AFRICA/SOMALIA - “Vi sono dai 3 ai 4 milioni di persone a rischio” dice a Fides il Vescovo di Gibuti dopo che il PAM ha sospeso la distribuzione degli aiuti dal sud della Somalia

giovedì, 14 gennaio 2010

Mogadiscio (Agenzia Fides)- “Sono molto preoccupato per la situazione umanitaria nel centro-sud della Somalia, dove dai 3 ai 4 milioni di persone dipendono dagli aiuti internazionali per la loro sopravvivenza” dice all’Agenzia Fides Sua Eccellenza Mons. Giorgio Bertin, Vescovo di Gibuti e Amministratore Apostolico di Mogadiscio. “Ora che il Programma Alimentare Mondiale ha deciso di ritirare il proprio personale dall’area la situazione di queste persone rischia di diventare drammatica. Capisco le motivazioni dei vertici del PAM, ma occorre trovare la modalità per continuare ad assistere queste popolazioni” afferma Mons. Bertin. Agli inizi di gennaio il PAM ha deciso di sospendere le operazioni in Somalia a seguito di un ultimatum lanciato dalla milizia integraliste Shabab, che in precedenza aveva più volte attaccato e saccheggiato le strutture dell’organizzazione umanitaria.
“Anche i rifugiati somali accolti in alcune strutture in Kenya si trovano in difficoltà a causa delle inondazioni che hanno colpito il Paese nelle ultime settimane” dice Mons. Bertin. “Per quanto concerne i 10mila somali rifugiati a Gibuti, la loro situazione è difficile ma nel complesso stabile. La Chiesa cattolica ha stipulato un accordo con l’Alto Commissariato ONU per i Rifugiati (UNHCR) per un programma di aiuto e sostegno a queste persone”.
Sul piano politico si segnala un nuovo sviluppo: gruppi autonomi moderati musulmani, di ispirazione sufita, alleati indipendenti del legittimo governo, stanno sconfiggendo le milizie integraliste degli Shabab. “Nella Somalia attuale le confraternite sufi, che rappresentano l’Islam tradizionale somalo, hanno perso buona parte della loro influenza rispetto a 30/40 anni fa, ma sono ancora un punto di riferimento per una parte della popolazione” spiega Mons. Bertin. “Il richiamo all’islam tradizionale con il ricorso alla confraternite sufi, potrebbe rientrare in una strategia volta a utilizzare il sentimento religioso contro quei movimenti, come gli Shabab, che usano la religione a fini politici. Una strategia forse promossa da potenze straniere che da tempo si immischiano nelle vicende somale”.
Nella parte nord della Somalia, nel Somaliland, regione che si è proclamata indipendente dal resto del Paese nel 1991 (indipendenza non riconosciuta però dalla comunità internazionale), le tensioni interne legate al rinvio delle elezioni rischiano di provocare un’esplosione di violenza tra i diversi clan, che finora avevano, a differenza del sud della Somalia, assicurato una certa stabilità all’area. “Se questo dovesse succedere, gli Shabab, che già hanno tentato di penetrare nell’area, ne approfitterebbero” dice Mons. Bertin. Il Somaliland si trova di fronte allo Yemen, dove il governo, che affronta due rivolte armate, è preoccupato che i migliaia di rifugiati somali prendano posizioni estremiste. (L.M.) (Agenzia Fides 14/1/2010)


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