AMERICA/STATI UNITI - Diritti negati agli immigrati irregolari

martedì, 16 settembre 2008

Washington (Agenzia Fides) - Nel pieno di una crisi economica imponente e alla vigilia di nuove e decisive elezioni presidenziali, gli Stati Uniti devono fare i conti con problemi urgenti di politica interna, non ultima la questione immigrazione e “sicurezza nazionale”, di fondamentale interesse per il Paese e inevitabilmente presente sull’agenda di entrambi i candidati alla Casa Bianca.
Nonostante le severe strategie messe in atto dalle diverse amministrazioni Usa sin dalla prima era Clinton, non si ferma il flusso di ingressi illegali provenienti in maggioranza dal Messico, provocando un cortocircuito interno alle politiche di immigrazione. Di fatto, il flusso non si attenua per il semplice motivo che quasi tutti coloro che giungono dall’altra parte del confine riescono realmente a trovare lavoro, e incoraggiano così nuovi e ripetuti arrivi.
D’altro canto, oggi è quasi impossibile perseguire vie legali per immigrare negli Usa, con la contraddizione che le disponibilità ufficiali – e quindi le domande accettate dall’agenzia per l’immigrazione Usa (ICE, Immigration and Customs Enforcement) che fa capo al Dipartimento per la sicurezza interna (DHS, Department of Homeland Security) - non rispecchiano le reali esigenze di forza lavoro nel Paese. Ad aggravare la situazione, la dolorosa contingenza secondo cui le liste d’attesa per un ricongiungimento familiare possono durare anche 10 anni.
Il lavoro rappresenta la motivazione cruciale per chi parte alla ricerca di un destino diverso, ma se dall’altro lato non vi sono leggi adeguate a gestire il fenomeno migratorio, l’esito può rivelarsi drammatico. Le circostanze di precarietà e di paura in cui vivono i clandestini li rendono infatti soggetti particolarmente vulnerabili, vittime facili di chi sa trarne beneficio con il raggiro e la barbarie. Negli Stati Uniti, l’immigrato illegale si offre come manodopera a basso costo in settori fondamentali quali l’edilizia, l’agricoltura, l’assistenza ad anziani e malati, il lavoro domestico nelle famiglie più agiate, ma soprattutto nelle tante fabbriche distribuite sul territorio nazionale che si servono normalmente di clandestini, a volte anche minori.
L’occasione si crea il più delle volte al confine, dove trafficanti e banditi si confondono con appaltatori, i cosiddetti “contractor”, che reclutano personale per conto di fabbriche o aziende agricole. I clandestini vengono “assunti” per lavorare con stipendi da fame e in condizioni disumane, dietro il ricatto del viaggio pagato per arrivare negli Usa. Per restituire il debito contratto, al lavoratore clandestino vengono spesso sottratti i documenti, finché non avrà completato il risarcimento, sempre molto lontano nel tempo per via della paga insufficiente. Questi immigrati vivono dunque per lunghissimi periodi in uno spazio indefinito, magari stipati in “colonie” prive di servizi o condizioni di vita decenti, e sfruttati con lavori estenuanti per oltre 12 ore al giorno, senza il rispetto delle norme minime di sicurezza, o dei diritti fondamentali dell’uomo.
Solo una cieca ipocrisia sulle leggi di immigrazione può negare l’evidenza di simili abusi e violazioni. Eppure, il 28 giugno 2007, il disegno di legge approvato alla Camera che prevedeva una riforma sulla normativa che regola l’immigrazione e che avrebbe – tra le altre cose – legalizzato 12 milioni di clandestini che vivono e lavorano da anni negli Stati Uniti, è stato bocciato in Senato, e quindi definitivamente respinto.
La tendenza in tema di immigrazione, come evidenzia in una nota la Conferenza Episcopale degli Stati Uniti (USCCB), è di perseguire una politica che si occupi solo di “sicurezza nazionale”, che aumenti i fondi per la detenzione e il rafforzamento delle frontiere, e trascuri il controllo dei datori di lavoro sulle assunzioni, senza promuovere in alcun modo un rinnovamento del sistema, come farebbe se invece si volesse, al contrario, incoraggiare l’immigrazione legale.
Allo stesso tempo, negli ultimi due anni, l’agenzia governativa per l’immigrazione ICE ha autorizzato e condotto dei blitz in alcune fabbriche del paese, con l’intento di individuare e arrestare, o deportare, i lavoratori illegali.

Come ha spiegato all’Agenzia Fides Kevin Appleby, Direttore dell’Ufficio Politiche per l’immigrazione della Conferenza Episcopale Usa, “in tutto il Paese vi sono fabbriche ben note per l’utilizzo di immigrati senza documenti. Tuttavia, i blitz sono iniziative estremamente preoccupanti, perché deportando i lavoratori non si tiene conto dell’impatto su famiglie, bambini, comunità”, e si viola una seconda volta la dignità di quelle donne e di quegli uomini. Da parte loro, gli imprenditori – in genere cittadini statunitensi - rischiano il carcere fino a vent’anni, e sanzioni economiche molto dure (circa 10 mila dollari per ogni clandestino assunto), “ma non è ancora chiaro in che misura queste pene vengano applicate”, aggiunge Appleby.
Il rappresentante dell’USCCB ha citato come esempio uno dei recenti blitz autorizzati dal governo: il 6 marzo 2007, centinaia di agenti dell’ICE, accompagnati da cani e scortati da un elicottero, hanno fatto irruzione in una fabbrica di pellame a New Bedford, nel Massachusetts, dove si confezionano zaini, borse per le munizioni e altri equipaggiamenti in pelle per i soldati americani in Iraq e in Afghanistan. Nell’incursione sono stati arrestati 360 immigrati illegali, tra cui molte donne guatemalteche o di altre nazionalità dell’America Centrale.
Come hanno riferito negli interrogatori, i lavoratori operavano in condizioni di semi-schiavitù, con restrizioni sulle pause per andare in bagno, sull’utilizzo della carta igienica, sulla possibilità di fare un break e di scambiare qualche parola sul posto di lavoro. Gli agenti li hanno ammanettati, interrogati e poi deportati in centri di detenzione nel New Mexico e in Texas, senza alcuna assistenza legale, né la minima considerazione per la comunità di appartenenza e per le famiglie, anche nel caso in cui i loro figli erano nati negli Stati Uniti, e si potevano quindi considerare cittadini americani.
La Conferenza Episcopale degli Stati Uniti ha scritto ai funzionari del DHS, chiedendo il rispetto dei protocolli legali che garantiscono ai bambini di non essere separati dal genitore che si prende cura di loro, soprattutto per i bisogni primari, come l’allattamento, e ha invitato il governo ad assegnare tempestivamente un legale d’ufficio ad ogni detenuto. I vescovi hanno chiesto inoltre che chiese, servizi sociali e scuole non siano per nessuna ragione obiettivo di queste incursioni.
Ma nella confusione, famiglie e comunità si sono spezzate, i bambini in alcuni casi sono stati affidati a congiunti o addirittura ad estranei. Contrariamente a quanto dichiarato dall’ICE, ci sono casi in cui le madri sono state deportate, malgrado stessero allattando, anche solo per un errore burocratico, o una banale distrazione.
Tra i paradossi, si pensi infine che la fabbrica aveva un contratto con il Dipartimento della Difesa Usa del valore di circa 200 milioni di dollari, motivo per cui il Pentagono aveva un ufficio in fabbrica per il controllo qualità, con un ispettore sempre presente, il quale difficilmente avrebbe potuto ignorare cosa stesse succedendo in azienda, e chi fossero realmente i suoi dipendenti. (F.M.) (Agenzia Fides 16/9/2008)


Condividi: