VATICANO - Missionarietà della Chiesa: il rapporto dialogo-missione - a cura di p. Adriano Garuti e Lara De Angelis

martedì, 8 gennaio 2008

Città del Vaticano (Agenzia Fides) -Il Concilio Vaticano II e i documenti del Magistero postconciliare hanno inaugurato un nuovo atteggiamento missionario che comincia sempre con un sentimento di profonda stima verso quanto vi è in ogni uomo, nel pieno rispetto della sua libertà,e si traduce nel concetto di dialogo, che va dal dialogo ecumenico al dialogo con le diverse culture e con le altre religioni. Pertanto la missione della Chiesa deve essere svolta in conformità ai principi del dialogo con le culture e con le altre religioni.
Da questa prospettiva il Concilio Vaticano II dichiara: la Chiesa cattolica nulla rigetta di quanto è vero e santo in queste religioni. Nel contesto globale del Vaticano II il decreto “Nostra Aetate” ha esercitato un profondo influsso per creare un nuovo clima di serenità nell’atteggiamento della Chiesa nei confronti delle altre religioni in vista di compiere la sua missione universale. Tale nuovo clima è caratterizzato da un lato dal riconoscimento aperto dei valori positivi delle altre religioni, e dall’altro dall’invito sincero al dialogo, al rispetto, alla collaborazione con i loro seguaci. Il Magistero post-conciliare continua ad incoraggiare il dialogo con le altre religioni e culture come componente indispensabile della vocazione missionaria della Chiesa.
Paolo VI è stato il primo Papa ad entrare in dialogo con i seguaci delle altre religioni, affermando che la Chiesa deve venire al dialogo con il mondo in cui si trova a vivere. La Chiesa si fa parola, si fa messaggio e colloquio. Lo stesso Giovanni Paolo II cercò di allargare e approfondire l’approccio positivo verso le altre religioni, affermando che esse sono una sfida positiva alla Chiesa, la stimolano a scoprire e a riconoscere i segni della presenza di Cristo. Il dialogo interreligioso non è da considerarsi come qualcosa a parte della missione o contro la missione, ma è parte integrante della missione globale della Chiesa. La missione, dunque, a qualunque livello attuata, deve essere permeata da un profondo spirito dialogico, se non fosse così andrebbe contro le esigenze del Vangelo.
Il dialogo fruttuoso esige che il cristiano sia ben radicato nella fede. Dal punto di vista personale il dialogo presuppone disponibilità a promuovere l’amicizia, il rispetto e la collaborazione. Di conseguenza vanno evitati quegli impedimenti che ostacolano il dialogo interreligioso: il pregiudizio, il fondamentalismo che tende a confondere la religione e la società, il sincretismo che conduce all’indifferenza religiosa.
Agli aspetti veramente positivi si contrappongono dei rischi collegati al concetto del relativismo, a questa visione si oppone la fede in Gesù Cristo come unico Salvatore e la fede nell’inseparabilità della Chiesa da Cristo stesso. Tutto ciò significa che la missione cristiana deve comprendere le religioni e accoglierle in modo molto più profondo di quanto sia avvenuto finora; ma allo stesso tempo le religioni hanno bisogno di riconoscere il loro carattere di Avvento, che le rimanda a Cristo. Ne consegue che le religioni sono salvifiche non in se stesse,ma possono contribuire alla salvezza nella misura in cui conducono l’uomo a cercare il volto di Dio.
La salvezza non sta nelle religioni in quanto tali, ma è collegata con esse, nella misura in cui portano l’uomo al Bene unico, alla ricerca di Dio, alla verità e all’amore. Alla luce di queste affermazioni si pone il problema del dialogo interreligioso. Nella concezione relativista esso diventa il concetto opposto rispetto alla conversione e alla missione, il che significa porre su uno stesso piano la propria fede. In realtà la volontà salvifica di Dio, estesa a tutti gli uomini,si concretizza attraverso vie a Lui note, in un rapporto non solo con Cristo ma anche con la Chiesa. (9 - continua) (Agenzia Fides 8/1/2008; righe 41, parole 597)


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