VATICANO - Benedetto XVI alla Rota Romana: “Occorre anzitutto riscoprire in positivo la capacità che in principio ogni persona umana ha di sposarsi in virtù della sua stessa natura di uomo o di donna. Corriamo infatti il rischio di cadere in un pessimismo antropologico che, alla luce dell’odierna situazione culturale, considera quasi impossibile sposarsi”

venerdì, 30 gennaio 2009

Città del Vaticano (Agenzia Fides) – “Occorre anzitutto riscoprire in positivo la capacità che in principio ogni persona umana ha di sposarsi in virtù della sua stessa natura di uomo o di donna. Corriamo infatti il rischio di cadere in un pessimismo antropologico che, alla luce dell’odierna situazione culturale, considera quasi impossibile sposarsi”. Sono le parole con cui il Santo Padre Benedetto XVI si è rivolto a Prelati Uditori, Officiali e Avvocati del Tribunale della Rota Romana ricevuti in udienza il 29 gennaio in occasione della solenne inaugurazione dell’Anno giudiziario, per ribadire “alcuni principi fondamentali che devono illuminare gli operatori del diritto”.
Sul tema dell’incapacità a contrarre matrimonio, il Papa ha sottolineato: “A parte il fatto che tale situazione non è uniforme nelle varie regioni del mondo, non si possono confondere con la vera incapacità consensuale le reali difficoltà in cui versano molti, specialmente i giovani, giungendo a ritenere che l’unione matrimoniale sia normalmente impensabile e impraticabile. Anzi, la riaffermazione della innata capacità umana al matrimonio è proprio il punto di partenza per aiutare le coppie a scoprire la realtà naturale del matrimonio e il rilievo che ha sul piano della salvezza. Ciò che in definitiva è in gioco è la stessa verità sul matrimonio e sulla sua intrinseca natura giuridica”.
All’inizio dell’udienza il Pontefice ha ricordato che “a vent’anni di distanza dalle allocuzioni di Giovanni Paolo II sull’incapacità psichica nelle cause di nullità matrimoniale… sembra opportuno chiedersi in quale misura questi interventi abbiano avuto una recezione adeguata nei tribunali ecclesiastici. Non è questo il momento per tracciare un bilancio, ma è davanti agli occhi di tutti il dato di fatto di un problema che continua ad essere di grande attualità”. A questo proposito Benedetto XVI ha detto: “mi preme richiamare l’attenzione degli operatori del diritto sull’esigenza di trattare le cause con la doverosa profondità richiesta dal ministero di verità e di carità che è proprio della Rota Romana” e ricordando che le allocuzioni di Giovanni Paolo II, “in base ai principi dell’antropologia cristiana, forniscono i criteri di fondo non solo per il vaglio delle perizie psichiatriche e psicologiche, ma anche per la stessa definizione giudiziale delle cause”, ne ha richiamato alcuni principi.
“Nell’ottica riduzionistica che misconosce la verità sul matrimonio – ha proseguito il Santo Padre -, la realizzazione effettiva di una vera comunione di vita e di amore, idealizzata su un piano di benessere puramente umano, diventa essenzialmente dipendente soltanto da fattori accidentali, e non invece dall’esercizio della libertà umana sorretta dalla grazia. È vero che questa libertà della natura umana… è limitata e imperfetta, ma non per questo è inautentica e insufficiente a realizzare quell’atto di autodeterminazione dei contraenti che è il patto coniugale, che dà vita al matrimonio e alla famiglia fondata su esso. Ovviamente alcune correnti antropologiche ‘umanistiche’, orientate all’autorealizzazione e all’autotrascendenza egocentrica, idealizzano talmente la persona umana e il matrimonio che finiscono per negare la capacità psichica di tante persone, fondandola su elementi che non corrispondono alle esigenze essenziali del vincolo coniugale. Dinanzi a queste concezioni, i cultori del diritto ecclesiale non possono non tener conto del sano realismo a cui faceva riferimento il mio venerato Predecessore, perché la capacità fa riferimento al minimo necessario affinché i nubendi possano donare il loro essere di persona maschile e di persona femminile per fondare quel vincolo al quale è chiamata la stragrande maggioranza degli esseri umani. Ne segue che le cause di nullità per incapacità psichica esigono, in linea di principio, che il giudice si serva dell’aiuto dei periti per accertare l’esistenza di una vera incapacità, che è sempre un’eccezione al principio naturale della capacità necessaria per comprendere, decidere e realizzare la donazione di sé stessi dalla quale nasce il vincolo coniugale”. (S.L.) (Agenzia Fides 30/1/2009; righe 43, parole 622)


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