umanitari alla popolazione locale e la Caritas di Hong Kong diventa l’agenzia di collegamento della intera comunità cattolica globale per la Corea del Nord. Kathi Zellweger inizia una intensa opera di consegna degli aiuti, compiendo, fino al 2006, oltre 50 missioni di carattere umanitario oltre la "cortina di bambù", divenendo la persona straniera che, in tutto il mondo, conosce e frequenta Pyongyang più di ogni altro, viaggiando costantemente in una nazione segnata dall’isolamento politico imposto dall'allora presidente Kim Jong Il.
A partire dal 1995 l’attività umanitaria promossa dalla Caritas individua, in accordo con le autorità coreane, specifiche aree del paese dove operare. Il governo di Pyongyang aveva appena riaperto le frontiere dopo la carestia che aveva attanagliato il paese e le Organizzazioni non governative si preparavano a intervenire. La Caritas è fra le prime organizzazioni ad avviare progetti oltre il 38° parallelo e, nel complesso, in dieci anni fornisce aiuti per oltre 27 milioni di dollari, pubblicando ogni anno un appello per l'emergenza. L'opera umanitaria, notava la donna, era accompagnata parallelamente da una naturale promozione di dialogo, incontro, pace e riconciliazione nella penisola coreana
“Il lavoro umanitario – diceva all’Agenzia Fides - procede con la piena fiducia della autorità governative. Nel contempo, cerchiamo di essere un ponte fra Nord e Sud Corea, promuovendo incontri fra rappresentanti della Caritas della Sud Corea con il Nord. Sebbene sembra che tutto il mondo si prepari a una escalation bellica, noi riteniamo che le armi non siano la giusta soluzione: crediamo nel dialogo e nel negoziato e ci daremo da fare in questa direzione”. Zellweger invitava anche a “non politicizzare l’azione umanitaria", rimarcando che “la Caritas si preoccupa solo della sorte della popolazione” e che gli aiuti umanitari non vanno usati come “arma di negoziazione": "Aiuto umanitario e politica debbono restare separati. Non bisogna smettere di organizzare aiuti a causa della situazione politica tesa. In Corea del Nord si lotta per sopravvivere, le preoccupazioni riguardano i viveri, la salute, la scuola. I beneficiari degli aiuti sono i gruppi più vulnerabili, soprattutto bambini, donne e anziani ai quali si garantisce alimentazione di base e assistenza sanitaria”. E concludeva, forte della sua esperienza in loco e saggezza: "Per risolvere i problemi occorre parlarsi. Il dialogo è il primo passo essenziale".

Quella storia di cooperazione e di "dialogo di vita" ebbe un potenziale salto in avanti quando, nel 2006, si organizzò un “passaggio di consegne”: ad assumere la responsabilità completa dei progetti di cooperazione in Corea del Nord, fu la Caritas di Seoul e, a partire dal 2007, la gestione degli aiuti umanitari venne affidata ad Augustine Koo, un laico cattolico coreano che prese il posto di Kathi Zellweger.
Accanto all’accoglienza di missioni di cooperazione, segnali di apertura vi erano anche verso una "attività religiosa controllata": non essendoci alcun sacerdote cattolico in Nord Corea, nell’unica chiesa cristiana esistente a Pyongyang la messa si celebrava periodicamente quando un sacerdote dal Sud (come il missionario di Maryknoll p. Gerard Hammond, più volte recatosi oltre frontiera) era ammesso a Pyongyang.
La cornice politica era favorevole: nel 2000 si era inaugurata la cosiddetta "sunshine policy" con lo storico incontro tra Kim Dae-jung e Kim Jong-Il – i due leader rispettivamente di Sud e Nord Corea – che prefigurava una nuova stagione di collaborazione reciproca. E la costruzione del complesso industriale di Kaeseong, “zona franca” al confine, fatta di stabilimenti e fabbriche che accoglievano lavoratori dal Nord e dal Sud, apriva orizzonti di cooperazione economica fino ad allora inesplorati.
Tutti segnali che, negli anni scorsi, intendevano superare la logica della guerra e dell’isolamento per portare un benefico “accerchiamento di pace" alla Nord Corea, mentre la cortina di filo spinato sul 38° parallelo ancora divide la medesima nazione, fin dal tempo di una guerra mai ufficialmente conclusa.

Era il 25 giugno 1950 quando Kim Il-Sung ordinò al suo esercito di invadere la Corea del Sud, dando il via alla guerra di Corea, che si concluse nel 1953, 70 anni fa. La penisola coreana, occupata dal Giappone nel 1910, nel 1945 venne liberata da Unione Sovietica (che occupò la parte al Nord) e Stati Uniti (che avanzarono a Sud) incontrandosi nei pressi del 38° parallelo. Nel 1950 l’esercito del Nord conquistò Seul e quasi tutto il territorio sudcoreano e solo l'intervento degli USA riuscì a ricacciare i nordcoreani dalla Corea del Sud. Nell’ottobre del 1950 l’esercito cinese entrò in Corea: di fronte all’offensiva cinese gli americani furono costretti a ritirarsi finchè la linea del fronte si stabilizzò nei pressi del 38° parallelo. Le parti avviarono trattative per giungere a un armistizio, che venne siglato il 27 luglio 1953 nella cittadina di Panmujeon, situata presso il confine, che segnava la "cortina di bambù" ancora oggi in vigore. La guerra fu cruenta. I sudcoreani, gli americani e i loro alleati persero circa 200mila uomini tra morti e dispersi, insieme a centinaia di migliaia di feriti; nordcoreani e cinesi subirono perdite tra 400.000 e 1.000.000 di uomini. Dure conseguenze le pagarono i civili: gli storici stimano che circa 2.500.000 coreani del Nord e del Sud persero la vita a causa del conflitto.
Dopo la guerra, in Corea del Nord si è consolidato un regime dinastico. A Kim Il-Sung, morto nel 1994, sono succeduti il figlio Kim Jong-Il fino al 2011 e a questi l’attuale Kim Jong-Un. Il regime si basa sulla filosofia "Juche", ideologia ufficiale dello Stato, che prevede una forte militarizzazione della società, un uso delle risorse economiche nazionali e l'isolamento dal resto del mondo. La Corea del Sud è rimasta invece nell'orbita degli Stati Uniti e, negli ultimi decenni, ha adottato un sistema democratico e liberale, sviluppando un'economia specializzata soprattutto in prodotti tecnologici.

Oggi la nazione - e in essa la comunità cattolica sudcoreana - rivive quella dolorosa esperienza bellica di 70 anni fa, che ha lascito profonde ferite, con un profondo desiderio di pace che viaggia su due binari e due termini: riconciliazione e riunificazione, sogno mai sopito nell’immaginario coreano, che riporta ai secoli in cui la penisola era unita.
I rapporti tra le due Coree negli ultimi 70 anni hanno vissuto alti e bassi, fasi di forti tensioni e - come raccontato – tentativi e passi di riavvicinamento. In vista del 70° anniversario della fine dello scontro bellico. guerra, vescovi sudcoreani hanno annunciato la speciale “Giornata di preghiera per la riconciliazione e l’unità nazionale” per il 25 giugno, preceduta da un cammino di preparazione in cui i cattolici su tutto il territorio nazionale vivono una novena di preghiera. “Questo confronto incompiuto è ancora la causa principale della attuale minaccia alla pace”, hanno scritto, ricordando che armistizio non è vero trattato di pace. La conferenza episcopale rileva con sofferenza l’interruzione delle comunicazioni tra le due Coree, elemento foriero di fraintendimenti e conflitti. Segnalando il rischio di una escalation, alla vigilia della Giornata di preghiera per la riconciliazione, i vescovi coreani ribadiscono che l’unica via per prevenire la guerra è quella di riattivare un canale di dialogo: “Anche se è un viaggio lungo e faticoso, non possiamo rinunciare ai nostri sforzi per la pace nella penisola coreana. Dio ci ha affidato il ministero della riconciliazione. Crediamo che la vera pace si possa raggiungere attraverso la fiducia e il perdono reciproco. Gli incontri, il dialogo e gli sforzi per comprendersi sono la strada giusta per la pace: non lo sono le armi ad alta tecnologia o la potenza militare”.
(Agenzia Fides 24/6/2023)


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