ASIA/MYANMAR - Appello di Chiesa e società civile: “Nella diversità etnica e religiosa, la via è il dialogo”

venerdì, 23 agosto 2013

Yangon (Agenzia Fides) – Una autentica pace in Myanmar passa per “il rispetto per la diversità etnica e religiosa”. Urge “un vero processo di pace con le minoranze etniche”, che comporta “un dialogo politico nazionale”, e bisogna mettere al primo posto “la libertà di pensiero, coscienza e di religione”, per scongiurare ogni forma di odio e violenza: lo affermano, in un messaggio congiunto inviato all’Agenzia Fides, due alti rappresentanti della Chiesa e della società civile, S. Ecc. Mons. Charles Maung Bo, Arcivescovo di Yangon, e Benedict Rogers, attivista cattolico dell’Ong “Christian Soldiarity Wordwide”, che da anni segue e opera in Myanmar. I due leader sono fianco a fianco per la costruzione di un paese dove vivano valori di pace, giustizia, fraternità, diritti umani.
Il messaggio inviato a Fides ricorda che da circa due anni per il Myanmar “è iniziata una nuova era per il Myanmar, che ha portato più libertà per la società civile, nonché una tregua nei conflitti etnici e maggiore apertura del paese al mondo. “C'è molto di cui essere grati. Per la prima volta da decenni, si parla di democrazia e di pace”, anche se “c'è ancora una lunga strada da percorrere”, afferma il testo, indicando l’urgenza di fermare la guerra nello Stato Kachin e promuovere un dialogo significativo con l'Organizzazione per l’Indipendenza Kachin (KIO).
Un’altra sfida è quella dell'armonia religiosa: “L'anno passato ha visto la violenza scioccante contro i musulmani in Myanmar, a partire dallo stato di Rakhine nel giugno 2012. La violenza e la propaganda anti-musulmana – prosegue il testo inviata a Fides – ha mostrato un problema profondamente radicato nella società Myanmar: come convivere con le nostre differenze più profonde. Nessuna società può essere veramente democratica, libera e pacifica se non rispetta la diversità politica, razziale e religiosa, oltre che proteggere i diritti umani fondamentali di ogni singola persona, senza distinzione di razza, religione o sesso”.
Il messaggio ricorda i 130.000 sfollati musulmani nello stato di Rakine, che vivono in condizioni terribili e terrorizzati , chiedendo che siano trattati umanamente. I due leader lanciano un pressante appello al governo perché “consenta agli operatori umanitari il libero accesso ai campi profughi e garantisca la loro sicurezza”, invitando la comunità internazionale a fornire aiuti.
Il documento ricorda che “odio e violenza sono in contrasto con gli insegnamenti delle grandi religioni del mondo”, incluso il Buddismo, prevalente nel paese, e sollecita le autorità “ad agire per prevenire la diffusione di ulteriore odio e intolleranza”, perseguendo “chiunque incita alla violenza”. “Chiediamo a tutti i leader – in politica, nella religione, nei media, nell'educazione e nella società civile – di parlare con chiarezza contro l'odio religioso e l'intolleranza”.
Ricordando la centralità della libertà di coscienza e di religione, si afferma che “questi principi valgono per tutti i credenti, siano buddisti, cristiani, musulmani, indù, animisti o di un altro credo”.
Il testo spiega che “molti buddisti hanno paura di una possibile islamizzazione del paese” e vedono il progresso di una “agenda islamista” nel mondo (citando casi come Egitto, Pakistan e Siria); ma riconosce che “molti musulmani sono vittime di questo approccio” e di tali stereotipi.
“E’ quindi nell'interesse dei nostri fratelli e di tutto il popolo di Myanmar impegnarsi in uno scambio franco, pacifico e rispettoso delle opinioni”, in un percorso di dialogo interreligioso “necessario in Myanmar ora più che mai, ad ogni livello”. “La violenza, la discriminazione e l'odio non sono soluzioni. Trattare i musulmani nel modo in cui sono stati trattati in Myanmar lo scorso anno non è diverso dal modo in cui gli islamisti radicali trattano le minoranze in luoghi come il Pakistan o l’Egitto”, si nota. “Il dialogo – conclude il messaggio – è essenziale: conoscendo l'altro, e scoprendo quanto abbiamo in comune, possiamo costruire una nazione basata su sogni condivisi, sul rispetto reciproco e sull'unità nella diversità”. (PA) (Agenzia Fides 23/8/2013)


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