AMERICA/VENEZUELA - Da quasi un anno la Chiesa non riesce a entrare nelle carceri

martedì, 12 febbraio 2013

Caracas (Agenzia Fides) – La Pastorale delle Carceri ha denunciato che nel paese l'ideologia politica prevale rispetto all'assistenza religiosa. Nei tragici eventi accaduti nel centro penitenziario di Uribana il 25 gennaio (vedi Fides 30/01/2013), uno dei morti è stato il pastore evangelico Segundo Camejo, volontario in questo centro di detenzione. Proprio in seguito a questa tragedia, le gerarchie religiose, sia della Chiesa cattolica che della Chiesa Evangelica, hanno denunciato che le autorità negano da quasi un anno l'accesso al carcere ai volontari religiosi.
In una nota inviata all'Agenzia Fides, si apprende che il Delegato nazionale della Pastorale delle Carceri della Conferenza Episcopale Venezuelana (CEV), padre Ponc Capell, ritiene che le autorità non abbiano dato alcuna indicazione di voler mantenere un impegno di assistenza religiosa ai prigionieri, ma, al contrario, in molte occasioni ignorino tale diritto. Infatti dei 40 cappellani nominati dalla Conferenza Episcopale a livello nazionale, solo 26 sono stati riconosciuti dal governo. Padre Capell ha riferito che ci sono più di 300 laici impegnati in attività di volontariato nelle 40 carceri del paese, denunciando la politicizzazione del tema delle carceri. Inoltre si è rammaricato che si promuova più il volontariato ideologico che quello di assistenza religiosa. "Ma noi continueremo a lavorare con più energia e più entusiasmo, perché sappiamo che i governi passano, ma la Chiesa rimane. Inoltre ci saranno sempre persone disposte a condividere l’esperienza di Dio e avere la motivazione per cambiare" ha detto.
María José González, Capo ufficio della Caritas a Los Teques, che da sei anni lavora nella Pastorale Penitenziaria della regione di Miranda, ha sottolineato: "Dal dicembre 2011 non entriamo formalmente nelle carceri, perché abbiamo un divieto esplicito del governo. Così i nostri volontari devono andare a visitare i prigionieri come se si trattasse di una visita familiare, ma questo limita molto il lavoro con i detenuti e anche quello per la loro riabilitazione". (CE) (Agenzia Fides, 12/02/2013)


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