AMERICA/COLOMBIA - 500 anni di evangelizzazione o 500 anni di schiavitù? Preoccupazione dei Vescovi colombiani per un progetto che mira a denigrare l’evangelizzazione della popolazione indigena

sabato, 26 giugno 2004

Roma (Agenzia Fides) - “Ci troviamo davanti ad un fenomeno preoccupante: la penetrazione di certe ideologie che sotto il mantello di una pretestuosa difesa dei popoli indigeni, pretendono di manipolarli" afferma con preoccupazione Mons. Iván Antonio Marín López, Arcivescovo di Popayán, in un colloquio con l'Agenzia Fides durante la recente visita ad limina Apostolorum dei Vescovi colombiani. Per comprendere bene il fenomeno, si deve partire della prima evangelizzazione, che in questi paesi risale al 1492, con l'arrivo dei missionari spagnoli, principalmente Gesuiti. Costoro cercarono di proteggere, difendere e promuovere le popolazioni indigene, ed il lavoro dei primi Vescovi fu molto importante in questo senso, spiega Mons. Marín López. "La Chiesa infatti ha sempre cercato di favorire lo sviluppo culturale ed il progresso degli indigeni in tutti i sensi, attraverso un processo che li ha resi consapevoli della loro dignità, ha assicurato la loro promozione umana, come figli di Dio e membri della Chiesa. Così questi popoli sono andati crescendo in organizzazione culturale, sociale e politica". Attualmente hanno un grande peso politico e ci sono rappresentanti nel Parlamento a livello nazionale, nell'Assemblea a livello dipartimentale e nei Consigli comunali a livello municipale. Hanno avuto grande importanza anche nel campo della cultura, con uomini di lettere ed artisti, non sono poi mancate vocazioni al sacerdozio. La Costituzione del 1991 ha cercato di favorirli e privilegiare l'attenzione verso di loro.
La popolazione indigena pura rappresenta circa il 4% della popolazione totale. Nella diocesi di Popayán, come spiega Mons. Iván Marín, è rappresentata principalmente da due comunità: i Paese, originari della zona, con una popolazione di 120/130.000 abitanti, ed i Guambianos che discendono da quechua ed inca, con circa 30.000 abitanti. Entrambe le comunità conservano la loro lingua, i loro vestiti caratteristici e molte abitudini proprie. Sono molto bene organizzate in Consigli comunali formati da un governatore ed una serie di consiglieri, eletti per un mandato di un anno. Inoltre sono perfettamente integrati e accettati dalla società.
"Ma siamo molto preoccupati per l'arrivo di queste ideologie - sottolinea ancora Mons. Marín López -. Pretendono di farli tornare alle abitudini ancestrali, facendogli rinnegare la fede cristiana che hanno ricevuto e nella quale sono molto radicati, con l'accusa che la fede gli è stata imposta dalla colonizzazione spagnola e la fede gli ha tolto la loro libertà. Ma questo denota una terribile ignoranza della storia e dello sviluppo culturale di un popolo, perché proprio l'evangelizzazione è quella che più ha contribuito al loro sviluppo in tutti i campi. La fede non solo non li ha resi schiavi ma li ha liberati delle paure, dai tabù, dalle forze magiche cui attribuivano tutti i fenomeni naturali, per entrare nella libertà autentica dei figli di Dio."
Questo progetto è stato promosso da antropologi universitari di Germania, Francia, Olanda e Svezia, con l'aiuto di molte ONG e patrocinato da organismi internazionali, e si sta attuando in maniera molto sottile. “È cresciuto enormemente a partire dal V Centenario dell'Evangelizzazione dell'America, celebrato nel 1992, quando si approfittò di queste celebrazioni per allestire una campagna contro l'azione della Chiesa e l'evangelizzazione realizzata - sottolinea ancora Mons. Marín López -. Viene ripetuto con forza uno slogan che pretendono di inculcare negli indigeni: “siamo oppressi da 500 anni”, per spingerli ad abbandonare le abitudini cristiane.”
Anche Mons. Jorge Leonardo Gómez Serna, Vescovo di Magangué, ha manifestato all'Agenzia Fides la sua preoccupazione: "Questi gruppi convocano i capi tribù e li indottrinano, portandoli a credere che il Cristianesimo sia stato per loro un sistema di schiavitù. Sono arrivati perfino a creare scuole esclusive per indigeni, in lingua autoctona, in cui l’educazione impartita è orientata a mantenerli in un circolo ristretto, ritornando alle abitudini ancestrali. Molti tuttavia, in quanto la fede è ben radicata in loro, preferiscono continuare ad andare alle scuole cattoliche che offrono un'educazione ritenuta più completa". (RG) (Agenzia Fides 26/6/2004; Righe 45 - Parole 631)


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