AFRICA/SOMALIA - “Non lasciarsi intimidire dalle dichiarazioni bellicose, ma armarsi di pazienza per cercare di riportare la pace nel Paese” dice a Fides l’Amministratore Apostolico di Mogadiscio, Mons. Bertin

giovedì, 8 marzo 2007

Mogadiscio (Agenzia Fides)- “Dopo quello che è successo negli ultimi 2 mesi le dichiarazioni di Adan Hashi Aryo erano più che prevedibili” dice all’Agenzia Fides Mons. Giorgio Bertin, Vescovo di Gibuti e Amministratore Apostolico di Mogadiscio, commentando l’appello a combattere le truppe dell’Unione Africana lanciato da uno dei dirigenti delle Corti Islamiche, Adan Hashi Aryo.
“Combatteremo l'occupazione del nostro Paese: sia che si tratti di truppe etiopiche, che di quelle di altri Paesi” ha dichiarato a radio 'Koran' di Mogadiscio Adan Hashi Aryo, uno dei dirigenti delle Corti islamiche messe in fuga alla fine dello scorso anno dai soldati di Addis Abeba, che in un travolgente attacco conclusosi in un paio di settimane ne hanno sbaragliato le milizie. L’appello ai giovani musulmani a non arrendersi agli “infedeli”, non è nuovo: è stato più volte reiterato ma giunge il giorno dell’arrivo delle prime truppe ugandesi dell’Unione Africana (vedi Fides 7 marzo 2007).
“Occorre prendere queste affermazioni seriamente ma allo stesso tempo non bisogna lasciarsi intimidire, tenendo conto che dichiarazioni del genere fanno parte della cultura e della mentalità” afferma Mons. Bertin. “L’importante è agire mantenendo la calma, continuando a rimanere fermi nel compito di ricostruire lo Stato somalo, avviando subito i lavori preparatori della conferenza di riconciliazione nazionale del 16 aprile. Qualche osservatore potrebbe ritenere che bisogna agire più in fretta, ma bisogna tenere conto della complessa struttura della società clanica locale. Per mettere insieme le diverse posizioni occorre tempo e molta pazienza”.
“In questo lasso di tempo” continua il Vescovo “i militari del Governo di Transizione, quelli dell’Unione Africane e gli stessi soldati etiopici che ancora non hanno lasciato il Paese, devono dimostrare prudenza, cercando di evitare di cadere nella trappola delle provocazioni armate. È evidente in effetti il tentativo da parte di chi si oppone alla forza dell’Unione Africana di provocare reazioni spropositate da parte dei militari africani in modo da causare vittime civili, alienando definitivamente il supporto della popolazione al governo di transizione”.
Secondo Mons. Bertin “il dialogo è la strada maestra per coinvolgere le Corti Islamiche, o parti di esse, nel processo di riconciliazione nazionale. Penso però che le Corti devono essere coinvolte nei colloqui non in quanto soggetti a se stanti, ma riconducendole all’interno dei singoli clan di appartenenza”.
I responsabili della missione in Somalia dell’Unione Africana hanno dichiarato che non si lasceranno intimidire e che continueranno a offrire supporto al Governo di Transizione. La situazione a Mogadiscio rimane però molto tesa dopo l’agguato della notte scorsa nell’area del “Chilometro 4”, zona sud della capitale, non lontana dall'aeroporto, dove molto spesso si verificano combattimenti. Un gruppo di guerriglieri ha esploso granate e colpi d'arma da fuoco pesante contro un convoglio di soldati ugandesi in transito. Tra di loro, ufficialmente, non ci sarebbero perdite, ma la sparatoria ha provocato vittime civili: almeno 13 morti e 27 feriti, molti dei quali in gravi condizioni. (L.M.) (Agenzia Fides 8/3/2007 righe 41 parole 513)


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