AMERICA/ PERÙ - Il Papa a Trujillo: non siamo noi il Messia. La fede si trasmette per "contagio”

sabato, 20 gennaio 2018 papa francesco   sacerdoti   ordini religiosi   chiese locali   missione  

Twitter (@antoniospadaro)

Trujillo (Agenzia Fides) – La vita, la fede e la Chiesa non cominciano con noi. Al discepolo cristiano fa bene riconoscere “che non è lui e non sarà mai lui il Messia”. E soprattutto i sacerdoti, le persone consacrate e tutti quelli coinvolti nell’annuncio apostolico della Chiesa non devono avere la pretesa di “sostituire il Signore” con le loro opere, le loro attività e missioni. La loro chiamata si compie piuttosto quando camminano nella gioia dietro a Cristo, sapendo anche “sorridere di se stessi”, facendo memoria del giorno e dell’ora in cui sono stati “toccati dallo sguardo del Signore”, e riconoscendo che la fede si comunica “per contagio”, anche “nel mondo frantumato in cui ci è dato di vivere”. È stato pieno di accenni liberanti e suggerimenti concreti il discorso rivolto da Papa Francesco a sacerdoti, religiosi, religiose e seminaristi del nord del Perù, nell’incontro avvenuto presso il Colegio Seminario san Carlos y San Marcelo, nel pomeriggio di sabato 20 gennaio.

Una fede “memoriosa”
“La nostra fede, la nostra vocazione” ha detto il Papa, ricordando san Toribio de Mogrovejo e le generazioni di “evangelizzatori” formatisi nel Seminario San Carlos y San Marcelo “è ricca di memoria, perchè sa riconoscere che nè la vita, nè la fede, nè la Chiesa comincia con la nascita di qualcuno di noi: la memoria si rivolge al passato per trovare la linfa che ha irrigato nei secoli il cuore dei discepoli, e in tal modo riconosce il passaggio di Dio nella vita del suo popolo”.

“Non siamo noi il Messia”
Come accadde già a San Giovanni Battista – ha proseguito il Vescovo di Roma – ogni discepolo cristiano sa che “non è e non sarà lui il Messia, ma solo uno chiamato a segnalare il passaggio del Signore nella vita della sua gente… Noi consacrati non siamo chiamati a soppiantare il Signore, né con le nostre opere, né con le nostre missioni, né con le innumerevoli attività che abbiamo da fare”. Ai sacerdote e ai religiosi si chiede solo di “lavorare con il Signore, “fianco a fianco, ma senza mai dimenticare che non occupiamo il suo posto”. La missione di annunciare il Vangelo porta proprio a operare senza dimenticare mai “che siamo discepoli dell’unico Maestro. Il discepolo sa que asseconda e sempre asseconderà il Maestro. Questa è la fonte della nostra gioia. Ci fa bene sapere che non siamo noi il Messia!”. Tale riconoscimento libera dal tentazione di “crederci troppo importanti”. E anche il saper sorridere di sé è un segno che non si è vittime “neopelagianesimo autoreferenziale e prometeico di coloro che in definitiva fanno affidamento unicamente sulle proprie forze e si sentono superiori agli altri”.

Toccati dal Suo sguardo
Sulle orme degli apostoli, che - come attestano i Vangeli - ricordavano il giorno e l’ora del loro primo incontro con Gesù, Papa Francesco ha invitato i suoi interlocutori a “ricordare sempre quell’ora, quel giorno chiave per ciascuno di noi, nel quale ci siamo accorti che il Signore si aspettava qualcosa di più. La memoria di quell’ora in cui siamo stati toccati dal suo sguardo.Quando ci dimentichiamo di questa ora” ha aggiunto il Successore di Pietro “ci dimentichiamo delle nostre origini, delle nostre radici; e perdendo queste coordinate fondamentali mettiamo da parte la cosa più preziosa che una persona consacrata può avere: lo sguardo del Signore”.

I “primi passi” nella spiritualità del popolo
L’invito a far memoria della storia alla quale si appartiene e della prima chiamata ricevuta da Cristo – ha sottolineato il Papa – abbraccia anche la gratitudine per le preghiere imparate da bambino. “Molti, nel momento di entrare in Seminario o nella casa di formazione” ha ricordato Papa Bergoglio ai suoi interlocutori “eravamo formati con la fede delle nostre famiglie e delle persone vicine. Così abbiamo fatto i nostri primi passi, appoggiati non di rado alle manifestazioni di pietà popolare” Il popolo peruviano – ha aggiunto il Vescovo di Roma - ha espresso il suo vincolo di affetto con Gesù, Maria e i Santi nelle “forme stupende” della devozione popolare, nelle visite ai santuari, dove spesso i pellegrini prendono decisioni “che segnano la loro vita”. Il Papa ha invitato i sacerdoti e i religiosi peruviani a non trasformarsi in “professionisti del sacro” che si dimenticano del proprio popolo, perdendo la memoria e il rispetto “di quelli che vi hanno insegnato a pregare”. il Papa a braccio ha ricordato che il mese scorso, durante una riunione con maestri di novizi e padri spirituali, «è uscita la domanda: come insegniamo a pregare a quelli che entrano? Si può usare un manuale, oppure dire ‘prima fare questo, poi quell’altro’; ma in generale gli uomini e le donne più saggi che hanno questo incarico di maestri dei novizi o di padri spirituali - ha spiegato Papa Francesco - devono continuare a pregare come hanno imparato a casa loro e poi poco a poco farlo avanzare in un altro tipo di preghiera”. Pregare, cioè, “come ha insegnato la mamma o la nonna. Questa è la fede da seguire, non disprezzate la preghiera di casa perché è la più forte”.

Il “segno” della gratitudine
Un tratto che conferma la bontà e l’autenticità del cammino compiuto dai sacerdoti e dai consacrati – ha institito Papa Francesco – è il dono di una coscienza grata. “Senza gratitudine” ha notato il Papa “possiamo essere buoni esecutori del sacro, ma ci mancherà l’unzione dello Spirito per diventare servitori dei nostri fratelli, specialmente dei più poveri. Il Popolo fedele di Dio possiede l’olfatto e sa distinguere tra il funzionario del sacro e il servitore grato. Sa distinguere chi è ricco di memoria e chi è smemorato. Il Popolo di Dio sa sopportare, ma riconosce chi lo serve e lo cura con l’olio della gioia e della gratitudine”
La fede contagiosa
Guardando alle vicende dei primi discepoli, di Andrea che corre a raccontare al fratello Simon Pietro l’incontro con Gesù, il Successore di Pietro ha ricordato che da allora e per sempre la fede cristiana si comunica per contagio di grazia, e non per sofisticate strategie di proselitismo: “La fede in Gesù” ha ripetuto Papa Bergoglio “è contagiosa, non può essere confinata né rinchiusa; qui si vede la fecondità della testimonianza: i discepoli appena chiamati attraggono a loro volta altri mediante la loro testimonianza di fede, allo stesso modo in cui, nel brano evangelico, Gesù ci chiama per mezzo di altri. La missione scaturisce spontanea dall’incontro con Cristo. Andrea inizia il suo apostolato dai più vicini, da suo fratello Simone, quasi come qualcosa di naturale, irradiando gioia. Questo è il miglior segno del fatto che abbiamo ‘scoperto’ il Messia”.
“Nel mondo frammentato in cui ci è dato di vivere”
Il miracolo di una fede che si comunica per contagio può accadere anche “nel mondo frammentato in cui ci è dato di vivere”. E la frammentazione – ha notato riconosciuto Papa Francesco – non riguarda solo il mondo, ma anche la Chiesa: “le divisioni, le guerre, gli isolamenti li viviamo anche dentro le nostre comunità, e quanto male ci fanno!” Per arginare le ferite e i conflitti nella compagine ecclesiale – ha suggerito il Papa, concludendo il suo intervento – occorre tener presente che la comunione “non equivale a pensare tutti allo stesso modo, fare tutti le stesse cose”. Riconoscendo che “solo il Signore ha la pienezza dei doni, solo Lui è il Messia. E ha voluto distribuire i suoi doni in maniera tale che tutti possiamo offrire il nostro arricchendoci con quelli degli altri”. (GV) (Agenzia Fides 20/1/2018).

Twitter (@antoniospadaro)


Condividi: