ASIA/AFGHANISTAN - P. Rizzi: “Fare memoria per progettare il futuro della missio sui iuris”

sabato, 2 giugno 2018 evangelizzazione   diritti umani   chiese locali   missione   libertà religiosa   minoranze religiose  

Città del Vaticano (Agenzia Fides) - “Per comprendere bene un paese in cui si va in missione c’è bisogno di una specializzazione che abbracci non solo gli aspetti religiosi, ma anche quelli di tipo laico come l’economia, la politica, la cultura. È fondamentale fare memoria e conoscere bene la storia e gli eventi di un paese per potersi chiedere come procedere da adesso in avanti. In questi giorni con diversi ricercatori e studiosi, abbiamo provato a mettere a fuoco la reale situazione attuale dell’Afghanistan, una nazione che ha ormai alle spalle 40 anni di guerra. Nella prospettiva di provare a pensare qual può essere il futuro della missio sui iuris che esiste in terra afgana ”. È quanto dice all’Agenzia Fides il Barnabita p. Giovanni Rizzi, professore ordinario di teologia alla Pontificia Università Urbaniana, in riferimento al Seminario di studi su “Afghanistan: società, libertà e annuncio del Vangelo”, organizzato nei giorni scorsi al Centro Internazionle di Animazione Missionaria (CIAM), a Roma.
P. Rizzi, autore dei libri “80 anni in Afghanistan” e “I parroci di Kabul: dal re ai talebani”, dedicati al resoconto degli 80 anni trascorsi dai Barnabiti in terra afgana, spiega ancora: “Il lavoro di raccolta di informazioni e condivisione da parte di ricercatori e testimoni diretti potrà essere molto utile per il Dicastero di Propaganda Fide. In certi casi e contesti, la missione non può essere solo evangelizzazione: in Afghanistan, dove l’Islam è religione di Stato, una delle condizioni poste dal governo per concedere la presenza dei Barnabiti in quel Paese era che non si facesse proselitismo presso la popolazione afghana e questa consegna è sempre stata mantenuta”.
“La missione dei Barnabiti oggi continua – rileva p. Rizzi – con un raggio di azione molto più limitato rispetto agli anni passati, perché da alcuni anni i nostri confratelli devono vivere da reclusi, all’interno dell’ambasciata italiana. Tuttavia il loro servizio di assistenza spirituale ai membri della comunità internazionale continua con impegno. Ci sono molte ristrettezze, non si può uscire, si vive sotto scorta e stretta sorveglianza, ma non ci siamo mai posti il dubbio di continuare o meno a garantire la nostra presenza a Kabul”.
L’Afghanistan, paese al 99% musulmano, è definito "Repubblica Islamica" dalla Costituzione del 2004. L’articolo 2 della Carta garantisce ai non musulmani il diritto di esercitare liberamente la propria religione nei limiti delle leggi vigenti, mentre l’articolo , subordina la "conformità di tutte le leggi" ai principi e alle regole della religione islamica, rendendo dunque la sharia, pur senza nominarla, principale fonte di diritto.
Il paese, ad oggi, è caratterizzato dalla presenza di un’unica parrocchia cattolica, con sede all’interno dell’Ambasciata italiana a Kabul, frequentata da circa un centinaio di persone, quasi esclusivamente membri della comunità diplomatica internazionale. Sono operative, inoltre, l’organizzazione inter-congregazionale di religiose “Bambini pro-Kabul” e le Suore di Madre Teresa di Calcutta. In opere sociali ed educative avviate nel paese sono impegnati anche i gesuiti indiani del Jesuit Refugees Service ed altre organizzazioni di ispirazione cristiana. Fino al 2016 vivevano nella capitale afghana anche le Piccole Sorelle di Charles De Foucauld. (LF) (2/6/2018)


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