ASIA/IRAQ - A un anno dalla caduta di Saddam: le diverse comunità religiose fra leader tradizionali e spinte dei nuovi gruppi radicali

sabato, 24 aprile 2004

Baghdad (Agenzia Fides) - E’ uno scenario composito quello che si registra in Iraq a un anno dalla caduta di Saddam Hussein: l’emergere di nuovi gruppi politici, il risveglio di movimenti religiosi tradizionali e la nascita di nuove formazioni, il ritorno in patria di leader religiosi esiliati, le influenze dei paesi confinanti determinano un quadro in cui spesso istanze politiche e religiose si incrociano e all’interno del quale ogni gruppo opera per guadagnare un proprio spazio nell’Iraq del futuro.
Una delle dinamiche più evidenti è stata quella relativa ai musulmani sciiti: attraverso manifestazioni di massa e organizzazioni capillari di base, i musulmani sciiti iracheni stano riaffermando la loro identità, dopo anni di brutale repressione subita negli anni della dittatura di Saddam Hussein. Come confessione maggioritaria (circa 63% della popolazione irachena) gli sciiti hanno manifestato la volontà di dire la propria nel disegnare il futuro del nuovo Iraq. Non senza alcuni nodi di difficile soluzione.
Uno dei problemi che si pone è quello del modello di nazione teocratica che la comunità sciita porta avanti, richiamando la necessità di uno stato islamico, mentre alcuni leader chiedono un repentino abbandono delle truppe della coalizione dal suolo iracheno. All’interno della comunità sciita sono emersi nell’ultimo anno alcuni giovani leader radicali che hanno sfidato il clero tradizionale, più moderato, composto da capi islamici spesso da poco rientrati dall’esilio. Altra sfida da considerare è quanto sarà determinante l’influenza del vicino Iran, nazione totalmente sciita, e degli Hezbollah libanesi.
Dall’altra parte, la comunità irachena sunnita, che raccoglie il 34% della popolazione islamica, è stata penalizzata nel dopo-Saddam, dato che ai tempi del partito Baath era identificata come gruppo deteneva il potere politico. Riorganizzatasi a fatica, alla fine delle ostilità militari un anno fa, si è trovata a dover fronteggiare la grande ascesa dell’islam sciita, risvegliatosi dopo aver subito al dura repressione negli anni della dittatura di Saddam. In questo processo di riorganizzazione, ha subito infiltrazioni di elementi e gruppi wahabiti che vi hanno portato l’ideologia antioccidentale di Al Qaeda.
Secondo alcuni analisti, proprio sulle basi di un’ideologia anti-occidentale e contraria alla presenza dei militari stranieri sul suolo iracheno, in Iraq si è registrata una progressiva saldatura fra la comunità musulmana sciita e quella sunnita, storicamnte divise e in contrasto fra loro. Ipotesi più accreditate parlano invece di una “temporanea alleanza” fra i due rami dei seguaci del Profeta o, meglio, fra alcuni gruppi sciiti e sunniti, per il conseguimento di obiettivi comuni, soprattutto quello di riguadagnare la diretta sovranità politica nel paese.
Divisi fondamentalmente in due fazioni, i curdi, in maggioranza musulmani sunniti, si aspettano di poter partecipare al governo del paese, nonostante la rivalità esistente al loro interno fra i due gruppi. Le formazioni in cui sono divisi sono il Partito Democratico del Kurdistan (PDK), guidato da Massoud Barzani, e l’Unione Patriottica del Kurdistan (PUK), con a capo Jalal Talabani. Entrambi i leader sono presenti nel Consiglio governativo iracheno e dispongono di una forza militare autonoma, formata dai guerriglieri peshmerga.
In questo scenario la comunità cristiana, nelle sue diverse articolazioni, ha ribadito il suo ruolo di piena condivisione piena delle sorti del popolo iracheni, di volontà di costruire relazioni di fratellanza con le altre comunità religiose, di vole offrire un contributo nella costruzione del nuovo Iraq. Va notato anche il grande impegno dei cristiani in opere di solidarietà verso le fasce di popolazione più povera, compiuto attraverso la Caritas Iraq, che raggiunge speso i non cristiani.


Sciiti

Fra le formazioni sciite più in vista c’è il movimento Daawa, fondato nel 1950, il più antico movimento islamico dell’Iraq. Dopo aver subito una serie di brutali uccisioni dei suoi capi nell’era di Saddam, è stato sciolto e soppresso, con molti sciiti sono divenuti clandestini. Guidato dallo sceicco Mohaammed Nasseri, tornato dall’esilio in Iran dopo la guerra, il Daawa ha due membri all’interno del Consiglio governativo iracheno. Nasseri ha sempre sostenuto che “il periodo di occupazione delle forze della coalizione non dev’essere più lungo di sei mesi”.

Altro movimento sciita che si è messo in luce nell’ultimo anno è il Consiglio Supremo della Rivoluzione in Iraq (Sciri), con il suo leader Muhammad Baqr al-Hakim, ucciso in un attentato a Najaf nell’agosto 2003. Acclamato da migliaia di fedeli, Hakim era anch’egli rientrato dall’esilio a cui lo aveva costretto Saddam. Prima della sua morte aveva offerto appoggio al Consiglio governativo iracheno, legittimandolo agli occhi della comunità sciita. A prender il suo posto nella leadership è stato suo fratello Abdel Aziz, che intrattiene legami molto stretti con l’Iran, e che ha ottenuto per il suo movimento un seggio nel Consiglio governativo. Lo Sciri può contare su un braccio armato noto come Brigate Badr, composto da circa 10.000 uomini.

Uno dei gruppi sciiti radicali è invece quello che fa capo a Moqtada al Sadr, 32 anni, figlio di un leader sciita ucciso dal partito Baath negli anni della dittatura. Sadr, che si oppone alla leadership sciita tradizionale, ha stabilito la sua base nella città di Najaf e si oppone con decisione a quella che definisce “l’occupazione americana”. Sadr, oggi ricercato dalle autorità della coalizione, nei suo discorsi ha sempre invocatola legge islamica e fatto appello all’orgoglio nazionale iracheno, ponendosi in contrasto con il Grande Ayatollah Ali Al-Sistani, la maggiore autorità sciita presente in Iraq. Sadr ha anche reclutato una milizia di circa 10.000 uomini e le sue posizioni hanno avuto ampia risonanza e popolarità nel quartiere sciita di Bagdhad, rinominato “Sadr City”. Di recente è giunto a minacciare le forze della coalizione di utilizzare kamikaze se i militari entreranno nelle città sante sciite di Najaf e Kerbala Oggi, secondo gli osservatori, è isolato dal resto della comunità sciita.

Il leader spirituale sciita di maggiore spessore presente in Iraq è Fra gli altri leader Ali Al Sistani, 78 anni, dimostratosi fra i più concilianti nei confronti delle forze di coalizione, memore delle persecuzioni subite dalla sua comunità sotto il vecchio regime. Al Sistani ha passato molti anni agli arresti, per aver rifiutato l’esilio. Durante la guerra è stato favorevole all’intervento della coalizione, oggi viene sfidato da molti giovani leader radicali che cercano il loro spazio nella comunità sciita. Pur non risparmiando le riserve sul progetto di Costituzione irachena elaborato di recente, ha evitato di criticare l’operato del Consiglio governativo in cui siedono alcuni suoi simpatizzanti. Sistani rispetta la separazione fra religione e stato e rifiuta il ricorso alle armi, ma chiede il rispetto della scadenza fissata per il passaggio dei poteri agli iracheni. Anche perchè nella comunità sciita cresce il malcontento nei riguardi della politica della coalizione. Secondo numerosi osservatori, la sua è una posizione “attendista”: non vuole entrare in conflitto con l’amministrazione americana, che pure ha liberato il paese dalla dittatura di Saddam, ma attende il passaggio di poteri per far pesare in modo determinante la consistenza numerica della comunità sciita nel nuovo scenario iracheno, attarverso un governo nazionale legittimamene eletto.


Sunniti

Fra i sunniti è emerso il gruppo legato a Mohsen Abdel Hamid, teologo islamico, membro del Consiglio governativo iracheno. Hamid guida il Partito Islamico dell’Iraq, che appartiene alla filiera dei Fratelli Musulmani. La sua posizione moderata si è scontrata con quella di Ahmad el Kebeisey, professore di Studi Islamici all’Univesità di Baghdad, uno dei leader della preghiera del Venerdì nella moschea Abi Hanifa, nel distretto sunnita di Baghdad. L’imam ha più volte incitato all’odio antiamericano e istigato manifestazioni di protesta contro le forze della coalizione.

Il perdurare dei combattimenti e i rapimenti ha generato l’emergere di nuovi attori sulla scena irachena. Fra questi vi è l’Associazione del Clero Sunnita, messo si in luce per aver aiutato a realizzare la fragile tregua fra i ribelli sunniti nella città di Falluja e le truppe americane, ed aver contribuito al rilascio dei sette cinesi rapiti e tenuti in ostaggio per alcuni giorni.
Lo sceicco Harith al Dhari, uno dei leder del movimento ha spiegato che “l’organizzazione è religiosa ama anche politica e sociale, e agisce nell’interesse del paese”. L’Associazione è venuta alla ribalta per il vuoto creatosi nella comunità sunnita , dopo la fine della guerra. La sua azione rispecchia anche un comportamento nazionalistico e si estende a comprendere alcuni importanti ulama, come quelli delle moschee Abi Haanifa e Abd al Kadr a Baghdad, divenendo così un’istituzione molto influente. Pur non essendo rappresentata all’interno del Consiglio governativo, l’organizzazione lo ha legittimato, dichiarandosi vicina alle posizioni del Partito Islamico dell’Iraq. Mantiene rapporti anche con la comunità curda e afferma di ricercare buone relazioni con gli sciiti.


Curdi

Divisi fondamentalmente in due fazioni, i curdi, in maggioranza musulmani sunniti, si aspettano di poter partecipare al governo del paese, nonostante la rivalità esistente al loro interno fra i due gruppi. Le formazioni in cui sono divisi sono il Partito Democratico del Kurdistan (PDK), guidato da Massoud Barzani, e l’Unione Patriottica del Kurdistan (PUK), con a capo Jalal Talabani. Entrambi i leader sono presenti nel Consiglio governativo iracheno e dispongono di una forza militare autonoma, formata dai guerriglieri peshmerga.
Le popolazioni curde, stanziate nel Nordest dell’Iraq, circa 4 milioni di persone, si convertirono all’islam sunnita dopo l’occupazione del Kurdistan da parte dell’esercito islamico nella prima metà del VII secolo. Prima dell’islam, la religione più diffusa era lo zoroastrismo, ma i curdi conoscevano anche le altre religioni monoteiste ed avevano fra loro comunità ebraiche (dal VI sec.) e cristiane (dal II secolo). Oggi fra i curdi si trovano ancora pochissimi ebrei ma la comunità cristiana è tuttora presente, come è diffuso lo yazidismo.
La conversione del popolo curdo all’islam non derivò tanto dall’attrazione per l’insegnamento spirituale arabo, quanto dal desiderio di sfuggire all’ingiustizia di una società feudale e dall’aspirazione a una società basata su equità, fratellanza e solidarietà. Nel XII secolo i curdi vennero inglobati nell’Impero Ottomano. La fine dell’impero, nel 1918, diede origine alla questione curda. Ai confini labili dell’Impero, infatti, si sostituì prima un mandato britannico e poi frontiere statali fisse e impenetrabili (Turchia, Siria, Iraq, Iran,) che impedirono il funzionamento del gruppo etnico curdo come entità unica. Così, mentre sotto l’impero i curdi godevano di privilegi in quanto “guardiani dei confini”, in seguito furono percepiti come ostacolo all’omogeneizzazione dei territori nazionali.
Oggi l’islam costituisce la sostanza della civiltà curda: organizza la sua vita sociale, culturale e politica, determina la scala di valori morali e sociali, nell’educazione e nella formazione delle famiglie. Gli uomini di religione hanno una posizione sociale rilevante nella società curda. Spesso il Mullah è la persona istruita del villaggio. I capi religiosi hanno avuto un ruolo importante anche nel movimento di liberazione nazionale curdo moderno, com’è stato per il Mullah Mustafà Barzani (1931-1978). Questo fenomeno ha consolidato le fondamenta del movimento nazionale, delineando le dimensioni ideologiche e politiche della lotta dei curdi per uno stato nazionale, per far riconoscere l’etnia curda da paesi musulmani come Turchia, Siria, Iraq e Iran. Con la morte di Barzani, finì la fase della dirigenza religiosa e civile ed ebbe inizio una fase si dirigenza laica.
Per le loro aspirazioni di autonomia (o a volte di secessione) i curdi sono stati perseguitati dal regime di Saddam Hussein. In seguito all’istituzione della no fly zone, la zona interdetta al volo stabilita dall’Onu nel 1991, il Kurdistan iracheno è sotto protezione internazionale e i curdi sono riusciti a ottenere una certa autonomia.


Assiri

Anche i cristiani Assiri hanno ripreso a sperare di poter vivere la loro specificità religiosa e culturale dopo la caduta di Saddam. Un loro rappresentante, Younadem Kana, è l’unico cristiano presente all’interno del Consiglio governativo. Essi tendono ad essere seguaci della Chiesa Assira d’Oriente e sono molto vicini alla Chiesa Cattolica Caldea, essendo anch’essi nati dalla predicazione di San Tommaso, nel I sec. d. C. Perseguitati fortemente dal regime Baath, hanno ritrovato una certa libertà che si esprime nel culto, nei costumi, nella cultura.
La Chiesa Assira d’Oriente è una Chiesa autonoma, non in comunione con Roma ma neanche con le Chiese Ortodosse. Essa ha origine all’evangelizzazione dei due discepoli dell’Apostol Tommaso, Mar Addai e Mar Mari e, dal I al IV sec d.C, si diffuse con il sorgere di comunità e monasteri in tutto territorio orientale, nella zona che va dall’attuale Siria e si estende fino all’Iraq e all’Iran. Questa Chiesa, chiamata Chiesa Assira d’Oriente, ottenne l'autonomia con i concili di Seleucia nel 410 e di Markbata nel 424, con la possibilità di elezione del Patriarca avente titolo di “Catholicos”.
A metà del XV secolo, la Chiesa Assira visse un periodo di chiusura e decadenza. All’inizio del 1553 - quando il Papa Giulio III nominò il “Patriarca dei Caldei” con il nome di Simone VIII - risale la scissione fra Chiesa Assira e Chiesa Caldea, che permane ancor oggi.
Dopo le scissioni della storia, i rapporti fra le comunità Caldea e Assira, sono migliorati: la nuova era di dialogo e buone relazioni è sfociata nella firma della dichiarazione cristologica congiunta fra il Papa e il Patriarca Mar Dinkha IV a Roma nel novembre 1994. Nell’agosto 1997 il Santo Sinodo della chiesa Caldea e quello della Chiesa Assira hanno istituito una Commissione per il dialogo, per discutere la cooperazione pastorale a tutti i livelli.
Uno dei punti particolarmente sensibili della storia degli Assiri è la persecuzione che subirono nel 1933, all’indomani dell’indipendenza dell’Iraq (1932). Percepiti come ostili al potere, furono massacrati dall’esercito iracheno. Ricordando quell’evento, il 7 agosto gli assiri celebrano la giornata del “Martirio Assiro”. Attualmente una comunità di circa 70.000 Assiri vive nel Nord Iraq, conservando una propria identità culturale, linguistica e religiosa. Negli anni ’70 gli Assiri ottennero l’insegnamento della lingua siriaca (o aramaica) nelle scuole elementari assire, in seguito alla decisione del governo di Baghdad di concedere diritti culturali e amministrativi agli assiri e ai turcomanni.


Cattolici

“Tutti i cristiani iracheni pregano e sono impegnati perché la convivenza tra tutte le fedi irachene che dura da 1600 anni, non venga meno”, ha detto all’Agenzia Fides mons. Athanase Matti Shaba Mattoka, Arcivescovo della Chiesa siriaca di Baghdad, spiegando la situazione delal comunità cristiana nel nuovo scenario iracheno. “Siamo convinti che il dialogo è la strada per uscire dalla violenza ”, ha aggiunto.
Nell’era post-Saddam la comunità cristiana ha ricercato il suo spazio sociale e politico, battendosi per la costruzione di uno stato laico e pluralista, rispettoso delle minoranze religiose. I cristiani hanno accolto con favore l’approvazione della nuova Costituzione dell’Iraq, avvenuta nel marzo scorso, definendola “un passo positivo sia per l’unità del paese sia per la nascita di un nuovo Iraq, un Iraq civile che rispetti tutte le minoranze”, come ha sottolineato all’Agenzia Fides padre Nizar Semaan,
“Quella che ha prevalso è la visione di un Iraq laico ma con valori religiosi, perché la laicità non è contro la religione”, ha spiegato p. Nizar. “Questa costituzione può essere una solida base per un futuro di democrazia del paese, in cui prevalga il rispetto per ogni uomo al di là della sua appartenenza religiosa o etica”, ha aggiunto, notando come per i cristiani “il fatto più importante è che il testo della Costituzione non è basato sulla legge islamica”.
Il sacerdote ha commentato: “Penso che questa Costituzione sarà un esempio per tutto il Medio Oriente. Gli iracheni devono sentirsi orgogliosi di avere una costituzione come questa che pone le basi per la convivenza civile nonostante le diversità di etnia e religione. Oggi nel nuovo Iraq non ci sono più cittadini di primo e di secondo grado, ma tutti sono uguali nei diritti e nei doveri. La speranza per noi cristiani è quella di sentirsi più sicuri e più liberi di vivere la nostra fede. Desideriamo essere parte attiva nel costruire il nuovo Iraq”.
La Carta costituzionale sembra aver accolto in sostanza le richieste della comunità cristiana, espresse con chiarezza nell’autunno scorso dai Vescovi appartenenti al rito Caldeo (maggioritario fra i cattolici iracheni). In una lettera inviata al Consiglio governativo, essi chiedevano che fossero garantiti tutti i diritti per i cristiani in Iraq, a livello religioso, sociale, civile e politico. La popolazione Caldea - ricordavano i Vescovi - rappresenta il terzo gruppo etnico in Iraq, dopo arabi e curdi: la presenza in campo professionale, sociale e amministrativo è sempre stata importante in Iraq. Per questo i Vescovi chiedevano che fosse riconosciuta l’importanza che la comunità Caldea può avere nella costruzione del nuovo Iraq. “Esprimiamo la nostra solidarietà - scrivevano - a tutti i cittadini iracheni, arabi, curdi, turkmeni e di tutte le etnie e gruppi religiosi, vivendo in pacifica fraternità, specialmente con gli atri gruppi cristiani assiri, siriaci, armeni e latini nell’impegno di costruire un nuovo Iraq democratico, libero e prospero”.
Nonostante queste acquisizioni positive, nelle recenti tensioni scatenatesi nel paese hanno creato timori nella comunità cristiana, che è stata più volte minacciata da gruppi estremisti, in diverse città irachene, specialmente a Mosul. La lotta politica fra sunniti e sciiti - notano fonti di Fides - non offre prospettive rassicuranti ai cristiani. Alcune famiglie cristiane stanno lasciando da Baghdad per trasferirsi a Nord, nella zona di Mosul, dove si sentono più al sicuro.
I cristiani insistono molto sul considerarsi pienamente iracheni: infatti la presenza cristiana in questa parte del mondo, che va dall’Iraq fino all’India, è molto antica e risale alla predicazione dell’Apostolo Tommaso che, dopo la morte e Risurrezione di Gesù, partì da Gerusalemme nel 40 d.C. ed evangelizzò negli anni 42-49 tutte le popolazioni del Medio Oriente .
I cristiani di oggi sono discendenti di quelle popolazioni che non si convertirono all’Islam nel VII secolo, ai tempi della conquista araba. Il 70% dei cristiani iracheni appartiene alla chiesa Caldea. In tutto i cristiani sono circa 800.000, pari a circa il 3 % della popolazione, suddivisi in cattolici e ortodossi. I protestanti sono giunti in Iraq da pochi anni.
Le comunità cattoliche presenti in Iraq sono di quattro riti:

- Caldei
Costituiscono la larga maggioranza dei cristiani locali. A Baghdad c’è la sede del Patriarcato. Dopo la scomparsa di Sua Beatitudine Raphael I Bidawid, il nuovo Patriarca di Babilonia dei Caldei è Sua Beatitudine. Mons. Emmanuel Karim Delly, 76 anni. Appena nominato, il 3 dicembre 2003, il Patriarca disse a Fides: “Tutti noi ci ritroviamo a vivere una condizione difficile e chiediamo pace e tranquillità. E per questo occorre subito ristabilire le condizioni di sicurezza, che sono il prerequisito per il ritorno ad una vita normale” “La violenza che insanguina l’Iraq - continua Mons. Delly - va condannata senza mezzi termini”. In un contesto di maggioranza islamica, la Chiesa Caldea vive e celebra la sua fede con grande vitalità, dedicandosi soprattutto alla catechesi e all’educazione: a Baghdad esiste un Seminario Patriarcale e da poco è stato fondato il Collegio di Babilonia, un Collegio Patriarcale, affiliato alla Pontificia Università Urbaniana, che fa capo alla Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, nel quale con gli studi teologici e filosofici si formano seminaristi e laici che operano in quei territori.
La parrocchia gioca un ruolo importantissimo per i cristiani Caldei: essa è la realtà in cui esercitano e vivono in pienezza la propria fede. Per questo il lavoro pastorale è prezioso: oggi è fiorente, anche se vi sono difficoltà economiche. Le parrocchie, infatti, sono state costruite secondo le possibilità della Chiesa, ma oggi, con la crescita numerica delle comunità, le necessità sono aumentate.
La comunità Caldea, fervente nella carità, assiste numerose famiglie povere, cristiane e musulmane, nella sopravvivenza, distribuendo ogni mese cibo, vestiario e aiuti di vario genere. Nella liturgia Caldea la lingua ufficiale è l’aramaico, in quanto già lingua liturgica, teologica e classica del Cristianesimo di tradizione semitica. Ma poichè l’arabo è parlato correntemente dai fedeli e dai giovani e perchè la lingua aramaica non è completa nei sinonimi e nella terminologia, la celebrazione della Santa Messa è bilingue. Il catechismo si fa in arabo, tranne che sui villaggi montuosi del Nord, dove si usa la lingua parlata sul posto, l’aramaico.
In Iraq vi sono pure due comunità di religiose Caldee: una delle Suore del Sacro Cuore e l’altra delle Suore Caldee Figlie di Maria Immacolata. La Chiesa Caldea ha anche un’istituzione monastica-missionaria: i monaci caldei iniziarono aprendo conventi e si occuparono l’evangelizzazione nelle zone montuosa nel Nord dell’Iraq, come ancora accade oggi, facendo apostolato nei villaggi curdi, insegnando nelle scuole e facendo catechismo. Poi sono scesi a Mossul e infine a Baghdad, dove oggi c’è la sede del Superiore Generale. La congregazioni ha oggi quattro conventi in Iraq e uno a Roma, una missione in America.
I cristiani di rito caldeo in Iraq sono oltre 700mila, altrettanti sono disseminati nel mondo.

- Siri-antiocheni
Sono una comunità di circa 75.000 fedeli, divisi in due diocesi fra Baghdad e Mosul. Il Vescovo di Baghdad è Mons. Athanase Matti Shaba Matoka, mentre a guidare la comunità a Mosul è Mons. Basile Georges Casmoussa. In seguito alla missione di gesuiti e dei francescani cappuccini, cominciata ad Aleppo (Siria) nel 1626, una parte della chiesa siro-antiochena cosiddetta “Giacobita”, decise di unirsi con la chiesa di Roma, formando così la chiesa siro antiochena cattolica, conservando però tutta l'eredità patristica e liturgica. Nell'Iraq i siri cattolici sono sparsi dal sud al nord del paese: a Bassora si trova una piccola comunità; a Bagdad vi è una comunità di cerca 30.000 fedeli; a Kirkuk e Mosul quasi 45. 000 fedeli. Le lingue usata nella liturgia sono sia l'arabo, soprattutto nelle grandi città, che l'aramaico soprattutto nei villaggi intorno a Mosul, come il villaggio di Karakosh, dove si concentrano quasi 25,000 fedeli. Da ricordare che il Patriarcato dei siri cattolici è a Beirut, in Libano.

- Armeni
Le comunità armene presenti in Iraq provengono dall’emigrazione e dalle deportazioni forzate delle popolazioni armene avvenuta dopo il 1915, in seguito ai massacri subiti dal regime dei Giovani Turchi. La Chiesa armena si ispira alla figura di san Gregorio l'Illuminatore che ha cristianizzato l'Armenia nel III secolo. Si divide tra ortodossi (o Apostolici) e cattolici.
A Baghdad le suore armene gestiscono una scuola con oltre 800 alunni, per metà armeni, per metà musulmani. La piccola comunità cattolica armena presente in Iraq (2.000 unità) è guidata dall’Amministratore Patriarcale mons. Andon Atamian. Prima degli anni ’90 gli armeni (cattolici e apostolici) in Iraq erano fra 20 e 30 mila. Nell’ultimo decennio la comunità si è assottigliata per l’emigrazione dovuta alla povertà.

- Latini
Da circa tre secoli un nutrito gruppo di missionari latini lavora in Iraq: religiosi e religiose, che si trovano a Baghdad e nel nord del Paese, sono impegnati nella pastorale in parrocchie locali, operando per la catechesi di ragazzi e giovani, nella celebrazione dei Sacramenti, nelle attività di solidarietà con i poveri. I missionari di rito latino imparano a parlare la lingua araba e a conoscere la tradizione liturgica e rituale Caldea, immergendosi pienamente nella cultura locale.
Sono presenti in Iraq, i Padri Redentoristi, i Domenicani, Carmelitani, Salesiani, i monaci Antoniani Caldei provenienti dal Libano. Per le congregazioni religiose femminili, vi sono: le Suore Francescane Missionarie del Cuore Immacolato di Maria; le Suore Domenicane della Presentazione della Vergine di Tours, che fra l’altro gestiscono l’Ospedale di San Raffaele a Baghdad; le Suore Domenicane di S. Caterina da Siena; le Piccole Sorelle di Gesù; le Missionarie della Carità che, lavorando secondo il carisma di Madre Teresa di Calcutta, si occupano dei bambini portatori di handicap. A capo della piccola comunità cattolica di rito latino (2.500 persone), presente per la maggior parte a Baghdad, c’è l’Arcivescovo Mons. Jean Benjamin Sleiman.

I Numeri dei Cattolici
Caldei: oltre 700.000; Siro-antiocheni cattolici: 75.000; Armeni: 2.000; Latini: 2.500

(PA) (Agenzia Fides 24/4/2004 lines 353 words 3.850)


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