NASCERE SENZA AIDS IN TANZANIA: UNA MOBILITAZIONE “ORDINARIA” - Racconta finalità e obiettivi dell’intervento il dr. Leopoldo Salmaso, coordinatore del progetto.

sabato, 3 aprile 2004

Roma (Agenzia Fides) - Nel documento del Cuamm su Hiv/Aids in Africa viene esplicitato che la lotta all’Aids si identifica con la lotta alla povertà e che le attività per il controllo dell’epidemia non vanno pensate e organizzate come qualcosa a se stante, ma vanno inserite nei servizi sanitari di base, secondo la logica della Primary Health Care.
Questi criteri generali sono rispettati in tutti i progetti del Cuamm e, a maggior ragione, nel primo progetto specifico di lotta all’Aids, centrato sulla prevenzione della trasmissione Hiv da madre a bambino. È il progetto “Nascere senza Aids in Tanzania” che si inserisce su una rete di servizi per la maternità e l’infanzia collaudata e valida, organizzata tramite 13 maternità situate nella periferia povera di Dar Es Salaam che il Cuamm ha contribuito a riabilitare e di cui assicura il buon funzionamento.
Si è pensato di poter proporre anche un’attività specifica di prevenzione dell’infezione da Hiv perché con il Cuamm collabora strettamente un’organizzazione diocesana locale, Pasada, che da diversi anni si occupa di Hiv e Aids in Tanzania: essa può dunque garantire, insieme al Cuammi, a chi si avvicina al progetto e aderisce alla proposta, tutto ciò che di meglio oggi si può offrire in Africa nel campo dell’Aids, cioè educazione sanitaria, test e counselling, assistenza ai malati, anche a domicilio, supporto alle famiglie e agli orfani…
Se una mamma chiede di essere sottoposta al test Hiv è possibile offrirle un’ampia rosa di servizi, accessibili, gratuiti, garantendo competenza e continuità. Su questo modello il Cuamm intende organizzare tutti i progetti di lotta all’Aids: solo così è possibile raggiungere la popolazione più povera e bisognosa e dare risultati duraturi nel tempo.

Dr. Leopoldo Salmaso, cosa c’è di straordinario nel progetto Nsa?
Straordinaria è la sfida che l’Aids pone all’Africa sub-sahariana, non solo minacciando la vita di tanti milioni di persone, ma addirittura azzerando i progressi di salute e di sviluppo faticosamente raggiunti negli ultimi decenni e compromettendo la stabilità sociale e politica di molti Stati.
Il progetto Nsa propone questa ricetta: «… All’emergenza straordinaria dell’Aids, rispondiamo con la mobilitazione ordinaria - sostiene Leopoldo Salmaso, coordinatore del progetto. Non è un gioco di parole: anche noi sentiamo che c’è bisogno di mobilitazione e la parola “mobilitazione” indica certamente un fatto non ordinario. Noi però ci sforziamo di mobilitare risorse assolutamente ordinarie, come sono ad esempio gli oltre 400 operatori socio-sanitari e volontari coinvolti in questo progetto: tutti tanzaniani, con la loro alta professionalità non adeguatamente retribuita, ma fortemente motivati dalla consapevolezza di essere in prima linea in una guerra che coinvolge le loro stesse famiglie, i parenti e gli amici più cari, i vicini, tutti insomma. E con quella “marcia in più” che viene dalla consapevolezza di far parte di una comunità ecclesiale sospinta dalla motivazione cristiana».
«È un ulteriore tratto di cammino lungo un percorso iniziato 24 anni fa insieme alla comunità locale e i suoi leader, sia civili, sia religiosi, anzi - precisa Salmaso - se ho un motivo di rammarico è che oggi possiamo fare un progetto simile valorizzando essenzialmente le risorse sanitarie diocesane, cioè private, mentre 20 anni fa la collaborazione con le strutture governative era preponderante: non mi pare questo un gran progresso dal punto di vista dell’autonomia sociale e politica di una nazione. La collaborazione fra Governo e Chiesa, in Tanzania, è sempre stata eccellente. Entrambi sono sempre stati sinceramente e concretamente dediti al bene comune, ma da dieci anni il governo si è dovuto piegare ai diktat liberisti del Fondo monetario internazionale e della Banca mondiale: tagli a educazione, sanità, servizi sociali, per lasciare spazio all’iniziativa privata… cioè alle cliniche dove entri solo con la carta di credito. In questa situazione i poveri possono solo sperare che la Chiesa copra i vuoti lasciati dal Governo e si capisce che le richieste aumentano a dismisura».
«In concreto, qui a Dar es Salaam, circa 800.000 persone, di cui oltre il 60% è musulmano, affidano la propria salute principalmente ai servizi gestiti dalla Chiesa cattolica, completamente africanizzata. Solo qui esse riescono a ottenere servizi di buona qualità pagando dei ticket accessibili, o anche gratuitamente in caso di bisogno, perché lo stato di bisogno è facilmente accertabile a livello di micro-comunità. La rete di assistenza domiciliare è molto sviluppata e ben coordinata e la solidarietà scopre ogni giorno percorsi sempre nuovi che fanno fruttare al meglio le iniziative di auto-aiuto, di mini-imprenditorialità, di aiuto reciproco e a catena. Ovviamente tutto questo ha ancora bisogno di un robusto sostegno esterno, soprattutto per quelle famiglie - e sono molte - dove uno o entrambi i genitori sono morti di Aids e dove gli orfani non debbono essere allontanati da scuola, per non alimentare circoli viziosi fatti di miseria, ignoranza, emarginazione»
«Ma qui appare evidente la non-straordinarietà del nostro progetto - ribadisce Salmaso - perché anche gli aiuti esterni passano attraverso i canali e i criteri che la comunità locale si è data: il ricovero ospedaliero come la retta scolastica, la vaccinazione come la riparazione di un tetto, l’esenzione da un ticket come un mini-prestito per l’auto-imprenditorialità della donna, tutto è gestito in maniera decentrata e trasparente».
Il progetto Nsa propone la profilassi farmacologica della trasmissione di Hiv da madre a figlio nel periodo attorno al parto. «È la prima volta che siamo in grado di proporre una misura concreta, accettabile e sostenibile di lotta contro il virus Hiv, e questo fatto rafforza tutto il restante lavoro che stiamo portando avanti sul fronte dell’educazione sanitaria, dei comportamenti responsabili, dell’accertamento di sieropositività o meno per le persone a rischio, della cura delle infezioni opportunistiche e del sostegno economico, sociale e spirituale ai singoli e alle famiglie». (AP) (3/4/2004 Agenzia Fides)


Condividi: