AFRICA/MAROCCO - Il Papa: la missione dei battezzati nasce da“stupore e compassione”, non segue le vie del proselitismo

lunedì, 1 aprile 2019 missione  

Papa Francesco con Jean-Pierre Schumacher, ultimo sopravvissuto dei monaci di Tibhirine

Rabat (Agenzia Fides) – La missione di annuncio della salvezza, a cui sono chiamati tutti i battezzati, si manifesta “nel modo in cui viviamo come discepoli di Gesù, in mezzo a coloro dei quali noi condividiamo il quotidiano, le gioie, i dolori, le sofferenze e le speranze”. Siamo cristiani “perché siamo stati amati e incontrati” da Cristo, e tale incontro ci invita a “agire nello stesso modo in cui Dio ha agito con noi”. Per questo la via della propria della missione apostolica non passa attraverso i metodi del proselitismo, “che porta sempre a un vicolo cieco”. Essa opera con una dinamica simile a quella del lievito che fermenta la massa di farina, come suggerisce la similitudine proposta da Gesù nel Vangelo per far intuire ai suoi discepoli come si rende presente il Regno di Dio. Così Papa Francesco ha riproposto immagini e esempi per riconoscere i tratti che connotano la presenza dei cristiani nel mondo, soprattutto nei Paesi come il Marocco, dove i battezzati sono “un piccolo numero”. Lo ha fatto domenica 31 marzo, durante la sua breve visita apostolica in terra marocchina, nell’incontro avuto nella cattedrale di Rabat con i sacerdoti, i religiosi, le religiose e i rappresentanti del Consiglio ecumenico delle Chiese. Citando Papa Ratzinger, l’attuale Vescovo di Roma ha ripetuto che l’avvenimento cristiano si comunica “non per proselitismo, ma per attrazione”. E ha fornito criteri validi dovunque per riconoscere la natura propria della missione apostolica, e ciò che la distingue dai crucci e dai metodi d’arruolamento tipici di ogni proselitismo politico, sociale o religioso. “la nostra missione di battezzati, di sacerdoti, di consacrati” ha detto a questo riguardo il Papa “non è determinata particolarmente dal numero o dalla quantità di spazi che si occupano, ma dalla capacità che si ha di generare e suscitare cambiamento, stupore e compassione”. Perché “Essere cristiano” ha spiegato il Pontefice “non è aderire a una dottrina, né a un tempio, né a un gruppo etnico. Essere cristiano è un incontro. Siamo cristiani perché siamo stati amati e incontrati, e non frutti di proselitismo. Essere cristiani è sapersi perdonati e invitati ad agire nello stesso modo in cui Dio ha agito con noi, dato che «da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri»”. Il riconoscimento stesso della natura propria dell’avvenimento cristiano – ha suggerito il Successore di Pietro – libera dalla “preoccupazione” che “sorge quando noi cristiani siamo assillati dal pensiero di poter essere significativi solo se siamo la massa e se occupiamo tutti gli spazi”. Tale riconoscimento, in Paesi come il Marocco, rende più evidente che la via del dialogo è quella con cui la Chiesa entra si rapporta con il mondo, secondo quanto suggerito anche da Papa Paolo VI nell’Enciclica Ecclesiam Suam. La via del dialogo è stata riproposta da Papa Francesco non come espediente tattico, ma come effetto della configurazione della Chiesa a Cristo stesso e al suo essere “mite e umile di cuore”: “Affermare che la Chiesa deve entrare in dialogo” ha rimarcato il Papa “non dipende da una moda, tanto meno da una strategia per aumentare il numero dei suoi membri. Se la Chiesa deve entrare in dialogo è per fedeltà al suo Signore e Maestro che, fin dall’inizio, mosso dall’amore, ha voluto entrare in dialogo come amico e invitarci a partecipare della sua amicizia”. In tale prospettiva, Papa Francesco ha ricordato a tutti le figure di due “fratelli maggiori” che nelle terre nordafricane abitate dalle moltitudini islamiche hanno mistrato la via: San Francesco d’assisi, che “in piena Crociata andò ad incontrare il Sultano al-Malik al-Kamil”, e il Beato Charles de Foucauld che, profondamente segnato dalla vita umile e nascosta di Gesù a Nazaret, che adorava in silenzio, ha voluto essere un “ ‘fratello universale’ ”.
Nel suo intervento, Papa Francesco ha anche indicato la carità operosa come terreno privilegiato per vivere il dono della fede cristiana abbracciando tutti gli altri appartenenti alla “famiglia umana”, anche in terre in cui i battezzati sono pochi. “Un sacerdote che si trovava come voi in una terra dove i cristiani sono minoranza” ha ricordato il Papa “mi raccontava che la preghiera del Padre nostro aveva acquistato in lui un’eco speciale perché, pregando in mezzo a persone di altre religioni, sentiva con forza le parole «dacci oggi il nostro pane quotidiano». La preghiera di intercessione del missionario anche per quel popolo, che in una certa misura gli era stato affidato” ha aggiunto il Pontefice “lo portava a pregare questa preghiera con un tono e un gusto speciali. Il consacrato, il sacerdote porta al suo altare, nella sua preghiera la vita dei suoi conterranei e mantiene viva, come attraverso una piccola breccia in quella terra, la forza vivificante dello Spirito”. Si tratta di una “preghiera di intercessione che è capace di dire al Padre: «venga il tuo regno». Non con la violenza, non con l’odio, né con la supremazia etnica, religiosa, economica, ma con la forza della compassione riversata sulla Croce per tutti gli uomini. Questa è l’esperienza vissuta dalla maggior parte di voi”. (GV) (Agenzia Fides 1/4/2019).


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