VATICANO - “Vi fu detto, ma io vi dico…” - intervento del prof. Michele Loconsole - Quale rapporto tra Israele e la Chiesa ?

venerdì, 1 agosto 2008

Città del Vaticano (Agenzia Fides) - La storia dei rapporti tra ebrei e cristiani è la storia di una relazione complessa, difficile e dolorosa. È una storia in cui si sono avvicendate lacrime e sangue; sofferenza e dolore, ostilità e diffidenza. Anche se da alcuni anni, soprattutto all’indomani del Concilio Vaticano II, assistiamo fiduciosi e speranzosi a tentativi di perdono, comprensione, accoglienza, desiderio, di mutua e sincera riconciliazione. Molti sono infatti i documenti che nell’ultimo quarantennio sono stati firmati congiuntamente da ebrei e cristiani per tentare di riprendere un cammino comune, come i due principali protagonisti della storia dell’umanità sovrastata dall’unico mistero della salvezza per l’uomo. Rapporto tra Dio e l’umanità descritto, come è noto, nella Bibbia.
Ma quali, ancora, i punti di confronto tra ebrei e cristiani ancora irrisolti ? Purtroppo moltissimi, di cui tanti quelli decisivi, la cui soluzione farebbe avanzare anche di molto il dialogo tra le due fedi abramitiche. Uno di questi nodi è certamente il rapporto tra Israele e la Chiesa, o, in altre parole, tra giudei e pagani. Ossia in che misura il giudaismo d’oggi si pone in rapporto alla promessa che Dio fece ad Abramo, di essere il capostipite di una innumerevole discendenza? Ovvero, quanto il giudaismo post-farisaico e talmudico ha conservato di universale e di missionario rispetto all’ebraismo di Abramo e dei Profeti?
L’auspicata riconciliazione tra ebrei e cristiani, che da mezzo secolo si cerca di portare avanti, a volte con difficoltà, ma per lo più con grande desiderio e reale convincimento, può essere assicurata se il confronto non si ferma alle singole e semplici questioni storiche, che per quanto importanti riguardano aspetti se non formali certamente secondari, come ad esempio la nota questione dell’ebraicità di Gesù. Oggi, infatti, alle soglie del III millennio dell’era cristiana, sembrano maturi i tempi affinché si passi dalle formule e dai gesti esteriori - che hanno contraddistinto un’intera fase del serrato confronto tra ebrei e cristiani, sì primitiva ma essenziale per il prosieguo dello sviluppo del dialogo interreligioso, condotto con carità ma nella verità – ad una analisi più approfondita dei maggiori nodi che ancora frappongono ebrei e cristiani verso un comune progetto di cooperazione teologico-pastorale da presentare all’umanità.
E allora, solo per affrontare un aspetto del delicato tema del rapporto tra giudei e pagani in relazione alle promesse bibliche: come non vedere nella Chiesa voluta da Cristo il compimento della promessa che Dio aveva fatto ad Abramo quando gli assicurava, per via della sua fede, una grande discendenza?
È a tutti noto che uno degli aspetti della missione di Gesù è stato quello di avere saputo unire giudei e pagani in un unico popolo di Dio, a testimonianza del compimento della promessa universalistica riportata nelle antiche Scritture. Tutti i popoli, dice il Vecchio Testamento, adoreranno il Dio di Israele; e in Isaia Dio arriverà addirittura a dire: che viene annunciato l’invio di messaggeri ai popoli che non hanno udito la mia fama e non hanno visto la mia gloria. Anche da essi mi prenderò dei sacerdoti e dei leviti (Is 66 19 s).
Nel Vangelo di Matteo tutto ciò è significato nel racconto dei magi venuti da oriente che avevano seguito la stella per trovare e adorare il Salvatore del mondo (2,1-12). Essi, i magi, sono la primizia o la prefigurazione dell’origine pagana della Chiesa. Sono loro, i pagani, che attratti dalla stella di Davide, cercano in Israele colui che sarà il Re delle nazioni. Prova che i “goìm”, come gli ebrei chiamano i gentili, cioè i pagani, non possono riconoscere Gesù e adorarlo come Figlio di Dio e Salvatore del mondo se non guardando ai giudei, custodi della promessa messianica contenuta nella Torà o Pentateuco, o comunque nell’intero Vecchio Testamento. È in questo modo che il mondo, le genti, le nazioni sono entrate a fare parte della grande famiglia dei patriarchi ottenendo la dignità israelitica.
Infatti, da almeno duemila anni è solo nella Chiesa che è possibile sperimentare l’unità e la riconciliazione tra ebrei e mondo (Ef 2,18-22): la Chiesa, infatti, nasce giudeo-cristiana. La storia di Israele è diventata con Cristo la storia del mondo, e la figliolanza carnale di Abramo è divenuta, in Cristo, la figliolanza spirituale dei “molti”. Nella Chiesa, infatti, non c’è distinzione tra etnie, generi e classi sociali. Tutti i suoi membri, seguaci di Cristo, sono figli della promessa e di conseguenza fratelli fra loro, che riconoscono Dio come il loro Padre comune e costituiti nell’amore vicendevole e nella comunione fraterna sono il suo vero popolo.
Tuttavia, anche se tutto questo è vero, ed è storicamente sperimentato appunto nella vita della Chiesa, non dobbiamo dimenticare che la salvezza pro-viene dai giudei (Gv 4,22). Non c’è infatti nessun accesso a Gesù e di conseguenza appartenenza al popolo di Dio senza credere nell’intera Rivelazione biblica: Antico e Nuovo Testamento e Sacra Scrittura di Israele e Gesù sono di fatto inseparabili tra loro. La missione di Cristo, pertanto, corrisponde in pieno allo sviluppo autentico della dinamica profetica presente in tutto l’Antico Testamento. (Michele Loconsole) (Agenzia Fides 1/8/2008)


Condividi: