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giovedì, 13 marzo 2008

Roma (Agenzia Fides) - Il loro peso, a volte, è quello di una mela o di una pera. A volte, raggiungono la dimensione di una mano. Oggi, la scienza sa che sentono gli odori, sentono i sapori, sentono i suoni, sentono il dolore. Li chiamano feti. D’altra parte, ci sono filosofi che spiegano che non soltanto il feto non è una persona, ma non lo è neppure il bambino fino all’anno di vita. Dicono che fino all’anno di vita non c’è autocoscienza e, quindi, i bambini non sono persone, con i loro diritti.
Accade che, a seguito di aborto, quello che chiamano feto possa avere una chance per sopravvivere. Si è discusso per mesi in Italia se offrire o meno questa possibilità alla vita. Il Ministro della Salute, dopo aver detto “Vogliono rianimare il feto? Va bene, rianimino il feto”, ha pensato di chiedere un parere al Consiglio Superiore della Sanità, che il 5 marzo ha suggerito di provare a rianimare il feto, ma senza accanimento terapeutico, garantendo comunque idratazione e alimentazione e in stretto contatto con i genitori, anche se la scelta finale spetta al neonatologo, che dovrà tenere lo stesso comportamento, sia che si tratti di nascita verificatasi spontaneamente, sia in conseguenza di un aborto.
La scienza sa. Secondo un monitoraggio effettuato su 45.000 neonati sotto il chilo e mezzo di circa 600 terapie intensive neonatali a livello mondiale, tra cui 13 italiane, la mortalità sotto le 22 settimane è del 96%, ma i casi di sopravvivenza sono vere eccezioni; alla 23/ma è del 70%; alla 24/ma del 45% e alla 25/ma del 28%. Questo significa che un feto di 23 settimane ha il 30% di possibilità di sopravvivere. Secondo i dati provenienti da 600 cliniche nel mondo raccolti nel Vermont Oxford Network, la sopravvivenza a 22 settimane è del 5%, sale al 30% nei nati a 23 settimane e arriva al 60% nei bambini nati a 24 settimane di gestazione.
In una casistica condotta analizzando 19.507 neonati ammessi in 17 reparti di cure intensive neonatali in Canada sono sopravvissuti e sono stati dimessi dal reparto il 14% dei neonati a 22 settimane, il 40% a 23 settimane e quasi il 60% a 24 settimane. In alcune casistiche giapponesi vi sono sopravvivenze del 5% anche per epoche gestazionali di 20 settimane. In Inghilterra è stato da poco pubblicato un rapporto ufficiale che indica in 66 i bambini nati vivi e deceduti dopo un aborto volontario, di cui 50 prima delle 22 settimane. Certo è che, negli anni ’60, il 90% dei bambini nati prematuri sotto il chilo morivano. Oggi ne muore solo il 10%. La percentuale del 90% di quel periodo corrisponde, oggi, a quella dei prematuri nati alla 22esima settimana che non ce la fanno.
Oggi, la scienza sa che, a differenza di quel che accadeva vent’anni fa, il bambino, invece che a 26-27 settimane, può sopravvivere molto più piccolo e che il limite, teoricamente, è quello delle 22 settimane, con una percentuale, alta, di bambini che muoiono e di quelli che sopravvivono, circa la metà conoscerà una qualche disabilità. Questo può essere considerato motivo per non provare a dare sopravvivenza? Considerando che l’ecografia morfologica - la procedura per lo studio delle strutture anatomiche fetali che consente lo screening e la diagnosi di eventuali malformazioni del feto - viene normalmente eseguita tra la 20° e la 22° settimana di gestazione, non sarebbe ragionevole e scientifico individuare questo come momento in cui, per la possibile vita del feto, l’aborto non è più consentito? Perché questo non può avvenire? Qual è il crinale che la scienza deve seguire? Quello dell’eutanasia neonatale olandese?
Quello dei ginecologi del Regno Unito, che chiedono di poter effettuare l’eutanasia, perché considerano un figlio disabile l’equivalente di una famiglia disabile? C’è chi vuole decidere se una vita vale la pena o meno di essere vissuta. Questo è il punto. La legge italiana sull’interruzione di gravidanza dice che l’aborto non deve essere praticato, se non nel caso di rischio per la vita di una donna, da quando il feto ha la possibilità di una vita autonoma. Il bambino oggi ha la possibilità di vivere al di fuori della pancia della mamma, realisticamente, dalla 22a settimana. Sopravvivono in pochi, ma la possibilità c’è. Chi chiede che questa legge venga modificata su questo punto è contro la scienza o vuole una scienza al servizio della persona umana e della sua dignità? (S.G.) (Agenzia Fides 13/3/2008; righe 48, parole 739)


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