VATICANO - LE PAROLE DELLA DOTTRINA a cura di don Nicola Bux e don Salvatore Vitiello - Il fuoco olimpico e quello di Gesù Cristo

giovedì, 17 aprile 2008

Città del Vaticano (Agenzia Fides) - L’anelito umano alla fratellanza ha ricevuto un duro colpo: nemmeno la fiaccola olimpica si salva dalla contestazione. Già, se deve essere simbolo di qualcosa che si può realizzare almeno là dove si svolgono le Olimpiadi, e non di un’utopia, esso non deve essere contraddetto; ma il fuoco è stato spento più volte.
Il progetto massonico di riattivare il fuoco degli dèi dell’Olimpo, per raggiungere l’unificazione dell’umanità e portare la pace universale - malcelata imitazione del cristianesimo cattolico -, mostra la sua inconsistenza. Un po’ come tutte le affermazioni sui valori, che omettono di indicare da quale radice possano germinare.
Gli antichi greci vedevano il fuoco come simbolo della divinità, energia custodita gelosamente in cielo, lasciando gli uomini al freddo sulla terra. Prometeo cercò di rubarlo ma fu incatenato al Caucaso; un avvoltoio gli mangiava il fegato che di notte ricresceva, metafora del mai sopito anelito dell’uomo ad avere Dio in terra.
Perciò le Olimpiadi dell’antichità erano un’emulazione della “gara ricorrente” degli uomini con gli dèi, per riuscire a strappare loro qualcosa. Anche Giacobbe lottò con Gabriele “forza di Dio”: vinse a prezzo di una slogatura, che avrebbe ricordato per sempre (cfr Gn 32,33), limite della pretesa di vedere Dio.
Ma Gesù è venuto e ha fatto vedere Dio, annunciando in Perea, abitata anche dai greci: “Sono venuto a portare il fuoco sulla terra; e come vorrei che fosse già acceso!” (Lc 12,49); ma Egli, novello Prometeo, si sottopose all’umiltà della Croce.
Per il cristiano, il fuoco di Olimpia è il presentimento di qualcosa, l’impazienza del mondo nuovo, che cresce solo con la pazienza, quella di Dio, che soffre la croce e ha rinunciato a ogni trionfalismo.
Invece, chi inventò le Olimpiadi moderne forse pensava così: “noi adesso facciamo le cose, noi abbiamo trovato la strada e troviamo su di essa il mondo nuovo” (Benedetto XVI, Al clero delle diocesi di Belluno-Feltre-Treviso, 24 luglio 2007). A tale tentazione deve resistere la Chiesa di Cristo e restare sempre umile e perciò grande e gioiosa.
L’unanimità dei cuori cresce con l’umiltà e non con la spettacolarità, che invece accende le passioni e l’orgoglio. Questa è la vera speranza del mondo.
Lo sport non è la nostra divinità. La Chiesa, come comunione di fratelli e sorelle, rinasce e cresce ogni giorno: questo è il vero contributo allo sviluppo della società e del mondo. Solo attingendo, con cuore umile e confidente, al fuoco d’amore di Dio, si può accendere sulla terra il fuoco della carità tra gli uomini: “Nella preghiera contemplativa le parole non sono discorsi, ma come ramoscelli che alimentano il fuoco dell’amore”(CCC 2717).
La liturgia della notte di Pasqua benedice il fuoco nuovo, simbolo della gloria che il Padre ha inviato nel Figlio sulla terra: affinché accenda il desiderio del cielo e ci guidi ad esso, rinnovati nello spirito. Questo elemento cosmico è quindi letto dalla fede come simbolo della grandezza e della vicinanza di Dio, della forza dello Spirito Santo.
L’ideale delle Olimpiadi, di creare l’unità e la “cattolicità” del mondo si rivela, ancora una volta, utopico dinanzi all’anelito di libertà degli uomini, davanti al desiderio di chiunque sappia che la libertà è insopprimibile, perché è tratto essenziale dell’immagine e somiglianza di Dio, che è libertà vera in sé stesso.
La Chiesa, sempre contrastata dai grandi poteri dell’Antichiesa, come il Cristo dall’Anticristo, sa che solo attraverso le cicatrici permanenti del Risorto, spira il soffio dello Spirito che rinnova, in umiltà e silenzio, il proprio volto, nella sua fragilità, e il mondo, nella sua contraddizione.
Qui è la vera gioia: una “gara nello stadio” per conseguire il premio, non caduco, della vita eterna e implorare: “Vieni Santo Spirito, riempi il cuore dei tuoi fedeli e accendi in essi il fuoco del tuo amore”. (Agenzia Fides 17/4/2008; righe 47, parole 680)


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