ASIA/BANGLADESH - Si aggrava la crisi umanitaria dei Rohingya, mentre prosegue la ricerca di giustizia

mercoledì, 30 agosto 2023 diritti umani   giustizia   aiuti umanitari  

Cox's bazar (Agenzia Fides) – “A sei anni da quando centinaia di migliaia di Rohingya furono costretti a fuggire dalle loro case in Myanmar per rifugiarsi nel vicino Bangladesh, sottoposti a un’escalation di violenze e atrocità da parte delle forze di sicurezza del Myanmar che hanno provocato la perdita dei loro cari e delle loro case, nessuno è stato ritenuto responsabile di questi crimini", ha dichiarato Nicholas Koumjian, a capo del "Meccanismo investigativo indipendente per il Myanmar", creato nel 2018 dal Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite per lavorare a favore della giustizia. L'organismo ha il compito di raccogliere e analizzare le prove dei crimini internazionali più gravi e di altre violazioni del diritto internazionale commessi in Myanmar dal 2011, allo scopo di facilitare giustizia e responsabilità.
"Stiamo raccogliendo testimonianze e altre prove sulla violenza fisica inflitta a tanti Rohingya e abbiamo avviato un’indagine sulle attività commerciali, sulle fattorie e le altre proprietà che sono state loro sottratte. Vogliamo capire se dietro questi crimini c’è una motivazione finanziaria e stabilire chi ha tratto profitto dalla campagna contro i Rohingya", ha affermato Koumjian, lanciando un appello: "Chiediamo agli Stati di fornirci accesso a testimoni e informazioni nei loro territori. Il perseguimento della giustizia per i Rohingya è uno sforzo globale. Solo insieme possiamo garantire che i responsabili ne affrontino le conseguenze e che quanti hanno subito l’orrore di questi crimini abbiano giustizia".
Una richiesta di risarcimento, nel sesto anniversario della tragica operazione in Myanmar, raggiunge anche la nota multinazionale informatica "Meta". In un momento in cui si riflette sulle conseguenze devastanti dell’operazione militare di sei anni fa, la Ong "Amnesty International" solleva una richiesta affinché la società madre di Facebook assuma le responsabilità per il ruolo che la piattaforma ha avuto nella pulizia etnica di questa minoranza perseguitata. Amnesty, grazie alle indagini del suo programma "Big Tech Accountability", mette in luce come gli algoritmi di Facebook e l’inseguimento sfrenato di profitti abbiano contribuito a creare un ambiente tossico in cui l’odio si è radicato, portando a conseguenze tragiche per i Rohingya.
Intanto la situazione dei 700.000 rifugiati Rohingya fuggiti dal Myanmar e presenti oggi in Bangladesh si aggrava: "I rifugiati Rohingya a Cox's Bazar, in Bangladesh, sono completamente dipendenti dagli aiuti, vivono in case temporanee e hanno poca libertà d’azione nella loro vita quotidiana. I rifugiati hanno espresso chiaramente i loro desideri: tutto ciò deve cambiare", afferma il "Norwegian Refugee Council" (NRC), Ong presente in Bangladesh, attiva nell'assistenza ai Rohingya. Insieme con i partner locali la Ong fornisce alloggi, acqua, igiene e servizi igienico-sanitari ed è impegnata a garantire continuità educativa ai rifugiati, raggiungendo oltre 150.000 persone.
“L’ultimo anno - rileva il NCR - ha portato una serie di sfide tra cui un ciclone, incendi e frane. Si è registrato un deterioramento della situazione della sicurezza e due tagli alle razioni alimentari. Questa situazione costringe sempre di più a fare una scelta impossibile: rimanere nei campi e soffrire la prospettiva di malnutrizione e insicurezza o compiere pericolose traversate marittime alla ricerca di una possibilità di autosufficienza e nuova vita".
L'Ong nota che "i rifugiati non possono lavorare in Bangladesh, nonostante le ripetute richieste da parte della popolazione di poter provvedere a se stessi. Così i Rohingya dipendono completamente dai finanziamenti dei donatori per sopravvivere. Tuttavia, gli aiuti disponibili sono appena sufficienti a coprire i bisogni di base, con i finanziamenti per la crisi dei Rohingya in rapida diminuzione a causa delle crisi concorrenti nel mondo". Per allentare la pressione sui campi profughi in Bangladesh, auspica NRC, "è necessario un reinsediamento maggiore ed efficiente dei rifugiati nei paesi terzi".
Nei campi "i bisogni sanitari rimangono enormi e gli aiuti umanitari sono insufficienti", ha confermato “Medici senza Frontiere” (MSF). "A seguito dell’epidemia di scabbia e della chiusura di diversi centri sanitari per mancanza di fondi, nel corso del 2022 l’afflusso di pazienti in uno dei nostri ospedali è aumentato del 50%", rileva l'organizzazione, notando che "le condizioni sono progressivamente peggiorate di anno in anno".
"Le persone continuano a vivere in condizioni di sovraffollamento, in strutture non permanenti ed esposte ad incendi e a disastri naturali, senza la possibilità di spostarsi in aree più sicure e costruire abitazioni. Negli ultimi anni abbiamo registrato un peggioramento delle condizioni sanitarie della popolazione Rohingya, a causa delle pessime condizioni di vita a cui sono costretti", afferma MSF. Nel 2023, nota l'Ong, si registra "una vera e propria emergenza sanitaria", con il più alto aumento settimanale di pazienti affetti da colera dal 2017, mentre già nel 2022 i casi di febbre dengue sono aumentati di dieci volte rispetto all’anno precedente. MSF avverte che anche l'ospedale materno infantile e l'ospedale pediatrico gestiti dall'organizzazione hanno già raggiunto la capacità massima per numero di ricoveri.
"I campi avrebbero dovuto essere una soluzione temporanea ma dopo sei anni continuano ad essere l’unica sistemazione per queste persone. Se le inefficaci strategie di contenimento dei paesi donatori non cambieranno, la popolazione Rohingya continuerà ad essere estremamente vulnerabile alle epidemie di malattie infettive", ha spiegato Arunn Jegan, Capomissione di MSF in Bangladesh.
L'allarme riguarda anche i fondi per l’assistenza umanitaria: "Negli ultimi due anni i fondi stanziati dai paesi delle Nazioni Unite e da cui dipende la vita di circa un milione di Rohingya sono diminuiti gradualmente", rileva MSF, mentre a marzo 2023 le razioni alimentari del Programma Alimentare Mondiale dell'Onu (WFP) sono state ridotte dall’equivalente di 12 dollari al mese per persona a 10 dollari, fino a 8 dollari a giugno: questo ha avito un impatto notevole sui casi di malnutrizione tra le donne in gravidanza e in allattamento e sulla malnutrizione acuta tra i bambini sotto i cinque anni.
(PA) (Agenzia Fides 30/8/2023)


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