VATICANO - “Vi fu detto, ma io vi dico…” - intervento del prof. Michele Loconsole - Non c’è vero dialogo senza la conoscenza dei documenti

venerdì, 5 settembre 2008

Città del Vaticano (Agenzia Fides) - Non si può impostare, programmare e sviluppare seriamente e onestamente il dialogo tra cristiani e giudei se non si passa dalla conoscenza dei documenti che da oltre un quarantennio scandiscono le relazioni – e non solo diplomatiche - tra le due fedi abramitiche. Documenti emanati sia dalla Chiesa cattolica che dal mondo ebraico.
Nell’ambito cattolico la raccolta e l’analisi degli atti è certamente più semplice: uno è infatti il Magistero e una l’ermeneutica del dialogo che la Chiesa porta avanti con i suoi “fratelli maggiori”. Nel giudaismo contemporaneo, invece, così come nel passato, le voci sono molteplici, e a volte contrastanti, fatto che rappresenta sì una ricchezza ma nel contempo anche un non sempre piacevole disorientamento. Tuttavia, nel rispetto delle precipue identità ciò che conta è il sempre rinnovato desiderio di confronto, che liberi il campo del dialogo da ignoranze, incomprensioni, dubbi e pregiudizi.
Per tornare alla Chiesa cattolica, la storia dei documenti del dialogo col giudaismo – tralasciando gli atti conciliari - può essere suddiviso in tre parti: la prima, i documenti ufficiali della Chiesa; la seconda, il lungo magistero di Papa Giovanni Paolo II; la terza, quello appena cominciato di Papa Benedetto XVI.
Un primo documento ufficiale emanato dalla Santa Sede è stato stilato dalla Commissione per i rapporti religiosi con l’ebraismo il 24 giugno 1985; presidente dei lavori era il Cardinale Johannes Willebrands. Il testo, dal significativo titolo “Ebrei e ebraismo nella predicazione e nella catechesi della Chiesa cattolica. Sussidi per una corretta presentazione”, si è certamente ispirato alla Dichiarazione Conciliare “Nostra Aetate”, 4, la magna charta del dialogo fra cristiani ed ebrei: “Curino pertanto tutti che nelle catechesi e nella predicazione della parola di Dio non insegnino alcunché che non sia conforme alla verità del Vangelo e alla Spirito di Cristo… Essendo perciò tanto grande il patrimonio spirituale comune ai cristiani e agli ebrei, questo sacro concilio vuole promuovere e raccomandare loro mutua conoscenza e stima…”.
Ma ancora un altro documento doveva avere dettato alla Commissione l’urgenza della retta predicazione dell’ebraismo nella Chiesa: gli “Orientamenti e suggerimenti per l’applicazione della dichiarazione conciliare Nostra Aetate, 4”. Nel III capitolo, dal titolo “Insegnamento ed Educazione”, è infatti scritto: “L’informazione su queste questioni deve riguardare tutti i livelli d’insegnamento e di educazione. Tra i mezzi di informazione, una particolare importanza rivestono quelli di seguito elencati: manuali di catechesi, libri di storia, mezzi di comunicazione sociale (stampa, radio, cinema, televisione). L’uso efficace di tali mezzi presuppone una specifica formazione degli insegnanti e degli educatori nelle scuole, come pure nei seminari e nelle università”.
Da quanto detto finora, risulta del tutto evidente che un primo e significativo aspetto del dialogo tra cristiani e ebrei è quello dell’ipostazione della correttezza metodologica. Prima di affrontare le questioni di merito o di contenuto è bene chiarirsi sul metodo: non esiste nessun dialogo serio e onesto se si rinuncia all’oggettività delle identità e alla verità storica. Così facendo, ciò che sarà guadagnato sarà utile ad entrambi, e non ad una sola parte. Proprio quanto Giovanni Paolo II già nel 1982 osservava, rivolgendosi ai delegati delle Conferenze Episcopali riunite a Roma per studiare le relazioni tra Chiesa cattolica e ebraismo: “Voi vi siete preoccupati, durante la vostra sessione, dell’insegnamento cattolico e della catechesi in rapporto agli ebrei e all’ebraismo… Occorrerà fare in modo che questo insegnamento, ai diversi livelli di formazione religiosa, nella catechesi fatta ai bambini e agli adolescenti, presenti gli ebrei e l’ebraismo non solo in maniera onesta e obiettiva, senza alcun pregiudizio e senza offendere nessuno, ma ancor più con una viva coscienza del patrimonio comune agli ebrei e ai cristiani”.
Già, il “patrimonio comune”. Comune a ebrei e a cristiani, che forma un vincolo che lega spiritualmente le due fedi. Al punto che la Chiesa di Cristo può affermare con orgoglio: che questo grande patrimonio spirituale è agli inizi della sua fede e della sua elezione, secondo il mistero divino della salvezza, nei patriarchi, in Mosè e nei profeti. (Michele Loconsole) (Agenzia Fides 5/9/2008; righe parole )


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