ASIA/MYANMAR - Il Governo di unità nazionale birmano riconosce i diritti dei Rohingya

sabato, 5 giugno 2021 diritti umani   rohingya   minoranze religiose   minoranze etniche   dignità umana   violenza  

New York (Agenzia Fides) - Il Governo di unità nazionale birmano (Nug), “l’esecutivo ombra” creato all’estero lo scorso aprile per contrastare il golpe del 1° febbraio, ha formalizzato una nuova politica nei confronti dei Rohingya, la minoranza musulmana espulsa, tra il 2016 e il 2017, dallo stato birmano del Rakhine oltre confine, in Bangladesh. La nuova politica del Governo che riconosce ancora Aung San Suu Kyi come leader, è stata ufficializzata ieri, 4 giugno, e porta il nome di “Policy Position on the Rohingya in Rakhine State”.
La nuova posizione, che ribalta l’atteggiamento di tutti i precedenti governi, è stata spiegata alla stampa internazionale dal Vice ministro degli Esteri U Moe Zaw Oo e dal portavoce del Nug, Salai Maung Taing detto “dr. Sasa”.
Con la nuova politica, il nuovo governo ombra riconosce sia i diritti dei Rohingya sia le atrocità che hanno dovuto subire in passato, e indica un cambiamento senza precedenti in un Paese dove era perfino vietato pronunciare il nome della comunità, sostituito da “immigrati illegali bengalesi”. “Cercheremo attivamente giustizia e responsabilità per tutti i crimini commessi dai militari contro i Rohingya e tutte le altre persone del Myanmar nel corso della nostra storia”, si legge nella dichiarazione del governo, pervenuta a Fides, in cui l’esecutivo si impegna anche di fronte alla giustizia internazionale: “Intendiamo, se necessario, avviare processi per concedere alla Corte penale internazionale la giurisdizione sui crimini commessi in Myanmar contro i Rohingya e altre comunità”. Finora Naypyidaw l’ha sempre negata.
ll Nug infine si impegna pubblicamente ad abolire il processo delle cosiddette “carte di verifica nazionale” (National Verification Card process), sistema coercitivo che richiede ai Rohingya di identificarsi come “stranieri”. Intende cioè garantire i diritti di cittadinanza basati “sulla nascita in Myanmar o sulla nascita ovunque come figlio di cittadini del Myanmar” e a favorire il “rimpatrio volontario, sicuro e dignitoso” dei rifugiati Rohingya che si trovano fuori dal Paese (oltre un milione nel solo Bangladesh). Infine, il Nug invita “i Rohingya a unirsi a noi e ad altri per partecipare a questa rivoluzione di primavera contro la dittatura militare in tutti i modi possibili”.
Al momento nel nuovo governo non ci sono Rohingya, che il portavoce del governo ha definito “fratelli e sorelle”. Ma la nuova politica, sollecitata da diversi Paesi, dovrebbe ora aprire la strada anche a una loro presenza nell’esecutivo che è stato formato il 16 aprile scorso da diversi parlamentari eletti in novembre ed estromessi dal colpo di stato militare messo in atto da Tatmadaw, l’esercito birmano guidato da Min Aung Hlaing. L’esecutivo è composto da 26 ministri e quattro dirigenti, tra cui la consigliera di Stato Aung San Suu Kyi e il presidente Win Myint (entrambi agli arresti).
Dal Myanmar in fiamme (dove i morti sono ormai oltre 800 e 4500 i detenuti per attività di protesta) continuano intanto ad arrivare notizie di violenze indiscriminate, in particolare dallo Stato del Kayah dove bombardamenti a tappeto hanno segnato l’ultima settimana. Un sacerdote di una delle sette parrocchie cattoliche della diocesi di Loikaw ( Demoso, Dongankha, Tananukwe, Donganrao, Domyalay, Kayantharya e Loilemlay) conferma all’Agenzia Fides che i villaggi si sono svuotati: “Tutti i fedeli se ne sono andati – spiega il sacerdote che chiede l’anonimato per motivi di sicurezza – e io stesso ormai da due settimane ho dovuto cercare rifugio tra le montagne. Sono pochissimi quelli che hanno scelto di rimanere nelle proprie case”.
(MG-PA) (Agenzia Fides 5/6/2021)


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