ASIA/MALAYSIA - La Chiesa evangelica del Borneo presenta ricorso per utilizzare la Bibbia con il termine “Allah”

lunedì, 8 febbraio 2010

Kuala Lumpur (Agenzia Fides) – La vicenda sull’uso del nome Allah per i cristiani della Malaysia continua a tenere banco nella società malaysiana, notano fonti di Fides nella Chiesa locale.
La Chiesa evangelica “Sidang Injil Borneo” (SIB), che significa “Comunità evangelica del Borneo”, denominazione protestante radicata soprattutto nel Borneo Malaysiano, ha inoltrato un ricorso all’Alta Corte per gli Appelli e i Poteri Speciali per ottenere il permesso di utilizzare e diffondere le Bibbie e altre pubblicazioni pastorali in lingua “Bahasa Malaysia”, in cui si usa il termine “Allah” per indicare Dio.
L’Alta Corte ha fissato per il 5 marzo la prima udienza con i rappresentanti della Chiesa evangelica, per esaminare la delicata questione, che si inserisce nella vicenda già nota che ha occupato le cronache dei giornali nel mese di gennaio: il ricorso presentato dalla Chiesa cattolica, in particolare dal settimanale “Herald”, per l’uso della parola “ Allah” nella sua edizione in “Bahasa Malaysia”.
La Chiesa “Sidang Injil Borneo”, in una dichiarazione in dieci punti inviata all’Agenzia Fides, chiede al governo il riconoscimento del suo diritto, costituzionalmente sancito, di usare e diffondere le Bibbie in lingua “Bahasa Malaysia” e in “Bahasa Indonesia” , due lingue molto simili, che utilizzano il termine “Allah”.
La Chiesa SIB è nata nel 1928 e si è diffusa nella Malaysia peninsulare nel 1993, utilizzando quasi sempre per il culto, le liturgie e le pubblicazioni, il “Bahasa Malaysia”, unica lingua diffusa fra gli indigeni del Borneo. Si tratta si una della più grandi Chiese cristiane in Malaysia, contando oltre 500mila fedeli e 600 chiese in tutta la nazione. Una di queste è stata attaccata nella scia di violenze contro gli edifici cristiani, seguita alla sentenza dell’Alta Corte, favorevole alla Chiesa cattolica, ai primi di gennaio.
Il leader della SIB, Jerry Dusing, ricorre contro il divieto emesso dal governo verso le Bibbie e le pubblicazioni che utilizzano il termine “Allah”, in quanto la comunità si è trovata “impedita nel culto e nel lavoro pastorale”. Perdipiù sono state sequestrate le Bibbie circolanti nella congregazione, e quelle spedite dall’Indonesia, tutte in “Bahasa Malaysia” o in “Bahasa Indonesia” (vedi Fides 20/10/2009). “La libertà religiosa è un nostro diritto”, ha detto Dusing. Il leader ha anche criticato l’orientamento del governo di concedere solo ai fedeli cristiani presenti nel Borneo malaysiano (precisamente nei due stati di Sabah e Sarawak) di utilizzare il termine “Allah” per il culto (perchè “l’utilizzo è tradizionale per i cristiani nativi in Malaysia orientale”, dice l’esecutivo). Tutte questioni che la SIB presenterà al giudice in tribunale.
Intanto dopo l’arresto e la detenzione di tre giovani accusati di aver preso parte agli attacchi contro le chiese cristiane avvenuti nel mese di gennaio, le indagini della polizia continuano e hanno portato all’arresto e al fermo di altri quattro giovani musulmani: si tratta di quattro disoccupati fra i 18 e i 29 anni , accusati dai magistrati degli attacchi incendiari per i quali rischiano pene fino a 20 anni di prigione.
Nella lista dei 18 edifici di culto che hanno subito attacchi o atti vandalici fra l’8 e il 27 gennaio, in seguito alla vicenda che ha infiammato l’opinione pubblica malaysiana, figurano: 11 chiese e un convento cristiano; tre moschee e due aule di preghiera musulmane; un tempio sikh. (PA) (Agenzia Fides 8/2/2010 righe 28 parole 289)


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