AFRICA/UGANDA - Catechismo e programmi di integrazione per i rifugiati sud-sudanesi. Le "opere buone" nei campi-profughi di Adjumani

sabato, 18 febbraio 2023

Jesuit Refugee Service

Adjumani (Agenzia Fides) - Ad Adjumani, in Uganda del Nord, il padre gesuita Lasantha Deabrew coordina il Progetto del Jesuit Refugee Service a sostegno dei sud-sudanesi ospitati nei campi profughi di Maaji e Aiylo. Da quella postazione, il sacerdote ha potuto registrare “in diretta” i sentimenti e le speranze accese tra i rifugiati sud-sudanesi dalla recente Visita apostolica di Papa Francesco in Sud Sudan. ““Alcuni di loro” racconta padre Lasantha all’Agenzia Fides “sono voluti tornare in Sud Sudan proprio per partecipare di persona all’evento. Volevano essere presenti in un’occasione così speciale. Tante persone nei campi ripongono molta fiducia nei possibili effetti positivi del viaggio del Papa e nelle parole che ha pronunciato, così come nel fatto che il Pontefice abbia voluto visitare il Paese insieme all’Arcivescovo di Canterbury e al Moderatore della Chiesa di Scozia. Le speranze sono tante, anche se nel contempo molti temono che l’incapacità dei capi politici e i loro interessi, possano mettere nuovamente in pericolo tutto”.

In Uganda del Nord sorgono 19 campi profughi, quasi tutti abitati da sud-sudanesi. “In tutto” riferisce padre Lasantha “le persone ospitate nell’area di Adjumani sono 280mila, tutti cristiani, in maggioranza cattolici. Assieme a cinque altri preti, ci occupiamo della cura pastorale: celebrazione della messa e dei sacramenti, formazione dei catechisti. Cerchiamo di sostenere spiritualmente tutti, specialmente i giovani. I ragazzi che vanno a scuola (in tutti i campi ci sono edifici scolastici, ndr) hanno bisogno di essere supportati, non solo nel percorso formativo, ma con una motivazione di tipo spirituale”.
Nei campi profughi del distretto di Adjumani, il Jesuit Refugee Service collabora anche con un progetto finanziato dall’Aics, Agenzia Italiana Cooperazione allo Sviluppo. Una iniziativa di emergenza volta a promuovere l'integrazione delle popolazioni sfollate, ritornanti e rifugiate con la realizzazione di centri di aggregazione per giovani e donne e la costruzione di nuovi sistemi di approvvigionamento acqua, di sostegno all’allevamento e al commercio. “Ci occupiamo di programmi di sostentamento sociale e psicologico, di orientamento e addestramento professionale. L’intervento” racconta il gesuita “mira a coinvolgere le comunità dei profughi così come quelle locali, per favorire integrazione e convivenza pacifica”.
L’Uganda fino a una quindicina di anni fa ha conosciuto in varie parti del suo territorio terribili fasi di conflitto, che hanno portato alla morte di migliaia di persone, alla fuga di oltre un milione di altre e all’espandersi dell’odioso fenomeno dei ‘bambini soldato’. Il Paese ora vive in relativa pace e, seppur tra difficoltà e criticità, si segnala come il Paese africano più aperto all’ospitalità nei confronti dei profughi. Provenienti da Sud Sudan, Congo e Somalia, i rifugiati in Uganda ammontano al momento alla cifra di 1,6 milioni. Il governo di Kampala, con l’aiuto dell’Unhcr e di moltissimi enti donatori e Ong, permette l’ingresso dei fuggitivi, e assegna loro, dopo un percorso di identificazione e comprensione dei bisogni, un appezzamento di terra nei campi e la possibilità di costruire un’abitazione. “Certo” riconosce il sacerdote gesuita “ci sono molti ambiti che necessiterebbero di interventi consistenti per migliorare la condizione nei campi profughi, a partire dai servizi per l’educazione dei più giovani e per la distribuzione degli alimenti (ultimamente c’è stata una contrazione degli aiuti dovuta in gran parte alla crisi ucraina e alla carenza di cereali, ndr). Ma nel comlesso, l’Uganda è un Paese ospitale, e offre a tanta gente la possibilità di ricostruirsi l’esistenza. (LA) (Agenzia Fides 18/2/2023)


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