Sacrofano (Agenzia Fides) – “Sono molto contento di poter iniziare oggi la mia prima assemblea generale con voi… Come sapete bene, sono nuovo e devo imparare molto da voi in questo compito che il Santo Padre mi ha affidato”. Così si è espresso l’Arcivescovo Giampietro Dal Toso, Segretario aggiunto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli e Presidente delle Pontificie Opere Missionarie (POM), nominato a questo incarico nel novembre scorso, durante la sua relazione all’Assemblea generale delle POM, che ha aperto oggi i suoi lavori (vedi Fides 25/05/2018).
L’Arcivescovo ha sottolineato la necessità di creare legami di collaborazione, in quanto “le Opere Pontificie possono funzionare solamente se ci sentiamo uniti nel nostro comune compito di sensibilizzare e formare per la missione e di sostenere le giovani Chiese”. Quindi ha articolato la sua relazione attorno a due temi principali: il senso della missione e la realtà delle Pontificie Opere Missionarie.
“Prima di tutto la missione è una chiamata di Dio in Gesù Cristo, a cui noi diamo una risposta – ha sottolineato Mons. Dal Toso -. Non è una iniziativa della Chiesa – per così dire –, ma di Dio in Cristo. Infatti, le sue ultime parole sulla terra, prima di ascendere al cielo, sono state: “Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo" (Mt 28,19). È nella prospettiva di queste ‘istruzioni’ che dobbiamo leggere il mandato missionario e il nostro ruolo come Opere dentro di esso”.
Citando la Sacra Scrittura e il Magistero della Chiesa, l’Arcivescovo ha sottolineato che “la missione per la Chiesa non è meramente un’opzione tra tante, ma è ciò per cui è stata voluta da Cristo; per realizzare questo, ha ricevuto e riceve costantemente il dono dello Spirito Santo” e ha messo in guardia da un pericolo: “non si tratta di diffondere una ideologia, o una cultura, o una nuova morale, ma si tratta di trasmettere quella stessa vita divina che agisce in noi e ci salva, e che abbiamo ricevuto grazie alla morte e risurrezione di Gesù. Dunque la missione inizia in noi!” A tale proposito restano fondamentali le parole sia di Benedetto XVI che di Papa Francesco: “all’inizio della fede c’è l’incontro personale con Cristo”.
Quindi si è soffermato a riflettere sul legame tra sacramento del battesimo e proclamazione del Vangelo, e sul bisogno di redenzione che esiste nell’uomo. “Dobbiamo forse imparare a guardare al nostro tema a partire dalla persona, che ferita interiormente dal male, chiede di essere guarita. In questo senso la missione acquista veramente una dimensione universale e così comprendiamo perché essa è una esigenza intima per la Chiesa”. La Chiesa non fa altro che rispondere all’ invocazione di ogni uomo, che chiede a Dio di incontrarlo. “E Dio si è dato un volto per noi in Cristo… Il Vangelo si riassume nel kerygma, cioè nell’annuncio di Cristo morto e risorto, nell’annuncio che Dio ama ogni uomo e vuole il suo bene”.
Quindi il Presidente delle POM ha richiamato l’attenzione sul fatto che “oggi la missione assume ormai volti diversi, anche la stessa missio ad gentes”. Oltre alla sfida classica dell’annuncio ai pagani in territori di missione, c’è quella di aiutare i cristiani a essere in grado di far fronte alla cultura moderna secolarizzata. “I media, i social, internet, non conoscono frontiere e penetrano anche la mentalità di chi ha un naturale atteggiamento religioso. Missione è dunque aiutare le nostre Chiese in territori di missione a costruire delle solide personalità di fede”. Una duplice nuova frontiera della missio ad gentes si trova nei territori di antica evangelizzazione, dove vivono tanti che non hanno mai conosciuto il Vangelo, e arrivano tanti altri provenienti da contesti culturali alieni al cristianesimo, a cui deve essere proclamato il nome di Gesù. “Questa molteplicità di sfide ci insegna che, al di là dei cambiamenti storici in atto, anzi, proprio per i cambiamenti storici in atto, la missione, e specificamente la missio ad gentes, resta una chiamata permanente anche per la Chiesa di oggi. E primi a convincercene dobbiamo essere noi!”
Quindi Mons. Dal Toso si è soffermato su quale ruolo le POM possano avere oggi per la missione della Chiesa, partendo dalla contatazione che “le Opere non hanno perso nulla della loro attualità. Se è vero che la missione resta al cuore della Chiesa e che la missione è necessaria anche nel mondo di oggi, allora anche le Opere che tale missione sostengono, mantengono tutta la loro valenza”. Per adeguare le Opere alle nuove esigenzie della missione, il Presidente delle POM ha indicato come prioritario il sostegno alla formazione dei diversi operatori pastorali nei territori di missione e anche in quelli di più antica cristianità, una strada già intrapresa negli ultimi anni.
Partendo dall’immagine del corpo usata da San Paolo per descrivere la Chiesa, l’Arcivesco ha indicato alcuni punti fermi da cui non si può prescindere: la comunione con il Papa, “soggetto titolare delle Opere stesse”, quindi la comunione con i Segretariati internazionali, che non sono “centri decisionali”, ma hanno i compiti di garantire unità, assicurare l’animazione missionaria, promuovere la riqualificazione. Altri due aspetti sono la comunione tra le Direzioni nazionali e con gli Episcopati locali.
“La comunione è dunque la ragione profonda che lega questa grande istituzione che sono le Pontificie Opere Missionarie – ha sottolineato Mons. Dal Toso -. Infine mi sento in dovere di ripetervi quanto il Papa mi ha detto qualche settimana fa in ordine al nostro compito. Ha usato il termine di ‘creatività’. Siamo creativi. Non ci sono schemi prefissati per la nostra azione, se non quelli stabiliti dagli Statuti per governare la nostra collaborazione. Ma nel concreto del vostro lavoro, siate creativi. Sono certo che, se avrete in voi zelo missionario, saprete trovare forme concrete per esprimerlo”. (SL) (Agenzia Fides 28/05/2018).