AFRICA/ZIMBABWE - Luisa Guidotti Mistrali: “Voglio andare in missione come medico, partire per sempre, restando laica tra i laici”

mercoledì, 22 marzo 2023 missionari uccisi   causa di beatificazione  

di Stefano Lodigiani

Mutoko (Agenzia Fides) - “Una missionaria laica italiana, la dottoressa Luisa Guidotti, di 47 anni, originaria di Modena, che da oltre dieci anni dirigeva il centro medico della missione, circa 150 km a nord est di Salisbury, dove è in corso la guerriglia, è rimasta uccisa il 6 luglio 1979, a seguito di un incidente con le truppe rhodesiane. Apparteneva all’Associazione Femminile Medico Missionaria”. Questo lo scarno comunicato pubblicato dall’Agenzia Fides, che informava della tragica morte della “dottoressa missionaria”, avvenuta nella Rhodesia, ex colonia britannica, attuale Zimbabwe, in circostanze che non sono state del tutto chiarite.

Papa Francesco ha autorizzato il Dicastero delle Cause dei Santi a pubblicare il 17 dicembre 2022 il decreto concernente il riconoscimento delle “virtù eroiche della Serva di Dio Luisa Guidotti Mistrali, laica consacrata dell’Associazione Femminile Medico Missionaria, nata il 17 maggio 1932 a Parma e ucciso il 6 luglio 1979 a Mutoko (Rhodesia)”.

Nata a Parma, Luisa Guidotti si trasferisce a Modena con la famiglia alla morte della madre, accolta dalla zia, che in seguito la adotta (per questo Luisa aggiungerà al cognome Guidotti quello della zia, Mistrali). La sua formazione spirituale ha inizio nell’Azione cattolica della parrocchia di San Domenico di Modena, frequentata per nove anni, durante i quali riveste l’incarico di dirigente della Gioventù femminile e diviene membro del Consiglio diocesano. Dopo il liceo scientifico studia Medicina e Chirurgia all’Università di Modena. Laureatasi nel 1960, chiede nello stesso anno di essere ammessa nell’Associazione femminile medico-missionaria (oggi Associazione Sanitaria Internazionale) istituita da Adele Pignatelli con il sostegno di Monsignor Giovanni Battista Montini, futuro Papa Paolo VI.

I membri dell’Associazione, medici e paramedici, dopo un periodo di formazione, emettono i voti di obbedienza, povertà, castità e vita missionaria. La loro vita ed il loro apostolato sono fondati sulla Sacra Scrittura e sulle fonti della spiritualità cristiana. Svolgono la loro attività missionaria in piccole comunità che lavorano esclusivamente in campo sanitario, preferendo popoli e nazioni che soffrono condizioni di povertà e di disagio. Erano quelli gli anni che precedevano il Concilio Vaticano II. Gli anni – scriverà più tardi Luisa - “il tempo in cui prendevamo coscienza della funzione dei laici nella Chiesa”. E ancora: “Volevo andare in missione come medico, partire per sempre, restando laica tra i laici”.

Nell’agosto 1966 Luisa, ricevuto il crocifisso missionario dall’Arcivescovo di Modena, parte per l’allora Rhodesia, destinata a Chirundu, dove l’Associazione gestisce l’Ospedale Paolo VI annesso alla missione. Il paese africano viveva gli anni cruenti della guerra civile, durata dal giugno 1964 al dicembre 1979, che vedeva fronteggiarsi le forze del governo – in mano alla minoranza bianca - e i ribelli di Robert Mugabe. Il conflitto, che provocò almeno 20mila morti, ebbe termine con gli accordi di Lancaster House e le elezioni del 1980, che videro la vittoria di Mugabe, l’indipendenza e il riconoscimento del nuovo nome del Paese, Zimbabwe.

Nel febbraio 1967 Luisa si trasferisce a Salisbury, nell’ospedale governativo, per acquisire una migliore preparazione professionale. Nello stesso anno ritorna in Europa. Nei primi mesi del 1969 riparte con destinazione l’ospedale della missione “Regina Coeli”, Njanga disctrict, ai confini con il Mozambico. Nel dicembre dello stesso anno viene trasferita a Mutoko, per lavorare nell’ospedale della missione, All Souls. Contemporaneamente presta servizio al lebbrosario di Mtemwa e al pronto soccorso di Chikwizo.
Dal 1972 al 1975 è di nuovo in Europa, e fa ritorno in Rhodesia nel febbraio 1976. Il 28 giugno viene brutalmente arrestata dalla polizia con l’accusa di aver curato un ragazzo, presunto guerrigliero, senza comunicarlo alle autorità governative. Liberata alla fine di agosto, può tornare al suo ospedale dove riprende a svolgere la sua attività, in un clima di ostilità da parte delle autorità.

Nonostante la situazione sia sempre più tesa, Luisa non vuole lasciare il Paese, per non abbandonare i malati e i bisognosi. Il 6 luglio 1979, mentre torna da sola in autoambulanza dall’Ospedale di Nyadiri, dove aveva accompagnato una partoriente a rischio, viene colpita con una raffica di mitra da una pattuglia di soldati governativi. Trasportata all’ospedale pubblico di Mutoko, vi arriva senza vita.

“La scelta compiuta da Luisa non fu mai messa in discussione, anche nelle situazioni più intricate e drammatiche – sottolinea il suo biografo, Marzio Ardovini -, rimanendo sempre convinta assertrice del suo specifico ruolo di missionaria laica, sebbene consacrata al Signore con voti privati. I comprensibili fraintendimenti in terra di missione sulla configurazione laicale del gruppo (venivano chiamate le “Dottoresse del Papa”), porteranno Luisa a rivendicare la secolarità come caratteristica fondante dell'Istituto, come scrive alla fondatrice: ‘Faccio … fatica a sopportare il continuo "SISTER"...; io ci tenevo molto al carattere laicale del nostro gruppo perché LAICA anche se consacrata a Dio: è la mia vocazione personale. Ora tutto il nostro carattere laicale è legato al vestito, vestito ormai che condividiamo con molte suore che hanno lasciato l'abito religioso… Ti scrivo queste cose perché alla mia vocazione laicale ci tengo molto e perché tu, come responsabile centrale, hai il diritto di sapere come l'Istituto viene attualmente presentato in Africa’.”

Luisa vuole sottolineare la specificità della vocazione laicale, non relegabile ad una qualifica (sister) o all'indossare o meno un abito... Ciò che conta è la scoperta della laicità come tale, senza privilegi o preferenze del suo stato professionale, spiega Ardovini. Qui ritorna, in tutte le sue virtualità, la dottrina del Vaticano II che Luisa, interiorizzata e vissuta di persona, applicherà in modo cosciente e coerente.

“Il suo attaccamento alla più genuina secolarità in un istituto approvato dall’autorità ecclesiastica la porta alla comprensione sempre più consapevole di una solidarietà soprannaturale verso ogni creatura da amare come è amata da Dio. Perciò sente l’esigenza della coerente testimonianza cristiana realizzata non solamente con l’annuncio ma con l’esempio dell’amore vicendevole, più efficace per la cultura africana, come insegnano i primi capitoli degli Atti degli Apostoli…L'autentica testimonianza, in quanto basata sull'amore, diventa intelligibile a tutti quelli con i quali Luisa entra a contatto, non importa se gente istruita o semplice”. Scrive: "Come è buono il Signore ad avermi dato la possibilità di essere sua testimone in modo così semplice ed intelligibile dai dotti e dai semplici bambini".

L’esperienza personale della prigionia (24/26 giugno 1976) farà emergere drammaticamente il tema della testimonianza fedele, frutto di un dono che solo lo Spirito Santo sa dare. Riflettendo su quel periodo, Luisa scrive ad un’amica: "Il Signore mi ha aiutato tanto in questi due mesi; quello che ora rimane è un aumento di Carità. Tanti mi scrivono e la povera gente di qua viene ancora a farmi i rallegramenti … moltissimi sono quelli che si sentono miei fratelli in questi giorni. E' bello amare, ma è anche bello sentirsi amati. E' veramente commovente vedere come sono amata. Mi sento veramente shona con gli shona come S. Paolo diceva, Greco con i Greci, Romano con i Romani".

La Serva di Dio si sente, nella sua laicità, "Shona con gli Shona", evidenzia Ardovini, perché “è Dio stesso che, col dono della adozione a figli nell'effusione dello Spirito, la rende capace di gridare quest'affermazione essendo loro sorella soprannaturale (Rm 8, 15-16). Citando per giunta la dottrina paolina sull'argomento (1Cor 9, 19-23) si rafforza ulteriormente la giustezza interpretativa del brano in questione”.
Sul tema della missionarietà, Ardovini aggiunge: “Una vocazione missionaria autentica si riconosce dalla sua adesione piena e consapevole alla Kenosi (Fil 2, 7) cioè nell’imitazione profonda di Gesù nella sua Incarnazione: essere missionario significa perciò incarnarsi, come il Salvatore del mondo, in una cultura, in un popolo ben preciso. La Chiesa sceglie, nell’attività missionaria, la stessa via del Maestro nella sua opera redentiva universale. Questa dottrina, rivoluzionariamente cattolica, viene raccomandata autorevolmente da Paolo VI (enciclica “Ecclesiam Suam”, n. 10) e dal Vaticano II (decreto Ad Gentes, n.10) in testi certamente conosciuti dalla Serva di Dio”.
(Agenzia Fides 22/3/2023)


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