Prolusione di Sua Eccellenza Reverendissima Monsignor Velasio De Paolis

lunedì, 8 ottobre 2007

LA MISSIONE TRA UNIVERSALITA’ E LA PARTICOLARITA’

Ruolo della fede cristiana nella ricomposizione delle cose nella verità e nell’unità


(Forma abbreviata)
Ringrazio sentitamente il rettore magnifico, Mons. Ambrogio Spreafico, per avermi invitato a tenere questo breve discorso di apertura dell’anno accademico 2007-2008 della Pontificia Università Urbaniana, nella quale ho ancora l’onore di essere docente, benché a tempo molto limitato. Non potevo non dirgli di sì. Egli ha avuto anche la gentilezza di lasciare a me la scelta del tema. Preso alla sprovvista e premuto dai tempi molto ristretti, ho indicato il titolo piuttosto strano che è apparso nel programma.
Appena mi sono messo a riflettere un po’ mi sono reso conto che sarebbe stata utile una qualche precisazione. Ho aggiunto così un sottotitolo chiarificatore, che dovrebbe esprimere meglio il senso del questo mio breve intervento: Ruolo della fede cristiana per la ricomposizione delle cose nella verità e nell’unità! Spero che esso apparirà più chiaro nel prosieguo del discorso.

I. Lo sforzo del pensiero umano di ricondurre la molteplicità e frammentarietà all’unità.
Viviamo nella molteplicità e nella frammentarietà delle cose. E’ la prima constatazione che cade continuamente sotto i nostri occhi. E’ possibile rintracciare una qualche unità tra la molteplicità e la frammentarietà? L’uomo, l’unico essere pensante che incontriamo su questa terra, fin dall’inizio della storia dell’umanità, ha compiuto dei tentativi in tal senso, ma, apparentemente, con scarsi risultatiti. Eppure non bisogna stancarsi mai. Scrive Paul Evdokimov: “Un semplice spettatore, guardando un tempio, può esaminarne in modo successivo le diverse parti determinandone così l’architettura fino a valutare la sua espressione artistica, ma esso rimarrà comunque un libro chiuso. Perché ogni pietra, ogni frammento cominci a parlare, tanto che l‘insieme stesso si trasformi in un canto, una liturgia , è necessario percepirne il linguaggio simbolico” E’ un esempio come tanti altri. Ma è anche la parabola dell’intero universo! E’ la realtà che nella sua molteplicità, varietà e frammentarietà noi siamo chiamati a decifrare.
Quei pensatori, che noi chiamiamo filosofi, fin dall’inizio hanno sentito l’urgenza di impegnarsi in tale tentativo e, nonostante i tanti scacchi subiti, essi non cessano di ritornare sul tentativo di ritrovare un principio di unità e di senso delle cose; si tratta di andare oltre l’oggetto fisico che cade sotto i sensi, particolarmente dell’occhio, attraverso la luce dell’intelligenza, ed anche, per noi credenti, attraverso la luce della fede, con un soccorso che potrebbe venirci dal di fuori, come lo stesso Platone già auspicava. [Può essere interessante richiamare un celebre testo di Platone “Su tali questioni a me pare, o Socrate, come forse anche a te, che avere in questa nostra vita una idea sicura, sia o impossibile o molto difficile; ma d’altra parte non tentare ogni modo per mettere alla prova quello che se ne dice, e cessare di insistervi prima di avere esaurita ogni indagine da ogni punto di vista, questo, o Socrate, non mi par degno di uno spirito saldo e sano. Perché insomma, trattandosi di tali argomenti, non c’è che una cosa sola da fare di queste tre: o apprendere da altri dove sia la soluzione; o trovarla da sé; oppure, se questo non è possibile, accogliere quello dei ragionamenti umani che sia se non altro il migliore e il meno confutabile, e, lasciandosi trarre su codesto come sopra una zattera, attraversare così a proprio rischio, il mare della vita, salvo che uno non sia in grado di fare il tragitto più sicuramente e meno pericolosamente su più solida barca, affidandosi a una divina rivelazione”.]
Quando si tratta del problema della molteplicità delle cose nella loro singolarità e della loro unità e del loro nesso nel vasto mondo, le soluzioni oscillano tra gli estremi: da una parte una visione meccanicistica e atomistica che costata ed afferma semplicemente la molteplicità, la varietà, la singolarità e la frammentazione delle cose. Dall’altra la visione panteista, che annulla tutte le cose nella realtà mondana, concepita con una unica grande anima, un’unica intelligenza e un’unica ragione. La soluzione dovrebbe consistere nel buon senso comune, che nel dare ragione delle cose, deve insieme rispettare la molteplicità e la singolarità e dall’altra la profonda unità che lega la frammentata realtà umana!
La Grecia, particolarmente con i filosofi Aristotele e Platone, getta le fondamenta della metafisica, stabilendo i grandi principi dell’essere, del divenire e della conoscenza.

II. Il contributo del pensiero cristiano mediante il concetto di creazione. Ripercussioni nella visione della vita.
In verità a tutta la visione metafisica dell’antichità è mancato un concetto fondamentale, che sarà patrimonio della rivelazione ebraico-cristiana.
E. Berti evidenzia che con l’avvento della riflessione cristiana, abbiamo uno specifico contributo sia con il concetto di creazione dal nulla, sia con la rivelazione della caduta nel peccato. I due aspetti saranno particolarmente considerati, da un punto di vista teologico, da Agostino, da un punto di vista filosofico da San Tommaso.
San Tommaso concentra l’attenzione sulla creazione e sul concetto di natura . Per San Tommaso, “natura viene a significare, come è stato detto anche recentemente, la conoscenza e la definibilità delle cose, il loro rispecchiare il disegno eterno concepito da Dio nella sua mente e realizzato poi con l’atto della creazione”. [In tutte le realtà naturali “è presente una partecipazione del disegno eterno che ha presieduto alla creazione del mondo. Tommaso esprime questa partecipazione in termini di legge: ... c’è in Dio una lex aeterna, che è la ratio gubernationis rerum in Deo, vale a dire il modo in cui Dio governa ed in cui, prima ancora, ha concepito le realtà create; ma c’è poi nelle creature una lex naturalis, la quale è partecipatio legis aeternae in rationali creatura. Ciò significa che nell’uomo, nella creatura razionale, c’è la nozione di questa partecipazione alla legge eterna presente in tutte le creature, e da questa lex naturalis, secondo San Tommaso, si dovranno dedurre i precetti particolari della lex humana” ]
Così contemplando la molteplicità, la varietà cose, l’uomo vede in esse una presenza divina e le inserisce in un disegno universale divino. Il mondo acquista il suo senso a partire da Dio che è la fonte dell’essere di ogni cosa; e ogni cosa proprio perché viene da Dio a Lui rimanda. Si scopre così la legge fondamentale della teologia tomista: dell’exitus e del reditus. Il concetto di creazione, caduta-peccato e redenzione permette di leggere l’universo in una profonda unità e nella valorizzare ogni realtà singola, perché essa viene illuminata dalla presenza di Dio creatore. Questo si riflette particolarmente sulla visione e interpretazione dell’uomo. Questi è creato ad immagine e somiglianza di Dio. Pascal osserva in proposito: l’uomo in quanto immagine, è un essere limitato. Non esiste per se stesso, ma per l’originale di cui egli è immagine. Eliminato l’originale dallo specchio, anche l’immagine scompare. L’uomo visto nella prospettiva dell’originale, della fonte della vita e della luce, ossia di Dio, è dotato di una grandezza incommensurabile: partecipa della grandezza di Dio ed entra in comunione con Lui. Si tratta di una grandezza tale che il peccato potrà ferire ed offuscare, ma non annullare. Anzi il mistero della redenzione, con il dono della salvezza apportata da Gesù e la partecipazione alla vita filiale divina mediante l’effusione dello Spirito Santo, farà brillare, nel mistero divino, di bellezza inesprimibile, la grandezza dell’uomo. In questa luce, la visione del singolare, del particolare, del fenomeno entra nel mistero di luce di Dio e brillerà della luce della bellezza e della verità divina. La verità divina entra nella verità dell’uomo in un meraviglioso accordo: fede e ragione si vita e della luce, ossia di Dio, è permette di leggere il mondo, o stesso tempo permette di viene illuminata dalla presenza particolarmente sulla visione e ad immagine e somiglianza di quanto immagine, è un essere per l’originale di cui egli è specchio, anche l’immagine dell’originale, della fonte della dotato di una grandezza sostengono reciprocamente nella conoscenza e nell’approfondimento della molteplicità e della varietà e frammentarietà delle cose. Ogni frammento ha la sua dignità nel fatto che è portatore di una presenza divina, alla quale rimanda, e gode della partecipazione dell’essere, per il solo fatto che esiste. Ma nello stesso tempo il frammento rivela tutta la sua bellezza e grandezza nella visione del tutto che è Dio stesso.
Si tratta di una visione antropologica che pone al centro Dio e nel mistero di Dio contempla anche il mistero dell’uomo e interpreta il mondo dell’uomo, ossia la natura.

III. La modernità: razionalismo e positivismo scientista. Ripercussioni nella visione della vita. La ripresa della vita.
Questa costruzione o, meglio, visione antropologica, che pone al centro Dio e vede l’uomo nel mistero di Dio, unisce ragione e fede, natura e soprannatura, peccato e grazia, unità e pluralità, singolare e universale, è come una grande meravigliosa cattedrale, dove tutte le parti hanno una loro specifica bellezza all’interno della visione del tutto. Tale costruzione comincia a sgretolarsi con l’inizio dell’epoca moderna. Il crollo avviene in modo graduale. L’epoca moderna pone al centro l’uomo; Dio non viene negato, ma emarginato. Presto però verrà dimenticato e quindi negato. La visione antropologica muta profondamente. Essa attraversa fondamentalmente due momenti: il momento del razionalismo illuminista e il momento del positivismo scientista. Si crea una grande frattura: tra ragione e fede; si perde il contatto con l’essere; l’universale scade nel nominalismo vuoto di significati; il singolare diventa dispersione, senza fondamento e senza senso. Tutto questo si riflette in tutti i campi della vita e della scienza; sotto alcuni aspetti ha dei riflessi anche nella Chiesa, la quale sente il bisogno di difendere il valore della ragione e della metafisica, e di ristabilire un corretto rapporto tra ragione e fede
1. Il momento del razionalismo illuminista
Questo momento inizia con Cartesio, che enuncia il principio primo della filosofia moderna, a partire dal soggetto: cogito, ergo sum; passa attraverso Kant, che separa il mondo della conoscenza da quello della morale e della religione, e ha il suo vertice in Hegel, che elabora l’idealismo assoluto.
L’uomo posto al centro dell’universo perde anche il contatto con la realtà, con l’essere. Il razionalismo, dopo aver emarginato Dio, erige la ragione umana come misura delle cose. Spegne la luce della fede e proclama la ragione come unica fonte del sapere: sarà il trionfo dell’illuminismo, con la ragione umana come unica fonte della conoscenza e del sapere. Ma il mondo, perso il contatto con l’essere divino, di fatto piomba nell’oscurità.
L’uomo, rimasto in balia della sola ragione umana, chiusa in se stessa ed estranea all’essere delle cose, non sarà più capace di rendere ragione dell’oggettivo. Rimarrà chiuso nel proprio razionalismo, che non contiene più l’essere. Le cose e i singoli soggetti si perdono nell’idealismo panteistico. Il molteplice, la singolarità, la frammentarietà si dissolvono nell’assoluto del pensiero umano, che ha in Hegel il suo vertice ed apice. I concetti elaborati sono frutto solo del pensiero umano e si esauriscono nei pensiero umano. Essi non contengono il reale, sono semplici concetti che si esauriscono nel pensiero umano, che ne è la sorgente
2. Scientisimo e positivismo moderno.
L’uomo deluso da una filosofia che trascura completamente il reale, e si perde nell’idealismo assoluto, si volge alle cose e si affida alla scienza, ai fatti puri e semplici dell’esperienza. E’ il momento dell’affermazione del positivismo scientifico, che vede nella scienza e nel suo sviluppo l’ideale del progresso e il senso della vita dell’uomo. Il fatto e il particolare costituiscono l’oggetto unico della conoscenza da parte dell’uomo; la scienza dei fenomeni è l’unico campo possibile ed utile in cui l’uomo possa impegnarsi.
La scienza tuttavia si sviluppa di fatto all’interno di una visione antropologica caratterizzata dal pluralismo, che che a sua volta porta al relativismo sia intellettuale che morale e all’agnosticismo. La secolarizzazione sarà la caratteristica di questa visione antropologica, chiusa a qualsiasi valore morale e religioso, che a livello pratico si coniuga con principi dell’immanenza, dello storicismo e del prassismo. L’uomo moderno sa dire molto sul mondo e sulle cose, ma non sa dire nulla o quasi nulla su se stesso, in quanto uomo, sul senso della propria vita, delle proprie origini, del proprio destino, del proprio futuro e delle sue azioni, dal punto di vista morale e religioso. E’ la proclamazione del nichilismo assoluto come principio. E’ la negazione dell’essere in quanto essere. E’ a proclamazione del fallimento dell’uomo sul senso della realtà e del mondo. L’universo è divenire continuo, senza senso, senza origine e senza destino. Non vi è nessuna luce che brilla sulla vita dell’uomo.
La frattura tra fede e ragione, ha portato prima alla esaltazione della sola ragione e poi all’annullamento della luce anche della ragione, per quanto riguarda il senso della vita dell’uomo.

3. Ripercussioni di tale visione
Il positivismo scientista, con le caratteristiche che l’accompagnano, ossia della secolarizzazione, dell’immanentismo, del relativismo, del pragmatismo e dello storicismo, costituisce oggi una visione antropologica che si ripercuote a tutti i livelli. Il mondo risulta semplicemente frantumato e frammentario senza nessuna unità, senza senso; e le singole parti non comunicano tra i loro, Il singolare da una parte viene esaltato, dall’altra non ha una sua essenza, che permetta di dargli una sua valenza e una sua consistenza. Viene a mancare il fondamento stesso dell’essere che dà intelligibilità ed unità
Dell’uomo viene esaltata la sua individualità e la sua libertà, la sua autonoma morale assoluta. L’universale viene negato; il particolare è visto solo come fenomeno empirico da studiare sotto il profilo della sperimentazione e della scienza. La vita e la storia perdono la loro unità e continuità; tutto è solo movimento, evoluzione e sviluppo, senza un principio e senza un fine. La tradizione con i suoi valori viene scredita. La mancanza di un fondamento metafisico della realtà rende questa assolutamente inintelligibile. L’esaltazione del particolare è la morte dell’universale e del comune. La morte dell’universale è anche la morte del singolare.
Proprio perché il positivismo scientifico si inserisce in una visione antropologica, esso si ripercuote su tutti gli aspetti della vita.
1) Il moderno è caratterizzato anzitutto dalla frattura tra ragione e fede. La scienza ignora la fede; non sa dirci nulla su di essa. Spesso la nega. La religione e la morale vengono relegate nella sfera del privato e dell’intimismo, come realtà senza incidenza nella vita e nella storia del mondo.
2) Il nome scienza è riservato solo alla scienza sperimentale; esiste ciò che sperimentalmente può essere verificato. Le scienze umane hanno perso la loro dignità, perché vengono a mancare proprio del loro oggetto.
3) Più in concreto, la persona, pur apprezzata per la sua dignità, in realtà non si sa spiegare quale sia il fondamento della sua dignità. Spesso lo si pone in cose marginali, che non garantiscono la dignità della stessa persona umana. Di fatto, negata la natura dell’uomo, non si vede come l’uomo possa essere definito in quanto persona con una sua unica e peculiare dignità, che gli deriva precisamente dal fatto di possedere una natura umana, una sua specifica essenza.
4) In questa prospettiva, il diritto assurge ad una grande dignità, e sostituisce ogni altra regola di comportamento morale. La vita è regolata dal diritto. Ma il diritto è la norma del legislatore che la impone in forza del suo potere.
Il discorso del diritto ha un particolare campo dove fiorisce, soprattutto nel campo dei diritti così detti umani. Ma nel cammino e nello sviluppo di questa categoria non si riesce più a cogliere il fondamento per stabilire quali pretese possano essere rivendicate come diritto umano. La semplice libertà come diritto assoluto del soggetto diventa diritto umano, così che, come osserva Giovanni Paolo II nella Enciclica Evangelium Vitae, ciò che per la morale è un delitto, come ad es. l’aborto e l’eutanasia, per la legge diventa diritto da proteggere (Evangelium Vitae, n. 11).
5) A livello morale, l’Enciclica Splendor Veritatis, n. 36, rileva che si negano le leggi universali e si giustifica la morale della situazione, con la motivazione che una legge universale non può regolare il caso particolare e specificamente la libertà dell’uomo.
6) A livello sociale non si riesce più a comprendere il senso della comunità, perché la socialità della persona non riesce più ad essere fondata. Il bene comune non ha più una sua consistenza ed è pensato come opposto al bene e all’interesse personale privato. Se un bene è comune, si dice, non è più personale, e se è personale non è comune.
7) La radice dell’intelligibilità del singolare all’interno di una visione antropologica è la presenza dell’Essere da cui tutto trae origine. Il moderno invece si caratterizza per l’assenza di Dio. Particolarmente nell’Enciclica Evangelium Vitae il Papa Giovanni Paolo II poté riassumere tutto il discorso sul senso della vita oggi nell’affermazione seguente:
L’eclissi di Dio è l’eclissi dell’uomo e la sua uomo!

4. Riflessi all’interno della Chiesa.
Sarebbe interessato un discorso anche sui riflessi che tale mentalità ha prodotto e produce anche all’interno della Chiesa, nella misura in cui la comunità cristiana e particolarmente cattolica si lascia influenzare da essa, anche se inavvertitamente. Il discorso andrebbe lontano. Sia permesso solo qualche accenno che possa muovere alla riflessione.
L’esaltazione del particolare per es. può portare facilmente alla giustificazione della morale della situazione; ugualmente l’esaltazione del particolare può portare a considerare la Chiesa come la somma delle Chiese e a privilegiare le chiese particolari, come entità staccate, destinate ad essere rami secchi. Lo stesso importantissimo discorso dell’inculturazione della fede e del vangelo, in una mentalità individualistica può portare a privilegiare il particolare in quanto tale, cioè la cultura, senza la debita verifica se la cultura è frutto o meno di un pensiero pagano o cristiano.

5. Crisi del moderno e risposta della Chiesa.
L’epoca moderna è stata letta nella prospettiva della parabola del figlio prodigo del vangelo. Il figlio prodigo è l’uomo che pretende dal padre di avere le sue sostanze e dispone della propria vita a suo piacimento, abbandonando la casa paterna, in cerca di novità. Ma il prodigo moderno non ha ancora terminato la sua esperienza. Oggi sarebbe in qualche modo sotto l’albero a contendere le ghiande ai porci, per sopravvivere, mentre però comincia a ritornare in se stesso e a recuperare l’immagine paterna, l’immagine della casa e della comunità di appartenenza. Si deciderà o no a compiere l’ultimo passo; a rialzarsi e mettersi decisamente in cammino per ritrovare la casa paterna, a partecipare alla gioia della vita, con l’anello al dito e i calzari ai piedi, e con il vestito nuovo come si addice ad uomini liberi, che si ritrovano nella comune città dei figli di Dio e riscoprire così il senso e la bellezza di ogni cosa, prima di tutto della propria dignità? C’è da aspettarselo. Dio di fatto non ha abbandonato i suoi figli, neppure l’uomo moderno, che quale nuovo Prometeo ha voluto correre l’ebbrezza di usurpare il posto di Dio!
In realtà il quadro che si presenta oggi di fronte a noi credenti è di sfida, che non dovrebbe però incutere timore. Da una parte il postmoderno con la sua crisi profonda, che confessa apertamente il nulla: non sa dire nulla sulla storia dell’uomo e sul suo destino, e sul senso del cammino. Sa solo presentare e vantare i grandi successi scientifici, che finiscono per incutere paura. Dall’altra la fede del credente che è avvolto dal mistero di Dio,della sua grazia e del suo amore. Sa di essere uscito da Dio e di essere chiamato a ritornare a lui. Porta l’immagine del Figlio Unigenito del Padre, ha il dono della vita filiale, è chiamato a vivere in comunione con Dio. E’ nato dal cuore di Dio, la sua vocazione è tornare al cuore di Dio; il suo cammino nel tempo è il grande ritorno verso la casa del Padre, con la certezza di essere sempre accolto, perdonato e reintegrato nella gioia del banchetto della vita. Nella lotta fra le tenebre e la luce, la vittoria non può essere che della luce; nel contrasto verità e menzogna, la vittoria è certamente della verità; nel duello tra la vita e la morte, il trionfo è della vita. “La struttura autentica di ogni conoscenza che sia vera è sempre <> e coincide con la nascita alla comune verità ”


IV. Il contributo del pensiero cristiano per il superamento della crisi.
La Chiesa, in quanto depositaria del mistero di Dio Creatore e Redentore, della sua Parola e dei suoi Sacramenti, ha un progetto di verità sull’uomo. Essa ha il compito di annunciarlo, proclamano fino alla fine del mondo. Di questo mistero vogliamo appena accennare al suo cuore, al mistero di Gesù Verbo Incarnato, nel quale tutto si riassume: il mistero di Dio e il mistero dell’uomo, la perfetta unità di ogni cosa e la verità di ogni singola cosa, il senso della storia e dell’universo, il compimento di tutto nella pienezza e nell’identità di ogni cosa. Ed è nel mistero del Verbo Incarnato che la storia disvela tutta la sua ricchezza. “L’incarnazione fa cogliere l’elemento empirico come logo abitato da presenze, ciò che ne fa il mondo delle similitudini costruite ad immagine di queste presenze. L’uomo così è un essere essenzialmente visitato ed è ciò che determina il suo destino: diventa dimora ed icona per Colui che lo visita come sua stessa gloria (proprio come nella teologia paolina la moglie à la gloria di suo marito — i Cor 11, 7)” .
Nell’incarnazione “si produce l’unità di ciò che non ha immagine con colui che possiede l’immagine” (Teodoro Studita). in verità le icone visibili sono il visibile dell’invisibile”, Dionigi” Il mistero di Cristo illumina tutto e tutto trova il suo senso nel mistero di Cristo, Dio fatto uomo. “E’ in Cristo che bisogna leggere la prima parola della Bibbia, nel senso colto da Simeone il Nuovo Teologo: “Tu diventi visibile da lontano come una stella che sorge piano piano. Tu cresci, (non sei tu che cambi, ma apri lo spirito del tuo servo perché veda). Tu cresci gradualmente e sempre di più e infine appari come il Sole”
Conclusione
I Padri, per armonizzare l’incontro tra gli uomini e con Dio, ricorrono all’immagine di un cerchio, al cui centro è posto Dio e sulla cui circonferenza camminano gli uomini. Questi se vogliano trovare l’unità tra di loro, rimanendo sulla circonferenza e camminando l’uno verso l’altro, finiscono per scontrarsi. Se invece ognuno, partendo dalla circonferenza, va verso il centro, man mano che si avvicina al centro si incontra con l’altro. Nell’incontro con l’Assoluto Dio si realizza anche l’incontro tra gli altri.

Velasio De Paolis
Segretario del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica

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P. Evdokimov, Il roveto che arde, Gribaudi, Città di castello (Perugia), 2007, p. 124.

Platone, Fedone 85, c-d.
E. Berti, i concetto di natura nella filosofia classica, in Studium, L’idea di natura, nn. 4-5, luglio ottore 1987, anno 83°, p. 505.

ibid. , p. 505.

ibid., p. 506.

Si può vedere questo tentativo particolarmente nell’Enciclica Fides et Ratio
Esistenza autentica, le parole non appartengono al livello della coscienza ma a quello dell’essere. Gli animali emettono dei suoni e questi sono, in verità, dei segni convenzionali. L’uomo rappresenta una rottura nell’ordine naturale proprio perché può ascoltare Dio e perché la Parola viene pronunciata in lui” (P. Evdokimov, Il Roveto che arde, p. 79).
“Nelle dimensioni del nostro mondo ogni parola che sia vera segue la legge suprema dell’incarnazione. Viceversa, il mondo filosofico che si rifà ad Hegel, ad esempio, è una costruzione delle più magnifiche che si possa immaginare, quasi irreprensibile dal punto di vista logico, ma totalmente distaccato dalla realtà e sospeso nel vuoto. Questo perché il proto-elemento del vero pensiero non è il concetto ma l’esistenza, la parola pregna di vita, il suo postulato di incarnazione. Un concetto é astratto e allora la parola che l’esprime è vuota e non ha un supporto esistenziale” (P. Evdokimov, Il Roveto che arde, p. 81).


“La filosofia nominalista riduce tutto alle astrazioni dei mezzi tecnici, ai puri concetti, alle entità logiche, a fantasmi esangui che l’immaginazione mette in piedi continuamente perdendo le forze nel grande lavoro della loro creazione” (P. Evdokmov, il Roveto che arde, p. 76). “Invece, biblicamente, ogni segno possiede il suo essere e ogni essere ha il suo proprio segno. Ogni essere, a misura della sua propria verità, una parola vivente che Dio ha pronunciato traendolo ex nihilo. Ed è per questo che ogni parola autentica è messaggera e messaggio al contempo: “Dio scocca la freccia.., la fede fa entrare non solo la freccia ma, con essa, pure l’arciere” (San Gregorio di Nissa)” (P. Evdokimov, il Roveto che arde, p. 77).
P. Evdokimov, Il Roveto che arde, p. 41.

P. Evdokimov, Il Roveto che arde, p. 75
P. Evdokimov, Il Roveto che arde, p. 75.
P. Evdokimov, I Roveto che arde, p, 52.


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