AFRICA/KENYA - Da circa 20 anni i Vescovi del Kenya denunciano l’uso strumentale del tribalismo a fini della lotta politica e sono impegnati a costruire la convivenza pacifica

mercoledì, 16 gennaio 2008

Nairobi (Agenzia Fides)- Le violenze che hanno sconvolto il Kenya nelle ultime settimane non giungono inaspettate: i Vescovi cattolici locali da circa 20 anni lanciano ammonimenti sulla strumentalizzazione delle tensioni etniche e tribali a fini politici. Alla vigilia della giornata di preghiera nazionale indetta dalla Chiesa cattolica in Kenya, domenica 20 gennaio (vedi Fides 10/1/2008), pubblichiamo una breve rassegna di alcuni degli interventi più significativi dei Vescovi negli ultimi anni.
Dopo le violenze scoppiate nell’agosto del 1997, anno di elezioni, Mons. Ambrogio Ravasi, Vescovo di Marsabit nel nord-est del Kenya definiva gli scontri “frutto di egoismo, avidità, e sete di potere. Essi continuano nell’impunità, anche se in modo ridotto, come se fossero diventati un intollerabile, ma normale, modello di vita, o peggio, come se fossero il risultato di una qualche ben pianificata strategia satanica, diretta da qualche potere superiore sconosciuto, che gli sforzi umani non possono controllare o fermare”. Mons. Ravasi notava inoltre che “nel momento in cui si avvicinano le elezioni generali aumenta la tensione che si avverte nell’aria, mentre si sente parlare di scontri e disordini tra i diversi partiti politici”.
Il 16 settembre 1997 il Cardinale John Njue, attuale Arcivescovo di Nairobi e già all’epoca Presidente della Conferenza Episcopale del Kenya, pubblicò un messaggio “profetico”, nel quale, parlando delle violenze scoppiate nella Provincia della Costa, si domandava se queste “fossero un “progetto pilota” da ripetere altrove. in qualche parte della Rift Valley, delle Province occidentale, orientale e di Nyanza”. Sono alcune delle aree sconvolte dagli scontri scoppiati dopo le elezioni del 27 dicembre 2007. Il Cardinale Njue notava che “il fatto che diverse persone sono costrette a lasciare il luogo dove sono state registrate per il voto, ci fa pensare che questi scontri sono i frutti cattivi di politici sadici che beneficeranno dell’assenza e della mancata partecipazione al voto di persone appartenenti a certe comunità etniche che in precedenza non hanno appoggiato loro e i loro partiti. Queste uccisioni, che hanno causato panico e terrore costringendo all’esodo di massa le popolazioni Likoni, Mtwapa, Kwale, Malindi, Kilifi e Diani, sono state perpetrate da appartenenti a certe comunità etniche; Luo, Kikuyu, Luhya e Kamba, solo per citarle alcune. È una coincidenza, che da queste tribù provengono i potenziali candidati presidenziali? Mentre il governo predica la pace, non sembra che vi sia per nulla la pace e i leader della Provincia della Costa sono rimasti in silenzio. Perché condonano le violenze?”.
Riferendosi agli stessi incidenti Mons. Zacchaeus Okoth, Arcivescovo di Kisumu, nella Provincia di Nyanza, nell’est del Paese affermava: “abbiamo seppellito i corpi di 26 persone uccise nella Provincia della Costa. Dobbiamo chiederci: perché queste persone sono state uccise? Nonostante le recenti violenze sulla costa, è evidente che a Mombasa la grande maggioranza dei keniani che vivono in una società multi-etnica vogliono la pace e il rispetto reciproco, la riconciliazione e la giustizia. Infatti la popolazione dell’entroterra della Costa ha sempre votato per i rappresentanti della popolazione costiera per essere i loro esponenti nel Parlamento. Facciamo tutto quel che è possibile per restaurare l’armonia tra le popolazioni che esisteva in precedenza sulla Costa”.
Dopo le elezioni generali che si tennero il 29 e 30 dicembre 1997, il 7 gennaio 1998 il Cardinale Njue rivolse un appello alla riconciliazione nazionale e chiese al nuovo governo di correggere tutte le carenze rilevate nel voto: “Siamo consapevoli delle gravissime ingiustizie, di alcune azioni estremamente disoneste, di vergognose falsità nel conteggio e nella pubblicazione dei voti. Lasciateci insistere nel chiedere provvedimenti immediati al nuovo governo per correggere queste carenze”.
Nel Messaggio di Natale del 2000, il Cardinale Njue, ricordava gli accadimenti che avevano sconvolto la vita del Kenya in quell’anno: siccità, razionamento dell’acqua e della corrente elettrica, l’intolleranza politica “che non è mai stata così negativa” e la violenza diffusa della quale è stato vittima anche P. Kaiser, un missionario statunitense ucciso in circostanza non ancora chiarite.
Il 28 agosto 2002, in occasione delle elezioni generali, vinte da Mwai Kibaki, i Vescovi avevano lanciato un appello “ai politici per fare tutto il possibile per prevenire il ripetersi degli scontri etnici che si sono verificati durante le scorse elezioni”. “Notiamo che i cosiddetti “scontri tribali” sono iniziati nelle stesse aree del Paese già coinvolte negli scontri del 1992. È una coincidenza? Come è possibile che la popolazione sembri capace di vivere in pace per un lungo periodo di tempo e poi, senza nessun preavviso, cada nella violenza! Come è possibile che i giovani disoccupati delle aree urbane (in particolare Nairobi) sembrino così facilmente organizzabili e mobilitabili per causare disordine?” scrivevano i Vescovi il 16 novembre 2006 dopo gli ennesimi atti di violenza prima dio una consultazione elettorale.
“Le diverse analisi che abbiamo ricevuto dalle Commissioni Giustizia e Pace in tutto il Kenya” affermava il comunicato della Conferenza episcopale “dimostrano che la povertà è alla radice della maggior parte dei nostri problemi. Vediamo, da un lato, l’arricchimento scandaloso e spudorato di pochi, e dall’altro, vediamo il crescente impoverimento della maggior parte della popolazione. Quando aggiungiamo a questa disparità il problema irrisolto della terra, gli interventi opportunisti e irresponsabili di diversi nostri leader e l’inazione delle “forze della legge e dell’ordine”, siamo spinti a fare appello a tutti i keniani a fermarsi, a riflettere e a capovolgere la situazione prima che sia troppo tardi”.
I Vescovi presentavano alcune proposte per aiutare a ristabilire la pace nella nazione:
1) I politici e i capi locali devono evitare frasi che incitano all’odio (“commenti discriminatori nei confronti di altri individui e gruppi etnici possono uccidere”) e adottare, invece, un linguaggio improntato al rispetto della vita, alla riconciliazione e alla costruzione dell’unità.
2) “La risoluzione dei problemi con la non violenza non è una finzione”. Si può fare attraverso il dialogo che presuppone “sincerità e la capacità di perdonare”.
3) I Vescovi chiedono al governo di “risolvere rapidamente i problemi relativi al possesso della terra” e di accelerare i programmi di sviluppo e di miglioramento per la popolazione del Kenya”.
4) Le forze dell’ordine sono chiamate “ad agire con rapidità, ma in maniera responsabile, nelle situazioni di violenza. È imperativo inoltre che coloro che incitano e pagano i giovani keniani ad agire con la violenza e in modo criminale, siano condotti di fronte alla giustizia”.
Anche alla vigilia delle elezioni generali del 27 dicembre 2007 la Conferenza Episcopale keniana aveva pubblicato una lettere pastorale, intitolata “Ama Dio e il Prossimo tuo”, con la quale si ricordava che “l’amore sincero per il prossimo è il vero valore fondante di una nazione unita. Per questo motivo dobbiamo rigettare qualsiasi leader che predica l’odio o che indulge in politiche che creano divisioni”. Nella lettera pastorale si sottolineava inoltre l’importanza dell’educazione civica per assicurare la crescita della democrazia in Kenya e per impedire l’uso di pratiche illegali come la compravendita dei voti e l’incitamento alla violenza elettorale. (L.M.) (Agenzia Fides 16/1/2008 righe 84 parole 1102)


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