VATICANO - “Vi fu detto, ma io vi dico…” - un intervento del prof. Michele Lo console: riparte dalla sinagoga di New York il dialogo tra ebrei e cristiani

venerdì, 25 aprile 2008

Città del Vaticano (Agenzia Fides) - È ormai a tutti nota la recente polemica, innescatasi all’indomani della liberalizzazione dell’antico rito cattolico, causata dalla riproposizione e dalle modifiche del testo liturgico della preghiera Oremus et pro Iudaeis del Venerdì santo. Voluta da Benedetto XVI col Motu Proprio Summorum Pontificum, la nuova formula in latino è stata aspramente criticata dai rabbini europei; più sfumate, invece, le posizioni dei rabbini americani, tra cui quella di Jacob Neusner.
La Santa Sede, proprio per chiarire ulteriormente quale fosse la sua reale posizione in merito, il 4 aprile ha diffuso un comunicato attraverso la Sala Stampa vaticana, che afferma: “Dopo la pubblicazione del nuovo Oremus et pro Iudaeis per l’edizione del Missale Romanum del 1962, da alcuni settori del mondo ebraico è stato espresso dispiacere nel considerare che tale testo non risulterebbe in armonia con le dichiarazioni ed i pronunciamenti ufficiali della Santa Sede, riguardanti il popolo ebreo e la sua fede, che hanno segnato il progresso nelle relazioni di amicizia tra gli ebrei e la Chiesa cattolica in questi quarant’anni.
La Santa Sede assicura che la nuova formulazione dell’Oremus, con la quale sono state modificate alcune espressioni del Messale del 1962, non ha inteso, nel modo più assoluto, manifestare un cambio nell’atteggiamento che la Chiesa cattolica ha sviluppato verso gli ebrei, soprattutto a partire dalla dottrina del Concilio Vaticano II, in particolare nella Dichiarazione Nostra aetate, la quale, secondo le parole pronunciate dal Papa Benedetto XVI proprio nell’Udienza ai Rabbini Capo di Israele del 15 settembre 2005, ha segnato una pietra miliare sulla via della riconciliazione dei cristiani verso il popolo ebraico. Il permanere dell’atteggiamento presente nella Dichiarazione Nostra aetate è evidenziato, del resto, dal fatto che l’Oremus per gli ebrei contenuto nel Messale Romano del 1970 resta in pieno vigore, ed è la forma ordinaria della preghiera dei cattolici.
Il Documento conciliare, nel contesto di altre affermazioni - sulle Sacre Scritture (Dei Verbum,14) e sulla Chiesa (Lumen gentium,16) -, espone i principi fondamentali che hanno sostenuto e sostengono anche oggi le relazioni fraterne di stima, di dialogo, di amore, di solidarietà e di collaborazione fra cattolici ed ebrei. Proprio scrutando il mistero della Chiesa, la Nostra aetate ricorda il vincolo del tutto particolare con cui il popolo del Nuovo Testamento è spiritualmente legato alla stirpe di Abramo e respinge ogni atteggiamento di disprezzo e di discriminazione verso gli ebrei, ripudiando con fermezza qualunque forma di antisemitismo”.
Il documento citato si collocava come “pre-testo” alla visita che Benedetto XVI avrebbe fatto a New York, in occasione del suo viaggio apostolico negli Stati Uniti, a poche ore dalla Pasqua ebraica, alla sinagoga dell’East Park presieduta dal rabbino Arthur Schneier, da tempo impegnato nel dialogo interreligioso, con cristiani e musulmani. Visita che il Papa gli aveva promesso due anni prima.
Incontro che puntualmente è stato confermato, e che ha visto per la prima volta un Romano Pontefice varcare le porte di una sinagoga americana. Accolto con canti di lode e al grido di Shalòm, il Papa ha incontrato il rabbino Schneier, di origine austriaca, sopravvissuto della Shoà e fondatore di una associazione per il dialogo fra ebrei, cristiani e musulmani.
“È per me una gioia venire qui - ha detto Benedetto XVI - qualche ora prima della vostra celebrazione di Pesàch per esprimere il mio rispetto e stima per la comunità ebraica di New York. Vi assicuro - ha continuato Papa Ratzinger - la mia vicinanza in questo tempo in cui vi preparate a celebrare le grandi gesta dell’Onnipotente e a cantare le lodi di Lui che ha operato tali prodigi per il suo popolo. Vi incoraggio - ha poi aggiunto - nel continuare a costruire ponti di amicizia con le molte comunità e gruppi religiosi presenti in questo quartiere”.
Cogliendo poi la fortunata occasione delle sua visita alla vigilia della Pasqua ebraica ha detto: È questa nuova relazione, quella nata tra ebrei e cristiani a partire dalla Nostra aetate, che traccia un parallelo tra la Pasqua cristiana e quella ebraica, tra la morte e risurrezione di Gesù e la festa che ricorda la liberazione del popolo ebraico dall’Egitto. La nostra Pasqua e il vostro Pesàch - ha continuato il Papa -, sebbene distinti e differenti, ci uniscono nella comune speranza centrata su Dio e sulla sua misericordia. Questo ci sprona a cooperare gli uni con gli altri e con tutti gli uomini e le donne di buona volontà per rendere migliore questo mondo per tutti, in attesa del compimento delle promesse di Dio”.
Con tali gesti e parole, Benedetto XVI ha voluto esprimere sentimenti di fiducia e di amicizia alla comunità ebraica americana, intenti che ha manifestato anche al termine dell’incontro con i leader delle religioni presenti nel Nuovo Continente: “Nel rivolgermi a voi desidero riaffermare l’insegnamento del Concilio Vaticano II sulle relazioni cattolico-ebraiche e reiterare l’impegno della Chiesa per il dialogo che nei trascorsi quarant’anni ha cambiato in modo fondamentale e migliorato i nostri rapporti”.
Pace fatta, quindi, tra fratelli maggiori e minori? Per Abraham Foxman, direttore della Anti-defamation League americana, e per una larga parte dell’ebraismo americano, il comunicato stampa del 4 aprile scorso ha chiarito qualcosa, ma non tutto: “La buona notizia - ha affermato Foxman - è che il Vaticano risponde, la cattiva notizia è che non risponde completamente. È come avesse fatto due passi avanti e tre passi indietro, ha corretto il linguaggio offensivo, ma ancora il testo (la formula latina dell’antico rito) lascia l’impressione che la Chiesa si auguri la conversione degli ebrei. E questo è contrario allo spirito della Nostra aetate e allo spirito della visita in sinagoga”. Ciò detto, Foxman ha però voluto concludere il suo intervento con rinnovata speranza: “Crediamo che sia necessario continuare il dialogo per vedere se è possibile ritornare non solo allo spirito della Nostra aetate, ma anche al suo linguaggio, che respingeva in ogni modo il proselitismo verso gli ebrei. Dobbiamo continuare a sensibilizzare il Vaticano per convincerlo che occorrono ancora delle correzioni. Già nel passato, d’altra parte, Papa Ratzinger ha dimostrato di essere disposto ad ascoltare. Ho incontrato il Pontefice due volte l’anno scorso e l’ho trovato molto deciso a combattere l’antisemitismo, e non ho avuto affatto l’impressione che sia rigido, anzi il contrario. È una persona che sta a sentire”. (6 - continua) (Agenzia Fides 25/4/2008; righe 74, parole 1.042)


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