VATICANO - Il segno del presepe: storia e leggenda dell’incipit cristiano

venerdì, 23 dicembre 2005

Città del Vaticano (Agenzia Fides) - Pubblichiamo un contributo del rev. Carlo Chenis, Segretario della Pontificia Commissione per i Beni Culturali della Chiesa, sul segno del presepio.

Il presepe nelle sue multiformi scenografie illustra con le modalità del romanzo storico l’incipit dell’era cristiana. Il racconto della nascita di Cristo si arricchisce di atmosfere soprannaturali, mitiche, ancestrali. L’uso, consolidato dalla tradizione, di rivisitare i luoghi e i tempi della nascita di Gesù Cristo attraverso una rievocazione figurativa permette di riunire intuizioni ed emozioni in un unico afflato estetico e mistico. Il presepe è ipostasi della fantasia e segno della realtà. La fantasia presenta l’habitat dell’Emmanuele con la freschezza dell’immaginazione attraverso cui le cose sensibili si trasfigurano in un presente ad immagine dei desideri più intimi. La realtà invece ricorda il lieto evento nella sua oggettività dura e lontana. Ma pensando che il presepe narra della nascita di Gesù, allora la fantasia si coniuga con la realtà donando, l’una l’emozione, l’altra la conoscenza del Dio-con-noi presente nell’oggi della Chiesa e del mondo.
Il presepe s’affolla allora di leggende che rendono più vivido il ricordo di quella notte santa quando il mondo si illuminò di grazia per l’avvento del suo salvatore. S’arricchisce di personaggi contemporanei all’azione, posteriori nel tempo, attuali a chi lo compone, poiché vuole indicare l’omaggio a Dio degli uomini di ogni tempo, popolo, nazione. Muta nei costumi e nei colori ripercorrendo la storia delle sue tradizioni, la fantasia dei suoi artisti, il gusto dei suoi committenti.
Lo scoccare del nuovo millennio dell’era cristiana conduce con forza sull’onda del ricordo a quell’«ora zero» della redenzione, che il tempo convenzionale scandisce nella simbologia dei numeri ed il presepe ripresenta in quella delle figure. La rivisitazione della storia del presepe origina spaesamento, commozione, nostalgia, pace. L’animo di fanciullo, che sempre si nasconde nell’intimo di ognuno, riemerge dinanzi al presepe con sentimenti comuni ad infinite generazioni. Innumerevoli adulti hanno saputo farsi piccoli con evangelico candore, per raccontare ai piccoli il momento più intimo e più solenne dell’umanità: la nascita di Gesù in Betlemme. Dalle più antiche iconografie sulla natività, al presepio di frate Francesco, alle soluzioni delle avanguardie contemporanee, il mistero del Dio fatto uomo viene espresso con fare ingenuo e mistico. Il presepe, per quanto artistico esso sia, si deve ammirare con cuore di fanciullo, poiché lo splendore delle forme sensibili non deve mistificare l’umile grandezza dell’evento celebrato.

1. L’araldo nunziante

Il presepe è anzitutto annuncio. Nei suoi segni sensibili assolve al ruolo dell’araldo che ricorda quanto proclamato dagli angeli agli uomini di buona volontà: «Gloria in excelsis Deo et in terra pax hominibus». Questa solenne dichiarazione, in cui alla glorificazione di Dio si unisce l’augurio di pace, vuole portare in ogni tempo e ad ogni uomo la grande consolazione della presenza provvidenziale di Dio. Il presepe, con le sue atmosfere rarefatte e rappacificanti, canta l’utopia cristiana della pace universale, indicando nella grotta di Betlemme il «Deus omnia in omnibus», poiché Emmanuele. Il suo riconoscimento è concesso solamente a chi è rivestito di grazia divina, come Maria e Giuseppe; a chi è avvolto di beatificante povertà, come i pastori; a chi è assetato di vera sapienza, come i magi di oriente.
Il presepio dice, con un linguaggio arcano e familiare, che l’intera creazione e tutte le profezie trovano compimento nel segno paradossale di Betlemme. Di fronte ad esso, prima ancora di sentire il dolce suono delle ciaramelle e delle pive con le loro tradizionali melodie, occorre ascoltare il canto del preconio che dà il motivo di tanta gioia domestica. Il Martirologio Romano propone, nelle figure lineari del canto gregoriano, l’epopea dell’umanità alla quale Dio rivolge il suo sguardo. La cantillazione, dal tono grave e composto, ricorda le varie tappe della storia della salvezza:

«Anno a creatione mundi, quando in principio Deus creavit caelum et terram, quinquies millesimo centesimo nonagesimo nono; a diluvio autem, anno bis millesimo nongentesimo quinquagesimo septimo; a nativitate Abrahae, anno bis millesimo quintodecimo; a Moyse et egressu populi Israël de Ægypto, anno millesimo quingentesimo decimo; ab unctione David in Regem, anno millesimo trigesimo secundo; Hebdomada sexagesima quinta, juxta Danielis prophetiam; Olympiade centesima nonagesima quarta; ab urbe Roma condita, anno septingentesimo quinquagesimo secundo; anno Imperii Octaviani Augusti quadragesimo secundo, toto orbe in pace composito, sexta mundi aetate, Jesus Christus, aeternus Deus aeternique Patris Filius, mundum volens adventu suo piissimo consecrare, de Spiritu Sancto conceptus, novemque post conceptionem decursis mensibus».

È un solenne preludio in cui la cronologia degli eventi intende svelarne l’intimo dinamismo cairologico, così che lo scorrere del tempo diventa il segno dell’amore di Dio culminante nella venuta in terra di Gesù. La narrazione si sublima nell’idealità del «toto orbe in pace composito», immagine eloquente del Regno dei cieli che si anticipa in chiunque accolga nel suo cuore la presenza di Dio. Poi la melodia muta improvvisamente, trasformandosi quasi in urlo, assai alto nell’intonazione, quando il cantore acclama «in Bethlehem Judae nascitur ex Maria Virgine factus Homo». Ma subito la gioia festante precipita e il canto si modula in tono passionis onde ricordare il divino abbassamento con le parole: «Nativitas Domini nostri Jesu Christi secundum carnem».
La fruizione del presepe necessita di questa voce araldica che faccia comprendere la grandezza dell’evento, per cui diventa lecito e doveroso riproporne il ricordo ed ascoltarne il messaggio. Nelle sue fantasiose composizioni il presepe annuncia in ogni tempo la lieta notizia della venuta di Dio nel mondo diventando per i fedeli - piccoli e grandi - occasione di ringraziamento e segno di accoglienza.

2. I giorni di Betlemme tra cronaca e leggenda

Il presepe supera la storia, poiché la presenza di Dio è sempre attuale. Gesù ha però accettato i limiti temporali e spaziali imposti dalla vicenda umana. L’evento della sua nascita è quindi situato in un preciso momento storico. Di questo sfuggono molti elementi, poiché lontano nel tempo ormai due millenni. Dunque la cronaca è lacunosa, così che il ricordo del fatto è compensato dall’evocazione simbolica e dalla leggenda. Il sublime mistero della nascita di Gesù che si presenta in quelle semplici e modeste forme umane, comuni a tutte le famiglie, ha in ogni tempo toccato il sentimento popolare e dato vita a molteplici manifestazioni, sia nell’ambito iconografico, sia in quello della pietà popolare.
Le profezie annunciano la venuta del Messia e i vangeli ci parlano del suo natale. Betlemme è il luogo in cui si avverano i vaticini dell’avvento di Dio sulla terra: «E tu, Betlemme di Efrata, così piccola per essere fra i capoluoghi di Giuda, da te mi uscirà colui che deve essere il dominatore in Israele; le sue origini sono dall’antichità, dai giorni più remoti». La circostanza storica dell’inospitale romitaggio di Maria e Giuseppe è dovuta al censimento preteso dall’imperatore Cesare Augusto. Il motivo della sosta forzata nella stalla è cagionato dal rifiuto degli albergatori ad ospitare la gestante ormai prossima al parto. Si tratta dunque di una storia di ordinaria povertà ed emarginazione che non merita epiche rimembranze. Ma i fatti precedenti della nascita aprono alle profezie antiche e sono commentate da segni divini.

«Ecco come avvenne la nascita di Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. Giuseppe suo sposo, che era giusto e non voleva ripudiarla, decise di licenziarla in segreto. Mentre però stava pensando a queste cose, ecco che gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: “Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo. Essa partorirà un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati”. Tutto questo avvenne perché si adempisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: “Ecco, la vergine concepirà e partorirà un figlio che sarà chiamato Emmanuele”, che significa Dio con noi. Destatosi dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore e prese con sé la sua sposa, la quale, senza che egli la conoscesse, partorì un figlio, che egli chiamò Gesù».

In risonanza con quanto riferisce Matteo sono gli altri sinottici, mentre Giovanni dà subito all’avvento di Gesù una connotazione metastorica in termini solennemente teologici ed teofanici. La notizia della nascita di Gesù ha una diffusione limitata, ma tipologica. Sono infatti implicati: gli angeli, i pastori, i magi, Erode e la sua corte, oltreché la stella cometa. Gli angeli danno la notizia ai pastori, che rassicurati dallo spavento della visione corrono ad adorare il bambino. I magi seguono la stella e dopo aver chiesto inutilmente informazioni al re Erode riconoscono il bambino nella stalla di Betlemme. I vangeli riportano poi l’episodio della fuga in Egitto e della strage degli innocenti per mano dei sicari di Erode. Le informazioni sulla nascita di Gesù date dai vangeli non riferiscono altro. Il resto è affidato alla tradizione dei vangeli apocrifi e alla fantasia delle varie comunità cristiane che hanno saputo rivivere in forme diverse il mistero del natale colmando le lacune storiche con suggestive invenzioni. In tal senso la leggenda dà forza alla verità, così da rendere stupendo, fascinoso e immediato il mistero celebrato nella fede. Il presepe è ricordo storico e nel contempo cronaca d’attualità per cui è vivo in ogni tempo e in ogni cultura.

3. L’epifania del divino ai poveri e ai sapienti

Il presepe è il luogo dell’attenzione di Dio verso poveri e sapienti. Il Signore trasforma queste due categorie accogliendo le loro buone disposizioni. I pastori da indigenti diventano bisognosi di Dio e i magi dalla sapienza naturale approdano a quella soprannaturale. Entrambi sperimentano la beatificante consapevolezza di oltrepassare la soglia della natura, riuscendo ad intuire la presenza del divino. L’inaccessibile si fa storia, per cui ciò che umana creatura non avrebbe mai potuto vedere e riconoscere diventa sensibile e riconoscibile.
L’epifania del divino nella grotta di Betlemme è però un evento discriminatorio. Solo i «puri di cuore» e i «poveri in spirito» possono far parte del «resto» dell’umanità ammessa al presepe. Al presepe è introdotto chiunque si faccia «resto», ovvero cercatore appassionato e onesto di Dio. Sono per questo esclusi ricchi, potenti, orgogliosi, facinorosi. Facendo perno sull’icona della natività, si può idealmente configurare un duplice movimento di persone che popolano il presepe: coloro che sono in pellegrinaggio ordinato verso la grotta e coloro che s’allontanano da essa disorientati. Da una parte i pastori e i magi, unitamente agli ultimi di ogni epoca; dall’altra, Erode e i farisei, congiuntamente agli oppressori di ogni tempo.
Negli elementi graziosi del presepe, talvolta artistici, altre volte ingenui, si rivela la grandezza del mistero di Dio. Si tratta di un segno ambivalente. Per i credenti è domestica teofania, per i non-credenti mito fascinoso. Per tutti evoca desideri accorati e nostalgie lontane. Nei credenti il presepe muove i sentimenti per attivare l’intelligenza della fede onde contemplare la presenza di Dio nella storia. Lo squallore di Betlemme si coniuga indissolubilmente all’obbrobrio della croce al fine di indicare il paradosso della salvezza nell’icona del divino abbassamento. La notte di Betlemme è dunque correlata alle tenebre del Calvario. La luce naturale della cometa guida a quella soprannaturale della resurrezione. Ambedue gli eventi storici hanno una risoluzione mistica. Il buio è ottenebrante per coloro che hanno rifiutato Dio, la luce è rifulgente per coloro che lo hanno accolto. A preludio di questi fatti è la notte dell’esodo, allorquando la colonna di nube oscurava l’inseguimento degli egiziani e rischiarava la fuga di Israele. La teologia dell’incarnazione dà ragione della chenosi divina, poiché attraverso di essa si manifesta la potenza della resurrezione, come proclama stupendamente Paolo:

«Cristo Gesù, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce.
Per questo Dio l'ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome; perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra; e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre».

Non si può dunque pensare al presepe come mito culturale e suggestivo arredo. Esso è memoria del primo avvento di Cristo, è segno memoriale della persistente presenza di Cristo nell’umanità, è auspicio dell’ultimo avvento di Cristo nella risoluzione dei tempi. La sua presentazione scenografica è legittimata dalla logica stessa dell’incarnazione attraverso cui Dio si rende visibile; la sua immediatezza popolare è coerente con l’epopea messianica che s’avvia tra gli umili e i sapienti; la sua rivisitazione nei diversi contesti culturali è emblema dell’universalità e attualità della salvezza. Nel rivestimento delle tante culture che hanno accolto la tradizione del presepe, il ricordo della natività in forme sensibili ha sempre valore epifanico, poiché è narrazione della manifestazione di Dio a coloro che avevano i requisiti per comprenderla. Il contesto bucolico con cui si ridisegna l’ambiente dimesso dei pastori, della stalla, delle pecore, dell’asino e del bue, è il benedicite per l’avvio della «nuova creazione» che in Cristo ritrova la sua meraviglia e il suo compimento.
Tutto nel presepe ha valore epifanico e simbolico, come si può evincere dall’ufficiatura liturgica. Nelle celebrazioni intimamente connesse del Natale e dell’Epifania si comprende infatti che la triplice manifestazione di Cristo è un tutt’uno nell’oggi della salvezza. Il Natale è poi collegato alle altre epifanie del Cristo, così che il presepe è l’annuncio del Messia ai popoli del mondo, le nozze di Cana sono l’annuncio del Messia ad Israele, il battesimo nel Giordano è l’annuncio del Messia ai discepoli del Signore.

«Tre prodigi celebriamo in questo giorno santo:
oggi la stella ha guidato i magi al presepio,
oggi l’acqua è cambiata in vino alle nozze di Cana,
oggi Cristo è battezzato da Giovanni nel Giordano
per la nostra salvezza».

Nel contesto simbolico la solenne visione di angeli ai pastori dà valore teologico alla speranza della redenzione universale. Anche i doni dei magi rimandano al mistero salvifico di Cristo. L’oro infatti indica la regalità di Cristo, l’incenso la sua divinità, la mirra l’umanità. Canta in proposito la liturgia del tempo natalizio:

«Prostrati i santi Magi
adorano il Bambino,
offron doni d'Oriente:
oro, incenso e mirra.

O simboli profetici
di segreta grandezza,
che svelano alle genti
una triplice gloria!

Oro e incenso proclamano
il Re e Dio immortale;
la mirra annunzia l'Uomo
deposto dalla croce.

Betlemme, tu, sei grande
tra le città di Giuda:
in te è apparso al mondo
il Cristo Salvatore.

Nelle sue mani il Padre
pose il giudizio e il regno:
lo attestano concordi
le voci dei profeti.

Non conosce confini
nello spazio e nel tempo
il suo regno d'amore,
di giustizia e di pace».

Oltre alla portata teologica del natale, che nel presepio ha figurazione, assumono valore gli antefatti dell’avvento di Gesù. Questi trovano solenne proclamazione nell’annuncio della sua genealogia e nel canto delle profezie rendendo evidente ai fedeli, raccolti in preghiera, il filo soprannaturale che lega il succedersi degli eventi biblici attorno al Messia. Il divino appannaggio di Gesù è poi dichiarato nel prologo di Giovanni, proclamato nella messa del giorno di Natale, mentre la prospettiva pasquale riceve conferma nell’annuncio previsto per la solennità dell’Epifania. La storia stessa dei riti natalizi, specie nella sua complessa tradizione romana, arriva progressivamente a riunire, attraverso un lungo itinerario processionale, le tre messe pontificali (notte, aurora, giorno). Secondo una possibile rilettura delle fonti, la prima messa Ad Praesepe, celebrata nell’«Oratorium praesepis» di Santa Maria Maggiore, richiama la nascita temporale di Gesù; la seconda in Sant’Anastasia al Palatino evidenzia la nascita spirituale di Gesù nel cuore dei giusti di cui i pastori sono immagine; la terza, nella Basilica Vaticana di San Pietro, evoca la venuta di Gesù nella parusia. I liturgisti medievali danno invece un’altra interpretazione simbolica altrettanto suggestiva: «Prima missa pertinet ad generationem aeternam, scilicet de Patre sine matre; secunda ad temporalem, scilicet de madre sine padre; tertia confecta est, quia utraque agit, et ideo pertinet ad aeternam simul temporalem».
Anche l’albero, abitualmente correlato al presepe e alla stella, ha un significato cristologico, poiché è reminiscenza dell’Albero del Paradiso in ricordo di Adamo ed Eva (segno dell’antica umanità) e rappresenta l’Albero di Natale in riferimento a Gesù Cristo, nuovo Adamo (primizia della umanità redenta).
Il presepe è dunque un elemento di notevole rilevanza spirituale e di importanti connotazioni teologiche. Non può essere pertanto inteso come semplice decorazione esteriore. Esso evoca contenuti che non vanno disattesi, al fine di comprenderne l’autentico significato cristiano. Nel complesso è memoria della prima venuta di Gesù, è richiamo della sua presenza sacramentale nell’umanità, è profezia della definitiva venuta escatologica.

4. La riproposizione scenografica del presepe

La riproposizione scenografia del presepe rientra nella logica dell’incarnazione. Mentre nell’Antico Testamento erano proibite le raffigurazioni del divino, dal momento che Dio non si era reso visibile, così che ogni sua rappresentazione si riduceva ad un fatto idolatrico, il Nuovo Testamento apre la via all’arte, poiché il Verbo divino entra nella storia. Oltre ad essersi reso visibile «ai suoi» Gesù ha legittimato il suo ricordo nei segni sensibili e attualizza la sua presenza nei segni sacramentali. L’esperibilità sensibile di Gesù conferma la possibilità di sue riproduzioni a ricordo e in prolungamento della sua vicenda storica. Occorre però distinguere tra «vedere» Gesù di Nazareth ed «intuirne» la divinità. Il primo atto richiede solo il lume naturale dell’intelligenza, che è portato ad accettare una rievocazione storica. Il secondo invece necessita l’intelligenza della fede, che abilita il soggetto a sorpassare i segni sensibili per riconoscere la presenza di Dio.
Nelle sue molteplici forme il presepe racchiude l’ambivalenza che si consumò nel momento della sua realizzazione. Per coloro che arrivarono a credere divenne segno della presenza di Dio, al contrario, per coloro che rifiutarono cagionò il definitivo indurimento di cuore. Anche nelle attuali soluzioni il presepe può avere diverso valore. Può essere un allestimento estetizzante, una strumentalizzazione commerciale, un motivo di rifiuto religioso, un segno mistico. Ovviamente solo con gli «occhi della fede» il presepe è autenticamente visibile nel suo essenziale richiamo religioso. Solo in questo modo la bellezza dell’arte annuncia con lo splendore delle forme sensibili la grandezza Dio nel suo divino abbassamento. Il contenuto storico rivela dunque il divino svuotamento, mentre la bellezza estetica indica la gloria divina.
Il metodo di annunciare le Scritture attraverso rievocazioni non è nuovo nella mentalità giudaico-cristiana. L’esodo, ad esempio, è rievocato dagli Ebrei attraverso la cena pasquale in cui si racconta quanto Dio ha operato per liberare il suo popolo. L’eucarestia poi riattualizza il ricordo della passione, morte, resurrezione di Gesù Cristo rievocando la sua ultima cena. Pertanto oltre alla memoria fatta di immagini verbali, si può accostare quella fatta di riscontri iconografici. Inoltre è legittima l’attualizzazione dei personaggi, poiché il significato del presepe è rivolto all’attualità.
La lunga storia del presepe è il diario della fede di innumerevoli generazioni che con candore hanno voluto rappresentare il fausto giorno della nascita dell’Emmanuele per essere adoratori in «spirito e verità» di Gesù, come Maria, Giuseppe, i pastori, i magi. Ne troviamo le prime tracce già in sarcofagi del IV e V secolo; ricordiamo il segno eloquente della primitiva pietà cristiana nell’avito oratorio ad praesepe di Santa Maria Maggiore; ammiriamo la rievocazione più popolare in quello francescano di Greccio. Presepi viventi, artistici, stravaganti, semplici, danno il tono del natale a tutti quei credenti che vogliono mettersi in viaggio per incontrare «il Signore che viene».

5. Conclusione

Prepararsi al Grande Giubileo dell’Anno 2000 è anzitutto desiderare di incontrare Dio e ritrovare la strada di Betlemme. La notte del 25 dicembre del 1999 non può passare inosservata nel cuore del credente. Essa rammenta la venuta di Dio nella storia affinché l’umanità possa ritrovare la strada per raggiungere il paradiso perduto.
Il segno del presepe deve evocare nostalgia e rincrescimento. Nostalgia per il candore domestico della natività dove tutto è essenziale, dove la povertà è beatificante, dove la purezza è amabile, dove l’amore è assoluto. Rincrescimento per essere lontani da quel clima in cui tutto è avvolto da un’aura sacra, poiché la città di tutti i giorni, le proprie dimore, l’intimità di ciascuno, stentano ad accogliere Dio quando è rivestito nei panni del bisogno e nei segni della sofferenza. Tali sentimenti si possono però coniugare raggiungendo la santa inquietudine di agostiniana memoria. Questa infatti stimola alla conversione, onde riprendere il pellegrinaggio verso Dio.
I personaggi del presepe sono l’emblema delle scelte di ciascuno di fronte al problema della presenza-assenza di Dio. Si può essere come gli albergatori che lo respingono, come Erode che ne teme la concorrenza, come i dottori della legge che smentiscono le Scritture per difendere i propri privilegi, come le moltitudini di indifferenti che vogliono ignorare il fatto. Si può però anche essere come Maria che genera amore nel totale abbandono in Dio, come Giuseppe che vive nel silenzio la sua fede, come i pastori che sono disponibili ad accorrere perché poveri, come i magi che sanno cercare perché sapienti.
Nessuno può stare fuori dal presepe se sa ammirarlo nei suoi contenuti più intimi e spirituali. «La nascita di Gesù a Betlemme non è un fatto che si possa relegare nel passato. Dinanzi a lui, infatti, si pone l'intera storia umana: il nostro oggi e il futuro del mondo sono illuminati dalla sua presenza. Egli è “il Vivente” (Ap 1,18), “colui che è, che era e che viene” (Ap 1,4). Di fronte a lui deve piegarsi ogni ginocchio nei cieli, sulla terra e sottoterra, ed ogni lingua proclamare che egli è il Signore (cf Fil 2,10-11). Incontrando Cristo ogni uomo scopre il mistero della propria vita».
Lo scoccare del 2000 può ridiventare un segno cristiano. Occorre però riappropriarsene. I credenti in Cristo devono allora acquisire «con cuore nuovo e spirito risoluto» il fascino e l’impegno della prima ora dell’era cristiana. In tal senso il Santo Padre Giovanni Paolo II, rivolgendosi a tutta la Chiesa, implora i fedeli dicendo: «Per tutti il Natale 1999 sia una solennità radiosa di luce, il preludio per un'esperienza particolarmente profonda di grazia e di misericordia divina, che si protrarrà fino alla chiusura dell'Anno giubilare nel giorno dell'Epifania di Nostro Signore Gesù Cristo, il 6 gennaio dell'anno 2001. Ogni credente accolga l'invito degli Angeli che annunciano incessantemente: “Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama” (Lc 2, 14). Il tempo del Natale sarà così il cuore pulsante dell'Anno Santo, che immetterà nella vita della Chiesa l'abbondanza dei doni dello Spirito per una nuova evangelizzazione».
Il presepe può così ridiventare, come ribadito dai curatori di questo volume, «un midrash cristiano, che accoglie rivelazione, ispirazione e tradizioni, attraversando la storia umana degli ultimi due millenni» al fine concretizzare nei segni sensibili l’ora della nuova evangelizzazione. Se i credenti continueranno a cercare Dio con stupore mistico e ardente carità, sempre su Betlemme brillerà la stella e gli angeli glorificheranno Dio augurando pace al mondo. Ovunque allora i cuori di fanciullo firmeranno la loro fede nei segni ingenui di un presepe. (Carlo Chenis)
(Agenzia Fides 23/12/2005)


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