EUROPA/ITALIA - Il testamento biologico: contributi alla riflessione (2)

giovedì, 14 febbraio 2008

Roma (Agenzia Fides) - Sulla questione del testamento biologico pubblichiamo l’intervento del Prof. Giuseppe Fasanella. Medico-Chirurgo, Specialista in Ematologia Generale (clinica e laboratorio) e in Medicina Legale delle Assicurazioni. Responsabile della struttura semplice di medicina legale dell’Ospedale Casa Sollievo della Sofferenza, San Giovanni Rotondo (FG). Docente di Medicina Legale al Corso di laurea in Infermieristica e di Bioetica al corso di Laurea in Ostetricia presso la Casa Sollievo della Sofferenza, Sezione staccata Università di Medicina di Foggia.

Che cosa pensa di una norma che sancisca il testamento biologico?
Ritengo che non rappresenti una priorità. Il nostro ordinamento giuridico e la nostra Costituzione già possiedono norme atte a regolare il rapporto medico-paziente. Una eventuale legge sul testamento biologico, di per sé, potrebbe essere di aiuto al rapporto medico-infermiere-paziente, ma
a condizione che non permetta l’eutanasia e non sia vincolante per il medico, e ciò per tutta una serie di ragioni. La vita infatti è un bene fondamentale per l’uomo, che può essere riconosciuto non solo dai credenti, ma anche da ogni uomo con gli occhi della sola ragione. Tutti noi dobbiamo chiederci se sia un bene per la società iniziare a prevedere eccezioni al principio della difesa della vita, principio che rappresenta una importante acquisizione della civiltà umana nel corso dei secoli.
In altre parole, se per testamento biologico (sarebbe meglio utilizzare la dizione di dichiarazioni anticipate di trattamento) intendiamo un documento contenente indicazioni circa l’assistenza religiosa, la donazione di organi, le modalità di umanizzazione della morte, le preferenze del soggetto in relazione al ventaglio delle possibilità diagnostico-terapeutiche, l’implementazione delle
cure palliative, il rifiuto dell’accanimento terapeutico, allora nulla questio.
Ma se invece intendiamo una dichiarazione finalizzata a richiedere il non inizio o la sospensione di trattamenti terapeutici di sostegno vitale, che però non realizzano nella fattispecie indiscutibili ipotesi di accanimento terapeutico, come pure la sospensione dell’alimentazione e dell’idratazione artificiale, non posso essere d’accordo, perché non si perseguirebbe il bene integrale dell’uomo.
L’impressione che ho è che in Italia i più accaniti sostenitori dell’approvazione di una normativa sul
testamento di vita perseguono l’obiettivo, più o meno dichiarato, di favorire in maniera subdola l’introduzione della eutanasia nel nostro ordinamento, in una cultura permeata dal relativismo etico, in cui, per dirla con il filosofo Italo Mancini, predomina l’asignificanza delle rotture, cioè la incapacità di distinguere il bene dal male. D’altronde, non possiamo sottacere l’ambiguità ed i limiti del principio di autonomia, come pure la difficoltà di una informazione completa nei confronti dei pazienti. Certamente (Cfr. Convenzione di Oviedo del 1997) “i desideri precedentemente espressi a proposito di un intervento medico da parte del paziente che - al momento dell’intervento - non è in
condizioni di esprimere la sua volontà devono essere tenuti in conto”.
Inoltre, il testamento di vita non possiederebbe i requisiti dell’attualità, vincolo assolutamente necessario, a mio parere; nel decorso di una malattia, nell’arco anche di poco tempo, spesso si presentano situazioni diverse ed estremamente variabili da quelle prospettabili in precedenza. Il malato, nella maturazione che la sofferenza comporta, vede con occhi diversi la malattia e può prendere decisioni che in buona salute non si sognerebbe mai di prendere. Infine, il medico non è un semplice esecutore di volontà altrui, perché possiede una propria autonomia professionale. L’Art. 3 del codice deontologico medico italiano stabilisce che “dovere del medico è la tutela della vita della salute fisica e psichica e il sollievo della sofferenza nel rispetto della libertà e dignità della persona umana”.

Che cosa intende per accanimento terapeutico?
Si ha l’accanimento terapeutico quando si utilizzano mezzi sproporzionati e/o straordinari in relazione alla situazione clinica del paziente. I mezzi sproporzionati sono quelli che si prevede non arrechino alcun beneficio al paziente, che potrebbero prolungare di poco in maniera penosa e precaria la vita.

Che cosa intende per eutanasia?
Porre fine ai giorni di un paziente allo scopo di lenire il dolore. Con l’eutanasia arbitrariamente si decide di anticipare il momento della morte di una persona. Non solo da un punto di vista morale, ma anche medico legale, non credo che vi sia una differenza sostanziale tra eutanasia attiva ed omissiva. Infatti, anche una omissione può configurare una condotta illecita. Nella mia attività professionale medico-legale conosco molto bene come una omissione che abbia causato la morte di
un paziente può sostenere l’accusa di omicidio colposo.

Nel codice deontologico ci sono le risposte necessarie a questa problematica?
Sì, nel codice, sia pure con alcuni distinguo, vi sono già le risposte necessarie per questa problematica. Ho già richiamato l’art. 3 sui doveri del medico sul rispetto della vita ed il sollievo della sofferenza. Il codice prevede che i medici tengano in conto la volontà del paziente. Prevede che il medico si astenga da un indebito accanimento terapeutico. Vieta espressamente al medico forme di eutanasia attiva.

Esiste, e in che cosa consiste, il conflitto tra volontà espresse in precedenza dal paziente e posizione di garanzia del medico?
La posizione di garanzia del medico, stante la tradizione medica, la normativa vigente e l’attuale codice deontologico, si fonda sul dovere di ricercare e di fare il bene del paziente, che non può prescindere dalla salvaguardia del bene della vita. Il conflitto insanabile nascerebbe se la volontà espressa in precedenza intendesse obbligare il medico a provocare la morte del paziente. Il modello dell’autonomia non descrive l’intero ambito delle norme etiche che regolano il rapporto medicopaziente.

Nel corso della sua professione ha mai avuto problemi, nel senso di denunce legali, nel caso di
interventi contrari alle indicazioni del paziente che pur hanno consentito di salvare la vita o di
ristabilire un equilibrio di salute o di sospensione di terapie sproporzionate da cui è derivata
la morte del paziente?
No, nessuna denuncia legale.

Può indicare la differenza tra testamento biologico e pianificazione dei trattamenti, contestualizzata nella relazione medico-paziente?
L’estrema esasperazione della autonomia del paziente potrebbe comportare un isolamento maggiore ed addirittura un abbandono nella fase della malattia in cui c’è maggiormente bisogno del parere di medici davvero competenti, della loro presenza ed umanità. E’ interesse di tutti far sì invece che il rapporto medico paziente, nel rispetto reciproco, sia improntato ad una alleanza terapeutica.

L’implementazione delle cure palliative e dell’assistenza domiciliare, delle strutture di lungodegenza e degli Hospice possono essere una risposta all’eutanasia e all’abbandono terapeutico? Come si presenta la sua realtà geografica da questo punto di vista?
Certamente lo sviluppo degli Hospice, delle cure palliative e dell’assistenza domiciliare possono dare una risposta all’eutanasia ed all’abbandono terapeutico. Purtroppo, nella mia realtà geografica, vi è carenza di tali strutture e vi è necessità di una notevole implementazione. (2 - continua) (D.Q.) (Agenzia Fides 14/2/2008; righe 94, parole 1.085)


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