ASIA/INDIA - Memoria e preghiera per l'anniversario della violenza anticristiana in Orissa

lunedì, 24 agosto 2020 persecuzioni   violenza   fede   cristianesimo   induismo  

Bhubaneswar (Agenzia Fides) - I cristiani in India vivranno due settimane di preghiera e altre attività pastorali, in occasione dell'anniversario della violenza anticristiana avvenuta nel distretto di Kandhamal, nello stato indiano di Orissa, in India Orientale. Riferisce all'Agenzia Fides padre Manoj Kumar Nayak, sacerdote, assistente sociale e attivista per i diritti umani nella diocesi di Cuttack-Bhubaneswar, che abbraccia il territorio di Kandhamal: "Nel 12° anniversario della violenza nel distretto di Kandhamal, uniamoci in preghiera per sostenere i cristiani perseguitati per la loro fede in tutto il paese". Tutti i cristiani, nei diversi stati indiani e nella tante comunità, "sono chiamati a pregare per le famiglie di quanti hanno perso la vita, hanno subito persecuzioni, affinchè possano vivere in sicurezza e con la necessaria protezione" nota il sacerdote.
"Oggi andiamo avanti con il coraggio di vivere e testimoniare la fede cristiana al prossimo, secondo lo sguardo evangelico di compassione, perdono e accoglienza”, ha detto a Fides l'Arcivescovo John Barwa, alla guida dell'arcidiocesi di Cuttack-Bhubaneswar, ricordando il 12° anniversario della violenza, definendola "l'esperienza più dolorosa nella storia della Chiesa in India".
“Il 23 agosto ricordiamo e affidiamo a Dio tutti coloro che sono morti durante le violenze e tutti coloro che hanno sofferto tanto. A oltre un decennio da quei tragici giorni coloro i cui diritti sono stati violati e calpestati stanno ancora aspettando giustizia”, ha rimarcato.
"Chiediamo che tutte le istituzioni civili e religiose si impegnino per il rispetto delle garanzie costituzionali e della libertà religiosa in India e perchè si rispetti lo stato di diritto", ribadisce padre Nayak, che è membro del National Solidarity Forum (NSF), una rete di oltre 70 organizzazioni della società civile in India che difende e promuove i valori democratici e pluralisti dell'India, sanciti dalla Costituzione indiana.
Alla vigilia dell'anniversario, che cade il 23 agosto, la NSF ha lanciato un appello a tutte i cittadini perchè lottino per i diritti e perchè sia fatta giustizia per le vittime e per i sopravvissuti ai massacri di 12 anni fa. La violenza contro i battezzati in Orissa è esplosa con indicibile ferocia nel distretto di Kandhamal il 23 agosto 2008. Gruppi estremisti indù incolparono i cristiani per l'omicidio del leader religioso indù Swami Laxmanananda Saraswati, anche se l'omicidio venne rivendicato dai gruppi ribelli maoisti. Quell'omicidio fu il pretesto per scatenare un'ondata di violenza che durò alcuni giorni. Circa 100 persone furono uccise, mentre 40 donne cristiane furono stuprate, sottoposte a molestie e umiliazioni. Circa 395 tra chiese e luoghi di culto e 6.500 case furono rase al suolo, e diverse istituzioni educative, sociali e sanitarie furono devastate e saccheggiate. Oltre 50mila fedeli lasciarono i loro villaggi e fuggirono, mentre le loro proprietà furono occupate e sequestrate abusivamente.
Come rileva una nota del National Solidarity Forum (NSF), inviata a Fides, dopo la fine delle violenze, sono state presentate più di 3.300 denunce alla polizia, ma solo 800 denunce furono ufficialmente registrate. Tra le denunce, solo 518 casi sono stati archiviati. Gli altri sono approdati in tribunale ma l'88% degli imputati è stato assolto per mancanza di prove o di testimoni, che spesso hanno subito intimidazioni.
Secondo uno studio condotto dagli avvocati Vrinda Grover e Saumya Uma, la percentuale di condanne nei processi per la violenza a Kandhamal è molto bassa, pari al 5,13% dei casi di accusa. E se si prendono in considerazione le denunce come metro di giudizio, si tratta solo dell'1% circa. Nessuno dei responsabili dei crimini commessi è oggi in prigione. Tuttavia, sette cristiani innocenti sono stati in prigione per 11 anni, accusati e condannati in primo grado per l'omicidio di Saraswati, e ora sono liberi su cauzione, mentre è in corso il processo di appello davanti all'Alta Corte dell'Orissa.
Nel 2016, la Corte Suprema ha emesso una sentenza giudicando i risarcimenti fissati dai tribunali di primo grado "non adeguati" e ha ordinato di riesaminare 315 casi di violenza collettiva che erano stati denunciati. Tuttavia a quattro anni da quella indicazione - che non dava un ultimatum temporale - i processi non sono stati riaperti.
Secondo la Chiesa locale, la vera tragedia è il fatto che centinaia di famiglie cristiane non possono tornare nelle loro case e nei loro villaggi e temono ancora per la loro vita. Gli sfollati all'interno del distretto vivono in nuove colonie, nate dai primi campi profughi, con gravi difficoltà per il sostentamento e l'istruzione.
(SD-PA) (Agenzia Fides 24/8/2020)


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