VATICANO - LUCI ED OMBRE DELL’OCEANIA NEL SINODO CONTINENTALE INDETTO DA GIOVANNI PAOLO II - L’Esortazione Apostolica “Ecclesia in Oceania”

giovedì, 14 aprile 2005

Città del Vaticano (Fides) - Il 22 novembre 2001, con una cerimonia nella sala Clementina in Vaticano, Giovanni Paolo II firmò e pubblicò l’Esortazione Apostolica “Ecclesia in Oceania”, stilata dal Pontefice sulla base dei lavori del Sinodo sull’Oceania, svoltosi a Roma dal 22 novembre al 12 dicembre 1998. Finora il Papa aveva promulgato le Esortazioni Apostoliche post-sinodali di una certa regione recandosi personalmente nei paesi interessati. Questa volta il Papa era atteso nella Nuova Caledonia, ma per diverse difficoltà, la cerimonia è avvenuta in Vaticano alla presenza di alcuni rappresentanti dell’Episcopato dell’Oceania. In compenso, l’Ecclesia in Oceania ha un altro primato: è il primo testo di un Papa che viene diffuso a tutti gli episcopati del mondo attraverso Internet.
Il documento affronta apertamente alcune questioni, in parte già affrontate durante il Sinodo, quali: il perdono per le colpe della Chiesa verso gli aborigeni (n. 28); la condanna e la compassione verso i sacerdoti autori di abusi sessuali (n. 49); il rifiuto della poligamia, pur valorizzando le culture locali (n.45); il consiglio di sposarsi fra uomini e donne della stessa fede per garantire un’educazione dei figli alla fede, in un mondo sempre più secolarizzato (n. 45).
Il Pontefice parla a più riprese dell’unità del continente Oceania, ben cosciente delle molteplicità che esso racchiude: diversi stadi di sviluppo sociale, economico e politico; diverse culture; religioni tradizionali e tribali affianco a stili secolarizzati o addirittura anti-religiosi e anti-cristiani (cfr. nn. 6,7,8, 18, 20). Ma proprio l’unità nella diversità, l’arricchimento reciproco, egli dice, è quanto è stato celebrato nel Sinodo passato, sia nelle liturgie, arricchite da “segni e simboli tratti dalle culture delle isole del Pacifico” (n. 9), sia nell’“unità e fedeltà” al Vescovo di Roma, “che ha consentito di superare le grandi distanze geografiche e culturali tra Roma e l’Oceania”. Tale esperienza, scrive il Papa “è stata uno dei doni che Cristo nella sua bontà ha elargito durante il Sinodo”.
Questo dono dell’unità viene affidato dal Papa affida alle Chiese dell’Oceania. L’esperienza della communio, l’unità nella chiamata alla fede, è richiesta ai Vescovi, le cui diocesi sono sperdute e lontane fra loro nel vasto Oceano Pacifico (n.11 e 12); è suggerita ai sacerdoti come fonte per sostenere la vocazione e la solitudine (n. 49); è domandata come segno qualificato alle famiglie, ai laici, uomini e donne, alle loro comunità; ai movimenti ecclesiali nel servizio alla chiesa diocesana (n. 19, 45- 47).
Questa unità non è fine a se stessa, come se la comunità fosse “un luogo confortevole per quanti ne fanno parte”: essa deve guardare “oltre le…preoccupazioni immediate per raggiungere gli altri” (n.13). E ancora: “Ogni rinnovamento nella Chiesa deve avere la missione come suo scopo per non cadere preda di una specie di introversione ecclesiale” (n.19). Tutto il documento sottolinea di continuo che il primo compito dei cristiani è riscoprire “la sublime conoscenza di Gesù Cristo” e partecipare alla sua missione (cfr. nn. 3, 10, 37, 38, ecc.). Le Chiese dell’Oceania, nate dalla testimonianza dei missionari del passato, hanno bisogno di riprendere il coraggio della loro identità e il coraggio dell’annuncio: “Al di sopra di tutto c’è bisogno di un annuncio senza paura di Cristo, c’è bisogno di una parresia della fede” (n.20).
Il rinnovamento della fede e della missione dona intelligenza ed energie necessarie per affrontare le sfide della Chiesa nelle “terre del Grande Oceano”: le ambiguità della modernizzazione, coi suoi aspetti di progresso, democrazia, rispetto per l’uomo, ma anche coi suoi disvalori nell’emarginare culture tradizionali e religioni (n. 7); una inculturazione attenta alle tradizioni locali, non dimenticando che “il Vangelo sfida le culture ed esige che alcuni valori e forme cambino” (n. 16); riaffermare la qualità cristiana della testimonianza nei servizi sociali, sanitari, educativi (nn. 34, 35); testimoniare il diritto alla vita, dal concepimento alla morte, e la difesa dell’ambiente del Pacifico, importanti per le culture locali e la comunità internazionale (n. 30-31).
Per tutto questo sono necessari nuovi strumenti. Il Sinodo aveva suggerito di potenziare l’uso dei mass media. Il Papa propone un centro cattolico dei media per l’intera Oceania. I mass media, egli dice, “offrono spesso l’unico contatto che la Chiesa ha con i non cattolici o la comunità in senso più ampio”(n.21). Ma un altro strumento essenziale sono le vocazioni. L’Oceania (e l’Australia in particolare) hanno dato fino a poco tempo fa molte vocazioni alla vita sacerdotale e religiosa. Oggi invece il continente soffre per la scarsità di clero, tanto che molti fedeli non possono accostarsi con frequenza ai sacramenti. Il Papa chiede a Vescovi e comunità di sostenere una pastorale vocazionale e invita i giovani “a seguire Gesù come sacerdoti e nella vita consacrata”, diventando missionari fra i loro coetanei (n. 44).
La molteplicità delle sfide, dei problemi, delle fragilità non cancellano un senso di ottimismo del Pontefice e di tutta la Chiesa che guardano l’Oceania : “In verità è il Signore stesso che li guarda con un amore che è insieme una sfida e una chiamata” (n.3). E nella conclusione: “Anche se le acque dell’Oceania sono molte, vaste e profonde, la Chiesa in Oceania non può cessare di camminare gioiosamente e fiduciosamente con Cristo, annunciando la sua verità e vivendo la sua vita. Ora è il tempo della grande pesca!”. (n.52). (Agenzia Fides 14/4/2005)


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