VATICANO - Il mandato divino della missione - a cura di p. Adriano Garuti e Lara De Angelis

martedì, 13 novembre 2007

Città del Vaticano (Agenzia Fides) - La chiamata alla missione ha la sua iniziativa in Dio stesso, che fin dall’eternità ha deciso di chiamare gli uomini a partecipare alla sua vita. L’ attuazione di questo disegno comporta diverse fasi che vanno dalla creazione stessa e, attraverso la fase intermedia dell’elezione del popolo ebraico, giungono fino alla costituzione della Chiesa ad opera del Figlio di Dio Incarnato.
Con la creazione Dio chiama l'uomo e il mondo alla vita, per cui l'uomo appare in particolare relazione con Lui e partecipe della sua stessa vita: “Tale partecipazione non viene imposta, ma offerta come premio per l'osservanza del patto: l'astensione dal mangiare il frutto proibito. La libertà dell'uomo di instaurare un dialogo con Dio e di sottoscrivere con Lui un'alleanza fanno parte, fin dal 'principio' di quel che viene detta imago Dei. In questo patto iniziale, l'uomo è uguale a Dio per la libertà. Ma i progenitori, facendo cattivo uso della libertà, ruppero il patto di alleanza, con gravi conseguenze: perdita della comunione con Dio, perdita del dominio pacifico della natura, del controllo degli istinti e delle passioni, dell'innocenza e dell'immortalità” (A. Garuti, “Il mistero della Chiesa” - Manuale di ecclesiologia, Roma 2004, pag. 122-123).
Nella fase preparatoria dell’Antico Testamento Jahwé chiama a sé il suo popolo, stipula con lui un’alleanza (berit) che fa di Israele un "popolo di sua peculiare appartenenza fra tutte le nazioni" (Es 19, 5), un "popolo suo proprio" (Dt 26, 18) e promette fedeltà (hesed), ulteriormente illustrata dalle metafore di pastore e di sposo che designano Israele come "gregge del suo pascolo" e come "sposa" (cf. Sal 79, 13; 95, 7, 100, 3; Is 40, 11; Ger 23, 2; Ez 34, 1-31 ecc). Dio è presentato espressamente come Padre (cf. Dt 32, 5; Os 11, 1.3) ed Israele ne è il figlio (cf. Os 11, 1), anzi il primogenito (cf. Es 4, 22). Dal significato originario di 'am ne deriva che Israele costituisce la "famiglia di Dio".
Nonostante la sua mentalità particolaristica chiusa ad ogni universalismo, Israele è chiamato ad una mediazione di salvezza nei confronti di tutti i popoli: nella misura in cui viene presentato come “il” popolo di Dio e “il” servo di Dio, è il mediatore regale, profetico e sacerdotale della salvezza.
Alla fedeltà di Jahwé fa riscontro l’infedeltà del popolo, che Egli tuttavia non abbandona ma continua a richiamare a sé attraverso l’invio di suoi intermediari, i profeti, che parlano ed agiscono in nome suo, e possono quindi essere considerati i primi “missionari”, in quanto inviati da Lui (“apostoli”) per indurre il suo popolo a conservare l’alleanza e godere della sua offerta di salvezza.
Pertanto già nell’Antico Testamento la missione è contemporaneamente chiamata ed invio. L’elezione avviene sempre in vista di una missione. Il popolo eletto diventa quindi testimone che fa conoscere l’esistenza e la presenza salvifica dell’unico Dio (cfr. Is, 41, 19; 43, 10, 56, 3; Gi 1, 2ss).
Lo stesso atteso Messia è preannunciato dai profeti come colui che sarà mandato per annunciare la buona Novella ai poveri (cfr. Is 61,1), come colui al quale tutti gli uomini presteranno obbedienza (cfr. Mal 3,1).
Nella pienezza dei tempi il Padre mandò il Figlio suo, “l’apostolo del Padre” e il “missionario” e “l’inviato da Dio per eccellenza” di cui parlavano i profeti (cf. Lc 4 17 - Is 61, 1): la sua missione si differenzia dalle missioni dei profeti dell’Antico Testamento, perché Lui è “Figlio di Dio” (cf. tra l’altro Mc 1, 1ss; 12, 2ss), che per dare compimento al disegno salvifico della Trinità, viene nel mondo come “salvatore”, come “propiziazione” per i nostri peccati, affinché “viviamo” per mezzo suo (cf Gal 4, 4; Rom 8, 15), e fonda la Chiesa “sacramento universale di salvezza” (LG 48).
Anche nel Nuovo Testamento la missione implica chiamata e invio, a cominciare da Cristo stesso, il quale “uscito da Dio” (Gv 8, 42), pone la sua tenda tra di noi (Gv 1, 14), e a giusto titolo si appropria delle parole del Servo: “Il Signore ha mandato il suo Spirito su di me. Egli mi ha scelto per portare il lieto messaggio ai poveri” (Lc 4, 18).
A sua volta Cristo, l’inviato del Padre, (cfr. Gv 6, 43; 8, 42) sceglie e invia i Dodici per continuare la sua stessa missione: ne scelse Dodici per averli con sé e per mandarli a predicare
In effetti Cristo ha conferito il mandato da Lui ricevuto ai Dodici, che divengono i suoi "Apostoli", cioè suoi missionari: "Come il Padre ha mandato me, così io mando voi" (Gv 20, 21); "Andate dunque e rendete miei discepoli tutti i popoli" (Mt 28,18). In virtù di questo mandato gli Apostoli hanno l’incarico di diffondere l’amore salvifico - sacramentale di Gesù, di dare la testimonianza della fede in Lui, di annunziare il suo Vangelo tutti gli uomini».
La missione dei Dodici si prospetta quindi come una partecipazione, come il prolungamento e la continuazione della missione stessa di Cristo. Dagli Apostoli la stessa missione passa alla Chiesa, con le stesse caratteristiche di universalità (cfr. Gv 15,16). Il virtù di questo mandato gli Apostoli partirono per condividere la speranza che aveva totalmente trasformato il loro essere. (3 - continua) (Agenzia Fides 13/11/2007; righe 56, parole 867)


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