AFRICA/ZIMBABWE - “Continuerò a denunciare i mali del paese. Per me è peccare non parlare mentre il popolo sta soffrendo” dice mons. Pius Ncube, Arcivescovo di Bulawayo

mercoledì, 7 aprile 2004

Harare (Agenzia Fides)- Un Arcivescovo in prima linea nel difendere i diritti del proprio popolo. È mons. Pius Ncube, Arcivescovo di Bulawayo, nello Zimbabwe, paese in preda da tempo una gravissima crisi politica, sociale ed economica. In un’intervista rilasciata alla rivista cattolica “The Lamp” del Malawi e pubblicata nel suo ultimo numero, mons. Ncube descrive la pesante situazione del paese. L’Arcivescovo ha da tempo preso una posizione molto dura nei confronti del Presidente Robert Mugabe, accusato da più parti di aver precitato lo Zimbabwe nel caos e aver imposto una dittatura.
Mons. Ncube ricorda di essere rimasto deluso da Mugabe, subito dopo la fondazione del nuovo stato, nato dalla Rhodesia coloniale, nel 1980. “Già all’epoca, si poteva vedere che Mugabe cercava il potere assoluto”. Nel 1981, si scatena una pesante repressione nel Matabeleland, dove si trova l’Arcidiocesi di Bulawayo, roccaforte degli oppositori di Mugabe. “La cosa peggiore che Mugabe fece fu quella di scatenare i suoi gangster contro la popolazione civile, con il pretesto di combattere i dissidenti. Inviò 10mila soldati contro la popolazione civile per uccidere, torturare, violentare”.
La crisi politica attuale è nata nel 2000, con la decisione di Mugabe di permettere ai veterani della guerra d’indipendenza l’occupazione delle fattorie dei coloni di origine europea. Il problema della distribuzione della terra dai coloni bianchi alla popolazione locale si trascinava da tempo. In base agli accordi di Londra del 1979 che ponevano fine alla guerra di indipendenza del paese, la comunità internazionale (in particolare la Gran Bretagna) si impegnava a creare un fondo di compensazione per gli agricoltori bianchi, i cui terreni sarebbero stati confiscati nel giro di 10 anni. Questo meccanismo non è mai stato messo in pratica (anche per colpa di chi doveva costituire il fondo di garanzia ), e solo alla fine degli anni ’90 Mugabe decise di requisire con la forza le terre. Secondo mons. Ncube, i reali motivi di questa decisione non avrebbero nulla a che fare con la giustizia sociale: “Mugabe sapeva che il suo potere era minacciato da un nuovo partito (il Movement Democratic Change- MDC, partito d’opposizione guidato da Morgan Tsvangirai). Sapeva che i coloni appoggiavano la nuova formazione. Così decise di distruggere l’opposizione punendo gli agricoltori”. Mons. Ncube sostiene pure che le fattorie requisite “non sono usate per la produzione, ma per manovre speculative e creare fondi per i ministri e gli amici del Presidente”.
L’Arcivescovo di Bulawayo descrive in maniera drammatica la situazione del paese: “È disastrosa. Se lo cose continuano ad andare così vi saranno altre vittime. In Zimbabwe, il 33 per cento degli adulti sono sieropositivi. Una cosa che può aiutare queste persone è il cibo. Ma il cibo manca. Più della metà della popolazione dello Zimbabwe è in cerca di alimenti. Si è già prodotto un grande flusso emigratorio: 2 milioni di persone sono in Sudafrica, mezzo milione in Botswana, un altro mezzo milione di Gran Bretagna. Il tasso di disoccupazione è dell’80 per cento e l’inflazione è galoppante”.
“Continuerò a denunciare i mali del paese. Per me è peccare non parlare mentre il popolo sta soffrendo” conclude mon. Ncube, che è stato più volte minacciato di morte. (L.M.) (Agenzia Fides 7/4/2004 righe 43 parole 558)


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