VATICANO - Missionarietà e Chiese e Comunità ecclesiali non cattoliche - a cura di p. Adriano Garuti e Lara De Angelis

martedì, 22 gennaio 2008

Città del Vaticano (Agenzia Fides) - Il titolo potrebbe suonare strano e inadeguato alla luce delle espressioni conciliari che parlano di “parecchi elementi di santificazione e di verità” presenti “al di fuori del suo [Chiesa cattolica] organismo visibile” (LG 8; cfr. UR 3), per cui la Chiesa stessa “sa di essere per più ragioni unita” (LG 15) con le diverse Chiese e comunità ecclesiali non cattoliche. Nonostante le loro carenze esse, infatti, “nel mistero della salvezza non sono affatto spoglie di significato e di peso", in quanto "lo Spirito di Cristo non ricusa di servirsi di esse come strumenti di salvezza" (Dominus Iesus, n. 17).
Tali Chiese sono comunque ferite nel loro stesso essere Chiese particolari (cf. Communionis notio, n. 17) e pertanto non sono in piena comunione con la Chiesa cattolica. Resta pertanto immutato il diritto/dovere della Chiesa cattolica di annunciare il Vangelo della salvezza a tutti gli uomini, ovviamente secondo la condizione propria di ciascuno, senza per questo essere accusata di fare proselitismo.
Qual è dunque il ruolo missionario della Chiesa cattolica nei loro confronti ? Oggi si nota una certa avversione a parlare di “conversione” e di “ritorno” alla Chiesa cattolica. Si tratterebbe di un’eredità del Medioevo, superata dal Vaticano II. Respinto ogni esclusivismo ecclesiologico cattolico, nel senso che il riconoscimento degli elementi di santificazione e di verità presenti in esse non consente di parlare sic et simpliciter di “ritorno”; resta comunque necessario che esse giungano alla pienezza di professione di fede e di comunione. Lo stesso Giovanni Paolo II, pur sottolineando la necessità dello scambio dei doni, nella “Ut unum sint” non è meno esplicito nel sottolineare “le divergenze dottrinali da risolvere”, “vere e proprie divergenze che toccano la fede” e che “sono di ostacolo alla piena comunione dei cristiani tra di loro” (Introduzione e nn. 39 e 36). Pertanto l'unità voluta da Dio “può realizzarsi soltanto nella comune adesione all'integrità del contenuto della fede rivelata”, poiché in materia di fede “il compromesso è in contraddizione con Dio che è verità” (n. 18).
Per ottenere questo è indubbiamente necessario il dialogo, però non un dialogo fine a se stesso, bensì un dialogo che, con tutto il rispetto del partner e con il riconoscimento dei suoi valori salvifici, porti alla pienezza quegli elementi di santificazione e di verità, che per quanto “parecchi” restano pur sempre parziali, mentre di loro natura “spingono verso l’unità cattolica” (LG 8).
Come nel rapporto con le altre religioni non cristiane (cfr. Dominus Iesus, n. 22), anche in campo ecumenico il dialogo è una modalità di evangelizzazione o missionarietà, svolta appunto con la finalità di raggiungere una comune professione di fede integrale, condizione indispensabile per conseguire la piena comunione. (10 - continua) (Agenzia Fides 22/1/2008; righe 32, parole 455)


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