ASIA/MYANMAR - Urgente la riforma del sistema giudiziario e penale: passo essenziale per lo stato di diritto

sabato, 9 giugno 2012

Yangon (Agenzia Fides) – Il Myanmar deve eliminare dal suo sistema giudiziario e dall’ordinamento penale pratiche come l’arresto illegale e arbitrario, le detenzione senza prove, la tortura, la confessione forzata, i processi a porte chiuse, la pena di morte. Urge promuovere equità nei tribunali e nell’applicazione della giustizia: è l’appello lanciato dall’Asian Legal Resource Centre (ALRC), Centro studi con sede a Hong Kong, che monitora la situazione della giustizia nelle nazioni asiatiche. In una nota inviata a Fides, il Centro afferma che una magistratura del tutto indipendente dal potere politico è un passo essenziale per la democrazia e lo stato di diritto in Myanmar, nella nuova fase di apertura e riforme che sta vivendo il paese.
Il Centro cita il caso di Phyo Wai Aung, attivista condannato a morte l'8 maggio 2012 da un tribunale di Yangon, per il suo presunto coinvolgimento in un attentato nel 2010 che uccise 10 persone. Il suo processo è iniziato il 30 giugno 2010, quando il Myanmar era ancora sotto la giunta militare e prima degli importanti cambiamenti sociali e politici verificatisi nel paese. Il suo caso è esemplare perchè mostra il controllo politico sul potere giudiziario e le tendenze autoritarie nelle istituzioni della giustizia in Myanmar dove, secondo l’ALRC, i “tribunali finiscono per perseguitare, piuttosto che proteggere i cittadini”.
Tra le molteplici violazioni del diritto interno e internazionale, nel caso di Phyo Aung Wai si segnalano: l’arresto illegale; la detenzione illegale; la tortura (anche con bruciature ai genitali) per estorcergli una confessione. Durante la detenzione l’uomo non ha potuto vedere né la sua famiglia né un avvocato. Inoltre il processo è stato sommario, a porte chiuse e si basato su prove artefatte, come presunte telefonate fra l’accusato e altri uomini incriminati. Altre prove, invece, non sono state ammesse nel processo, come la testimonianza di un uomo che poteva fornire un alibi all’accusato. Il Centro segnala anche la “negazione del diritto alla difesa”, in quanto all'avvocato di Wai Phyo Aung ha avuto solo sei giorni per rispondere a tutti gli argomenti dell’accusa.
L’Asian Legal Resource Center nota che – in risposta alle nuove condizioni politiche emergenti nel paese – la magistratura, la polizia, i pubblici ministeri e le agenzie che si occupano della gestione dei casi criminali non mostrano però alcun cambiamento nel loro atteggiamento repressivo. “Nel lungo periodo – conclude il Centro – l'eliminazione di tendenze autoritarie in queste agenzie e nell’apparato statale potrebbe rivelarsi il compito più difficile”. (PA) (Agenzia Fides 9/6/2012)


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