Nairobi (Agenzia Fides) – “Giustizia per Albert Ojwang!”. È lo slogan gridato dai manifestanti nel centro di Nairobi per chiedere che sia fatta piena luce sulla morte di Albert Ojwang, 31enne insegnate e social media influencer, deceduto mentre era detenuto in custodia cautelare, l’8 giugno.
Questi era stato arrestato il 6 giugno nell’abitazione di famiglia a Kakot, nella contea di Homa Bay, per un post sui social media che avrebbe diffamato il vice ispettore generale Eliud Lagat. Trasportato per oltre 350 chilometri alla stazione di polizia centrale di Nairobi, è stato accusato di pubblicazione mendace ai sensi delle leggi sulla criminalità informatica. L'8 giugno Ojwang è stato trovato privo di sensi nella sua cella durante un controllo di routine, sembra con ferite alla testa. La polizia ha affermato che si è suicidato dopo aver ripetutamente sbattuto la testa contro il muro della cella, ed è stato dichiarato morto all'arrivo all'ospedale di Mbagathi. L'avvocato della famiglia ha riferito che sono stati riscontrati sul corpo di Ojwang pesanti traumi fisici, tra cui gonfiore alla testa, contusioni e sanguinamento da naso e bocca, incoerenti con il racconto della polizia.
È stato il Presidente del Kenya, William Ruto ha dichiarare ieri, 11 giugno, che Ojwang è morto "per mano della polizia", ribaltando la versione ufficiale della sua morte.
Secondo un’inchiesta del giornale The Star, il blogger dopo il suo arresto è stato prelevato da alcuni agenti nella notte tra il 7 e l’8 giugno dalla cella di detenzione, condotto nella foresta di Karura dove è stato torturato a morte. Ricondotto praticamente esanime nella cella è stato poi ufficialmente trovato morto la mattina successiva. Secondo l’inchiesta giornalistica le registrazioni del sistema di videosorveglianza della cella sarebbero state manipolate.
Ancora prima dell’ammissione da parte del Presidente che Ojwang è stato ucciso, L’Ispettorato Generale di Polizia aveva sospeso sei agenti in servizio alla stazione di polizia centrale di Nairobi in via precauzionale in attesa di chiarire le esatte dinamiche della morte di Ojwang.
La morte del blogger ha suscitato un’ondata emotiva nella popolazione specie tra i giovani. Appare singolare che vi siano state almeno due operazioni di disinformazione che hanno coinvolto le principali confessioni religiose del Kenya. La prima ha preso di mira la Conferenza Episcopale del Kenya (Kenya Conference of Catholic Bishops -KCCB). Sui social media keniani è apparso in formato fotografico un presunto comunicato del Segretariato Generale della KCCB con data 9 giugno nel quale tra l’altro si invitavano i giovani alla calma. “In questo momento difficile, invitiamo tutti i keniani, in particolare i giovani, a mantenere la calma, la pace e la preghiera. Non lasciamoci indurre alla violenza o alla divisione. La nostra forza sta nella nostra unità e nella nostra richiesta collettiva di giustizia attraverso mezzi legali” recitava il comunicato che è stato confermato come un falso da fonti ufficiali della Chiesa keniana contattate dall’Agenzia Fides. Un altro comunicato attribuito all’Arcivescovo anglicano Jackson Ole Sapit, Primate della Chiesa Anglicana in Kenya, è stato smentito dal diretto interessato. "Abbiamo notato un post che circola online riguardante la tragica morte di Albert Ojwang, (…) devo chiarire: le dichiarazioni che mi vengono attribuite in quel post non sono state fatte da me. Pur rimanendo granitico nel mio impegno per la verità, la giustizia e la dignità dei nostri giovani, non tollero che le mie parole vengano travisate per nessun motivo, per quanto benintenzionato” ha affermato l’Arcivescovo anglicano.
La morte di Ojwang si inserisce in un contesto di forti tensioni, con le proteste della Generazione Z del 2024 (vedi Fides 1/7/2024), che sono state represse con durezza dalla autorità, con 60 morti. (L.M.) (Agenzia Fides 12/6/2025)