VATICANO - AVE MARIA a cura di don Luciano Alimandi - L’amore vero brucia tutte le paure

mercoledì, 18 luglio 2007

Città del Vaticano (Agenzia Fides) - “La carità è paziente, è benigna la carità; non è invidiosa la carità, non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell'ingiustizia, ma si compiace della verità. Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta. La carità non avrà mai fine” (1Cor 4, 8).
Queste parole di Paolo ai Corinzi, del famoso Inno alla carità, rimandano direttamente alla Persona di Gesù Cristo, venuto tra gli uomini per insegnare il modo vero di amare Dio e il prossimo. Tutta l’Opera di Cristo, culminata con la morte in Croce e la Resurrezione, è orientata a insegnare all’uomo, da Lui redento, la sincera e costante disponibilità al comandamento nuovo: “amatevi gli uni gli altri come Io vi ho amato” (Gv 13, 34).
E’ nel comandamento della carità che si concentra la fede cristiana che, solo così, troverà quell’autenticità e capacità di smuovere le montagne, specie quelle innalzate dal nostro egoismo, cioè dall’amor proprio. Santa Caterina da Siena lo definisce come “la nuvola che offusca l'occhio dell'anima” (Lett. 350), “la polvere che acceca l’occhio dell'intelletto” (Lett. 76, D. r. 449, p. 71). Proprio nell’amor proprio la Santa domenicana vede la causa di tutti i mali, simile ad un parassita che tutto corrompe.
Sempre i santi hanno sperimentato in prima persona la forza delle parole del Vangelo che impone una reale e radicale conversione, condizione essenziale per accogliere il Regno di Dio nella Persona di Gesù. Giovanni Battista preannunciò chiaramente che “per far crescere Lui, l’io deve diminuire” (Gv 3, 30). Noi spesso ci illudiamo del contrario e cerchiamo di unire i due poli opposti dell’amore: l’amore disinteressato e gratuito che si chiama carità e l’amor nostro, prodotto da noi stessi, che si chiama, appunto, amor proprio. Non sempre è facile distinguere l’uno dall’altro, ma l’Inno alla carità ci aiuta a farlo! Il primo, l’amore cristiano, non “cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia… tutto sopporta”, il secondo, l’amore interessato, fa esattamente il contrario: “cerca il suo vantaggio, si agita e si preoccupa di sé, risponde al male col male e sopporta solo se stesso e gli altri se gli fanno comodo”.
Il Signore vuole ricrearci il cuore, “vi darò un cuore nuovo”, vuole rinnovarci nello spirito, “metterò dentro di voi uno spirito nuovo”, perché senza la carità l’uomo non si innalza verso il Cielo, non raggiunge quella beatitudine che già sulla terra lo attende. Gesù l’ha promessa a tutti coloro che si fanno “poveri di sé”, che si spogliano dell’amor proprio e si rivestono delle candide vesti dell’amore divino.
Benedetto XVI, nell’omelia del Giovedì santo 2007, riferendosi al passo dell’Apocalisse dei 144.000 eletti che hanno lavato le loro vesti nel sangue dell’Agnello (cfr Ap 7,14), confidava: “già da piccolo mi sono chiesto: Ma quando si lava una cosa nel sangue, non diventa certo bianca! La risposta è: il ‘sangue dell’Agnello’ è l’amore del Cristo crocifisso. È questo amore che rende candide le nostre vesti sporche; che rende verace ed illuminato il nostro spirito oscurato; che, nonostante tutte le nostre tenebre, trasforma noi stessi in ‘luce nel Signore’ ” (Benedetto XVI, omelia nella S. Messa del Crisma, 5 aprile 2007).
In questo contesto di tenebre e di luce, di carità e di egoismo, nel quale si viene a trovare ciascuno di noi, c’è un combattimento spirituale che non può essere evitato: “Dio o il mio io”! Il ruolo che la Provvidenza divina ha assegnato alla Vergine Maria verso noi redenti è insostituibile. Nella magisteriale pedagogia di Dio la Madonna si muove in straordinaria armonia con suo Figlio Gesù per riportare chi si è smarrito, a causa dell’egoismo, alla casa del Padre dove regna la carità divina e si ritrova il modo vero di amare.
Novant’anni fa a Fatima tre bambini, che erano presi dai loro giochi e dalle loro pecore, incontrando nostra Signora impararono a dimenticare se stessi e a guardare agli altri, al mondo e alla storia, nella stessa prospettiva di Dio. Essi accogliendo senza esitazione la richiesta della Madonna di “offrirsi al Signore” per la salvezza dei peccatori, scoprirono il cuore nuovo delle beatitudini. La carità di Dio invase la loro vita, spazzò via ogni nuvola dai loro cuori e ripulì il loro spirito da ogni polvere, fino a farne per l’umanità delle fulgide stelle che ancora oggi brillano e ci ricordano che l’amore vero brucia tutte le paure e ci fa uscire fuori dalla gabbia del nostro io. (Agenzia Fides 18/7/2007; righe 51, parole 764)


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