AFRICA/TOGO - Gli ammalati di lebbra hanno diritto ad una vita sociale normale

sabato, 26 gennaio 2019

SMA

Kolowarè (Agenzia Fides) – Domenica 27 gennaio si celebra la 66a Giornata Mondiale dei Malati di Lebbra (vedi Fides 25/1/2019). Raoul Follereau, giornalista francese che ha dedicato la sua vita alla lotta contro la lebbra e contro tutte ‘le lebbre’, amava ripetere: con un pò di denaro, molto coraggio, e un amore infinito, si possono curare gli ammalati di lebbra e permettere loro di avere una vita sociale normale.
“E' dall'unione di questi tre elementi che è nato Kolowaré con il suo Centro Sanitario, oggi punto di riferimento per tutti gli ammalati di lebbra”, racconta a Fides padre Silvano Galli sacerdote della Società per le Missioni Africane in Togo.
“La ragione per la quale sono stati raggruppati a Kolowaré – continua il missionario - era proprio per lottare contro la discriminazione. Gli ammalati si nascondevano nella foresta perché avevano vergogna della loro malattia. A Kolowaré vivevano insieme, venivano curati, e soprattutto avevano la possibilità di ridiventare esseri umani e vivere una vita normale, sposarsi, avere figli”.
“Non si trattava soltanto di raccogliere gli ammalati per curarli, offrire loro un luogo dove poter vivere una vita familiare e sociale e, in seconda battuta, aiutarli a diventare, poco alla volta, autosufficienti. Molti di loro sono stati coinvolti nelle attività del dispensario, altri sono stati aiutati ad avere attività proprie. Per anni il responsabile della calzoleria è stato un lebbroso guarito che preparava le protesi per gli ammalati”, spiega padre Silvano.
Attualmente, a Kolowaré ci sono ancora una quarantina di lebbrosi, cosiddetti ‘blanchis’, perché ormai immuni dal bacillo di Hansen, non più contagiosi, ma con grandi mutilazioni, conseguenze della malattia. “Tre volte la settimana vengono al dispensario per le cure” racconta il missionario. “Alcune donne preparano loro il pasto e portano acqua. Una volta al mese le suore forniscono viveri, abiti, sapone e altro materiale di cui hanno bisogno. In occasione di questa loro festa annuale si può ricordare quello che diceva spesso il vecchio capo villaggio Wuro Adam: ‘Quando si parlava di Kolowaré si mettevano in evidenza solo gli aspetti negativi: un villaggio di lebbrosi, di ammalati ai margini della società, di gente che non conta, che non fa nulla. Venite a vedere oggi cosa hanno prodotto questi ammalati, venite a constatare come hanno trasformato il villaggio, e com’è la gente che vive oggi qui a Kolowaré’.
Padre Galli riporta l’esempio eloquente di Affo Bukari Adam arrivato da Tchamba a Kolowaré, agli inizi, negli anni ’40. “Lavorava nei campi e in una cooperativa dove si fabbricavano cappelli, ventagli, stuoie, corde. Agli inizi riceveva 300 frs al mese (equivalente a mezzo euro) poi 500, poi 600. Si è sposato. Dalla prima moglie, Arouna Ziinaba, ha avuto 5 figli. Alla sua morte si è risposato e ha avuto altri 7 figli, tre maschi e 4 femmine. Ogni tanto passo a salutarlo – aggiunge p. Silvano -. Vive con il figlio Affo Mouhamadou, sposato con due figli. Il loro cortile è sempre pieno di bambini. Un giorno mi dice: ‘Ecco vedi, questi figli li devo a te’. Non capivo quello che voleva dirmi. Il figlio fabbro, con cui lavoro da anni e che era con noi in quel momento, tradusse: ‘papà vuol dire che quando è venuto qui le suore gli hanno detto che poteva sposarsi, avere una vita come tutte le altre persone, anche se era ammalato, avere figli, ed eccoci qui, siamo ancora in dodici viventi, tutti sposati con figli, grazie a te, cioè a voi tutti che vi siete occupati di noi’.”
(SG/AP) (26/1/2019 Agenzia Fides)


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