ASIA/GIAPPONE - I Gesuiti e il sogno della Chiesa giapponese

venerdì, 9 maggio 2008

Tokio (Agenzia Fides) - Il prossimo 24 novembre il Cardinale Josè Saraiva Martins, Prefetto della Congregazione per le Cause dei Santi, a Nagasaki proclamerà 188 Beati giapponesi. Sarà un giorno memorabile per la piccola ma radicata comunità cattolica in Giappone, che proprio a Nagasaki, città simbolo del bombardamento atomico, ha la sua rappresentanza più numerosa e vivace. La scelta di una beatificazione “comunitaria” si iscrive in un'attenzione crescente per la Chiesa nipponica ed in particolare per l'opera evangelizzatrice della Compagnia di Gesù. Non a caso uno dei nuovi beati sarà il gesuita Pietro Kibe Kasui, martirizzato assieme ai suoi 187 compagni tra il 1603 e il 1639.
La storia del cristianesimo in Giappone è profondamente legata all'evangelizzazione dei Gesuiti che, a partire dal XVI secolo, coinvolgerà un numero sempre crescente di missionari dispersi in un continente appena conquistato dalle potenze coloniali europee. Francesco Saverio, il grande missionario proclamato Patrono delle Missioni, fu il primo gesuita a mettere piede in Giappone, il 15 agosto 1549. Francesco era partito da Lisbona otto anni prima, dopo una richiesta del re del Portogallo Giovanni III al Papa e a Ignazio di Lodola, di inviare alcuni missionari nelle Indie Orientali. Durante la sua permanenza nel paese Francesco incontrò principi, monaci buddisti, bonzi, dialogando con loro grazie ad un compagno interprete e apprendendo meticolosamente i rituali di cortesia. L'atteggiamento di rispetto per la cultura locale rendeva la sua predicazione molto incisiva presso il popolo, mentre le diffidenze delle classi elevate e dei religiosi erano l'anticipazione di una sanguinosa repressione imperiale che si sarebbe scatenata a partire dalla fine del Cinquecento.
Dopo questa prima fondamentale fase dell’evangelizzazione, un altro gesuita italiano, Alessandro Valignano, ebbe un ruolo di primo piano nel consolidare uno stile missionario attento alle specificità culturali e religiose del luogo. Divenuto Visitatore per le Missioni dell'India nel 1573, per 32 anni fu un organizzatore infaticabile. Soggiornò in Giappone tre volte (dal 1579 al 1582, dal 1590 al 1592 e dal 1598 al 1603) e ne studiò attentamente la società al punto da redigere nel 1581 un “Manuale per i missionari del Giappone”, testo esemplare di una strategia dell'inculturazione in anticipo rispetto al suo tempo. Trovandosi a contatto con una rigogliosa cultura extraeuropea, il Valignano recepì la sfida di non opporre il modello occidentale. Egli anzi propose lo studio della cultura locale, la valorizzazione degli autoctoni e l'utilizzo di mediatori culturali. Aprì seminari e scuole e fece stampare libri tradotti con la massima cura per la diffusione della fede cristiana. Ancora oggi la sua lezione è considerata una pietra miliare dell’interculturazione. Le linee guida del suo Manuale esprimevano pienamente le idee e le speranze del gesuita circa la nascita di una Chiesa giapponese autoctona, che la repressione tuttavia troncò brutalmente.
A Nagasaki, il 5 febbraio 1597, vennero uccisi 36 cristiani (tra cui tre missionari gesuiti) che Pio IX canonizzerà nel 1862. Nel Seicento le persecuzioni raggiunsero la massima violenza. All'inizio del secolo il Giappone contava circa 300 mila cattolici, ma ben presto le pubbliche abiure e le uccisioni di massa (tra cui quella dei 188) costrinsero la comunità ad un'esistenza catacombale, senza gerarchia né sacerdoti. Solo nella seconda metà dell'Ottocento e ancora più tardi dopo il 1945, il Giappone conobbe una nuova stagione di evangelizzazione, incentivata dalle dichiarazioni del Concilio Vaticano II sulla cooperazione tra le religioni e l'inculturazione del Vangelo. In questo campo l'Università di Tokyo “Sophia” fondata dai Gesuiti si è distinta con una serie di studi di alto livello sulla religiosità dei giapponesi, gettando le basi per una nuova, prolifica azione missionaria all'alba di un nuovo millennio. (A.M.) (Agenzia Fides 9/5/2008; righe 43, parole 600)


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