AMERICA/HONDURAS - “Purtroppo alcuni continuano a pensare che la violenza sia l'unica opzione. Ma la violenza non conduce a nulla, ed è nostro compito ribadirlo sempre” afferma il Cardinale Oscar Maradiaga, Arcivescovo di Tegucigalpa

giovedì, 3 dicembre 2009

Tegucigalpa (Agenzia Fides) – “Sul suo capo pende una condanna a morte. I narcos del Centro America, la mafia internazionale che gestisce il più importante business illegale del mondo, hanno deciso che il Cardinale Oscar Rodriguez Maradiaga, Arcivescovo di Tegucigalpa, in Honduras, e Presidente di Caritas internationalis, deve morire, perché ha parlato chiaro e ha detto che il narcotraffico è il più grande flagello dell’America centrale e dell'America Latina”. Così iniziava l’intervista al Cardinale che la Caritas Italiana aveva realizzato nel luglio scorso, prima della riunione del G8 e dopo che, il 28 giugno, il presidente Zelaya era stato rimosso dal suo incarico. Alla domanda sulla crisi economica, il Cardinale rispose: "È l’intero sistema economico che non funziona più e la responsabilità maggiore è dei Governi, che sapevano. Oggi dovremmo tutti avere la saggezza di eleggere Governi che si distinguano perché risolvono i problemi della maggioranza della gente, cioè dei poveri".
Oggi la voce dell’Arcivescovo di Tegucigalpa torna a farsi sentire in un sito internet a carattere missionario, per commentare il ruolo della Chiesa in questo paese del Centro America, dominato dalla povertà. “Alcuni giorni dopo il 28 giugno - scrive il Card. Maradiaga - a nome degli undici Vescovi dell'Honduras, ho rilasciato una dichiarazione pubblica che invitava alla comprensione e alla riconciliazione, al di là degli interessi di parte o di gruppo. Si è pensato che io e la maggior parte degli altri Vescovi parteggiassimo per Micheletti. Ma non è così. … La dichiarazione dei Vescovi non sosteneva nulla di politico, cercava unicamente di istruire la gente su come imparare dagli errori del passato. Eppure cinque minuti dopo avere letto le considerazioni dei Vescovi in televisione, sono stato minacciato di morte. … Nel nostro Paese è necessario attuare fondamentali cambiamenti… Riguardo a Zelaya, posso dire che personalmente ho perso la fiducia in lui dopo essere venuto a conoscenza che era colpevole di corruzione, per aver sottratto del denaro destinato a programmi a favore dei poveri… Purtroppo alcuni continuano a pensare che la violenza sia l'unica opzione. Ma la violenza non conduce a nulla, ed è nostro compito ribadirlo sempre.”
La Chiesa in Honduras ha sempre detto che nel Paese i tre poteri dello Stato - esecutivo, legislativo e giudiziario – devono agire nella legalità e nella democrazia, in accordo con la Costituzione della Repubblica dell’Honduras. Papa Benedetto XVI, all’angelus del 12 luglio, ha lanciato un appello al dialogo e alla riconciliazione che è stato molto ascoltato in Honduras, in particolare ha colpito il fatto che il Papa non abbia parlato di golpe e non abbia citato Zelaya.
Domenica 29 novembre si sono svolte le discusse elezioni presidenziali e il 2 dicembre il Congresso ha votato per un eventuale ritorno di Zelaya (vedi Fides 27/11/2009). Secondo alcune agenzie di stampa, la maggioranza del Congresso ha espresso voto contrario al reintegro del presidente deposto, Manuel Zelaya, impedendo così definitivamente il suo ritorno al potere. Dopo più di 6 ore di dibattito, su 128 voti, 65 parlamentari hanno espresso parere negativo, mentre solo 9 hanno votato per il ritorno di Zelaya. (CE) (Agenzia Fides 3/12/2009)


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