AFRICA/RUANDA - “Il perdono nasce dall’ascolto dell’altro”. Intervista con il Cardinale Kambanda, Arcivescovo di Kigali

venerdì, 10 marzo 2023 chiese locali   vescovi   migranti  

di Luca Mainoldi

Roma (Agenzia Fides) – “Credo che i conflitti nascano dal non volere ascoltare l’altro. Ascoltare l’altro ci coinvolge, ci chiede di cambiare” dice il Cardinale Antoine Kambanda, Arcivescovo di Kigali. Lui, che ha avuto la famiglia sterminata nella guerra del 1994, racconta all'Agenzia Fides le speranze e e preoccupazioni della sua vita di pastore.
Il Cardinale Antoine Kambanda, Arcivescovo di Kigali (Rwanda), è nato il 10 novembre 1958 in Nyamata, nell’Arcidiocesi di Kigali. Tutti i membri della sua famiglia sono stati uccisi durante la guerra del 1994, tranne un fratello, che vive attualmente in Italia. Il 7 maggio 2013 è stato nominato Vescovo della diocesi di Kibungo fino al 19 novembre 2018 quando Papa Francesco lo ha nominato Arcivescovo di Kigali. Ha ricevuto la Consacrazione episcopale il 20 luglio 2013.
Papa Francesco lo ha creato Cardinale nel Concistoro del 28 novembre 2020, del Titolo di San Sisto.

Eminenza in una sua recente omelia ha affermato che a fronte dei tanti mezzi di comunicazione odierni la comunicazione è al suo livello più basso “perché non ci ascoltiamo nonostante i mezzi che abbiamo”.

CARDINALE KAMBANDA: Ed è un dramma perché credo che i conflitti nascano dal non volere ascoltare l’altro. Ascoltare l’altro ci coinvolge, ci chiede di cambiare. Se ci si mette ad ascoltare una persona che soffre, un povero, sei coinvolto e senti che devi fare qualcosa. La coscienza non è più tranquilla. Quindi per non avere problemi, si evita di ascoltare.
L’ascolto è alla base della riconciliazione, perché spesso i conflitti derivano dalla paura e dal sospetto dell’altro, dal pensare che l’altro sia una minaccia. Ma quando ci si ascolta ci si accorge che l’altro non è una minaccia e che invece si possono fare cose insieme.

Sulla base della sua tragica esperienza personale e di quello del suo Paese, cosa è il perdono?

CARDINALE KAMBANDA: Il perdono è un frutto dell’ascolto, che ci porta a capire l’altro e la sua sofferenza, le ragioni per le quali ha commesso violenza. Uno può arrabbiarsi per il male che l’altro ha fatto ma dopo quando si ascolta si riesce, certo con fatica, a capire quello che lo ha spinto a commettere il fatto. Questo permette di vedere “l’altro” come una persona, di accettarla, e di andare avanti. Nella mia lingua (Kinyarwanda), le parola “ascolto” e “capire” sono la stessa. La parola usata per indicare l’ascolto in senso fisico, non è quella usata per indicare il senso profondo dell’ascolto, che è invece significa pure “capire”. Nella nostra lingua, inoltre, il perdono è letteralmente la compassione. Nel senso che quando una persona ha compiuto un’azione malvagia, e si rende conto del male che ha fatto, la sua famiglia a sua volta si sente coinvolta provando un senso di vergogna per l’azione del suo congiunto.
Una dinamica che si è riscontrata nei tribunali Gacaca (ispirati a forme di giustizia tradizionale con il compito tra l’altro di stabilire la verità su ciò che è accaduto riconciliare i ruandesi e rafforza la loro unità. N.d.R.). Una volta che chi ammetteva le proprie colpe non rischiava più la pena di morte, si è visto come le persone hanno confessato i propri crimini, liberando le proprie famiglie dal male da loro fatto, e permettendo di condividere la sofferenza. Il patire insieme è stata la chiave della riconciliazione. Non è certamente una cosa facile. Come cristiano credo che vi sia la Grazia di Dio che aiuta il popolo ruandese a metterla in pratica.

È vero che in Ruanda si assiste a una proliferazione di nuove confessioni religiose?

CARDINALE KAMBANDA: La fede cattolica è ancora la più seguita in Ruanda. I cattolici sono circa il 50 per cento della popolazione. Le nuove confessioni, evangelici, pentecostali, e le varie sette, stanno facendo sempre più proseliti. Probabilmente vi sono più di mille nuove confessioni religiose. Si è creato un ambiente molto confuso nel quale diverse sette sono entrate in conflitto con la legge dello Stato. Per esempio costruiscono i loro luoghi di culto non rispettando le norme edilizie, e in almeno un caso, uno di questi edifici è crollato provocando diverse vittime. Abbiamo un popolo religioso che dà fiducia a chi si presenta come “uomo di Dio” Vi sono persone disoneste che abusano di questo e hanno fatto della religione un business. Vi sono stati casi di presunti “guaritori” che si presentavano ai malati di Aids dicendo loro “non prendere le medicine, noi preghiamo per te perché tu guarisca”, naturalmente in cambio di soldi. E lo stesso è avvenuto di recente per quanto riguarda il vaccino per il Covid. Lo Stato doveva proteggere la popolazione da queste truffe e ha quindi imposto delle regole. Bisogna registrarsi per avere un riconoscimento statale della propria confessione religiosa in base a norme precise. Ad esempio i leader religiosi devono avere una formazione teologica riconoscibile dal punto di vista accademico.
Sono quindi 800 le confessioni religiose riconosciute dallo Stato, anche se ve ne sono altre non riconosciute per cui il numero complessivo dovrebbe essere superiore a mille.

Quali sono i frutti spirituali delle apparizioni mariane a Kibeho, le uniche riconosciute dalla Chiesa in Africa?

I pellegrini continuano a giungere numerosi non solo dal Ruanda ma anche dai Paesi vicini. Le apparizioni sono iniziate il 28 novembre 1981 (il 28 novembre è la festa della Madonna di Kibeho). Le ragazze alle quali la Madonna è apparsa le hanno chiesto “come ti chiami?”. Maria ha risposto “sono la Madre del Verbo”. Nel suo messaggio la Madonna ci ha invitato alla conversione, alla preghiera e ci ha indicato il significato della sofferenza che porta alla salvezza. Aveva accennato ad un “fiume di sangue”, di corpi umani sparsi dappertutto. Una visione di quello che è successo 13 anni dopo (il genocidio del 1994. N.d.R.). Era un avvertimento. Infatti la Madonna diceva “convertitevi”. Ha poi rivelato a una delle ragazze il “Rosario dei 7 dolori”, che era conosciuto in Europa, ma non in Ruanda al quel tempo. Non di certo da una ragazzina di 13 anni. La Madonna ha detto che la preghiera del Rosario la tocca profondamente e che lei si preoccupa del destino dei suoi figli.
I frutti spirituali sono numerosi in tutti questi anni: grande devozione, conversioni e testimonianze di cambiamento.

Le vocazioni sono ancora numerose in Ruanda?

CARDINALE KAMBANDA: Abbiamo tanti giovani che vogliono diventare sacerdoti, religiosi e religiose. Sono tanto numerosi che non abbiamo la capacità di accogliere tutti e questo ci dispiace. In particolare vi sono tante ragazze che vorrebbero diventare religiose ma le diverse congregazioni non possono prenderle tutte. Alle volte gruppi di ragazze si mettono insieme per fondare una nuova congregazione e questa è una sfida ulteriore perché occorre formarle. Vi sono comunità che hanno fatto già 30 anni insieme vivendo la loro vita consacrata però ci vuole ancora discernimento e l’autorizzazione da Roma per il loro riconoscimento. Ho chiesto aiuto alle congregazioni “classiche” ma anche loro non hanno personale sufficiente, devono pensare alla formazione delle loro candidate. Abbiamo comunque delle formatrici messe a disposizione da alcune congregazioni.

Come è vista in Ruanda la politica di alcuni Stati, come ad esempio la Gran Bretagna, di deportare nel vostro Paese i richiedenti asilo?

CARDINALE KAMBANDA: Il Ruanda è molto sensibile al problema dei profughi e dei migranti anche perché abbiamo dei dirigenti che sono stati profughi e sanno cosa significa. Hanno quindi simpatia nei confronti dei richiedenti asilo. Tutto è cominciato quando sono emersi in Libia i casi dei migranti tenuti in ostaggio dai gruppi criminali costringendoli a chiedere denaro ai propri familiari per essere liberati. Queste persone nella speranza di giungere in Europa si mettono nelle mani di veri e propri clan mafiosi che spesso abusano di loro. Questo problema è stato sollevato in una riunione dei Capi di Stato dell’Unione Africana che si sono detti “è una vergogna. Questi sono i nostri figli. Cosa facciamo?”. Il Ruanda si è detto disponibile ad accoglierli in collaborazione con l’Alto Commissariato ONU per i Rifugiati. Spesso sono giovani onesti che hanno una formazione professionale. Una volta giunti in Ruanda vengono presentati a Paesi che hanno bisogno di manodopera (Canada, Norvegia, Svezia, Danimarca e altri) dove vengono accolti con un contratto di lavoro. Circa tre quarti dei migranti provenienti dalla Libia sono partiti per i loro nuovi Paesi d’accoglienza. La Gran Bretagna vuole probabilmente collegarsi a questo meccanismo già in opera. Quello che importante è contrastare i gruppi criminali che gestiscono le migrazioni clandestine, creando canali regolari per chi vuole farsi una vita all’estero. (L.M.) (Agenzia Fides 10/3/2023)


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